I cavi d'acciaio sibilano tesi al limite della rottura, la grande gru gialla scesa sul greto del fiume affonda le sue zampe facendo schizzare sabbia e sassi e stenta a controbilanciare il braccio sospeso. Niente da fare, 28 tonnellate sono troppe. Il maggiore Tibor Kovacs, l'ingegnere ungherese che da tre mesi dirige il recupero delle pietre del ponte di Mostar, ordina di sospendere l'operazione. Feko e Sandor, i due uomini rana che per settimane hanno lavorato nelle fredde acque del fiume, staccano i cavi dell'imbragatura. L'ultima pietra, in realtà un grosso pezzo del ponte con più pietre ancora solidamente incastrate tra loro, rimane a pochi metri da riva, quasi un'isola artificiale nelle acque verdi e veloci della Neretva.
L'atto finale deve essere rimandato, ma non ha molta importanza. La sfida coraggiosamente raccolta dal Genio militare ungherese della Sfor (la forza multinazionale attualmente dislocata in Bosnia), può ben dirsi vinta ugualmente. Sulla grande palafitta costruita sulla spiaggia alla confluenza del Radobolja, al di sopra del limite delle piene, ci sono infatti altre 163 pietre, il puzzle scomposto di una buona parte dello storico ponte abbattuto a cannonate il 9 novembre del 1993, il simbolo più amato e prestigioso della vecchia Mostar.
"Calcoliamo di avere ripescato 80 metri cubi di materiale sui 125 crollati nel fiume", commenta con soddisfazione il maggiore Kovacs."Abbiamo lavorato in condizioni spesso proibitive, con scarsa visibilità, corrente fortissima e non pochi rischi. Abbiamo dovuto inventare e costruire uno speciale pontone attrezzato con un paranco. Ma sul fondo, a 9 metri di profondità, non sembra ci siano altri blocchi utili alla ricostruzione".
Già, la ricostruzione. E' questo infatti il sogno che sta dietro la brillante operazione militare conclusasi in questi giorni. Ricostruire lo Stari Most, il Vecchio Ponte, il capolavoro dell'architetto ottomano Hajruddin, sintesi perfetta di funzionalità e eleganza, il più grande e bello della Città dei Ponti. Oltre il profilo della passerella sospesa che lo ha provvisoriamente sostituito, si delinea lo sfondo spettrale di Mostar Est, il centro storico del '500 devastato dalle due guerre del 1992 e del 1993-94, con i suoi minareti spezzati, 21 moschee distrutte, le abitazioni sventrate a colpi di mortaio, le pareti crivellate dalle mitragliatrici. Anche la Città Vecchia di Mostar, che era stata dichiarata "patrimonio culturale dell'umanità" dall'Unesco, dovrà essere restaurata, il progetto affidato all'architetto fiorentino Carlo Blasi. Ma lo Stari Most merita certamente la priorità assoluta.
Il ponte aveva resistito alle fasi più dure della guerra e la sua distruzione fu decisa dall'alto, una scelta "punitiva" del comando croato. Per abbatterlo, in quel grigio novembre del 1993, un carro armato ci si mise d'impegno per due giorni, tirando ad alzo zero da poche centinaia di metri oltre 60 cannonate. La storica sequenza del crollo venne ripresa da un coraggioso ragazzo di 18 anni, di nome Palata, che si è guadagnato oggi un posto di operatore nella TV di Mostar. E quella sequenza mostra in maniera eloquente la straordinaria solidità della costruzione.
"La tecnologia impiegata", conferma Carlo Blasi, 49 anni, esperto in calcoli di resistenza delle strutture,"era molto sofisticata, basata sulla perfetta geometria dell' arsin, l'unità di misura dell'arte ottomana corrispondente a 71,12 centimetri. Non è esagerato paragonare Hajruddin al suo contemporaneo Michelangelo e lo Stari Most alla cupola di S.Pietro".
Erano occorsi dieci anni per costruire il Ponte Vecchio di Mostar, dal 1557 al 1566. L'architetto turco Hajruddin, allievo del grande Mimar Sinan, aveva disegnato una curva elegante sospesa sulle rocce, leggermente asimmetrica per sfruttare l'appoggio naturale delle sponde. Il ponte venne realizzato a secco, ma con una tecnica di incastro, grappe in ferro e colature di piombo, che lo hanno fatto sopravvivere indenne a oltre quattro secoli di piene, alluvioni e terremoti. Il crollo ha rivelato molti particolari inediti della tecnica impiegata e il perfezionismo di Hajruddin, maniaco della solidità. La leggenda racconta che il più celebre dei costruttori di ponti della Bosnia Erzegovina fuggì il giorno prima che venisse smantellata l'impalcatura di sostegno, e che si fece rivedere solo dopo la festosa inaugurazione.
C'è grande eccitazione nell'ufficio della Soprintendenza di Mostar Est, un edificio da poco restaurato con vista sul fiume e sull'arco spezzato del Vecchio Ponte. La sua ricostruzione è la promessa fatta a se stesso e agli abitanti di Mostar dall'architetto Ivan Demirovic, 56 anni, che non ha esitato a seguire i lavori degli ungheresi anche sott'acqua.
"Mostar era la Firenze dell'Impero ottomano", commenta con passione. "Era una città tollerante e aperta alle più diverse culture. E il Ponte Vecchio, con il suo slancio di 30 metri, era il simbolo della sua vocazione di porta tra Oriente e Occidente. Si è voluto distruggere l'anima della città con le cannonate, ma dobbiamo dimostrare che non ci si è riusciti".
Demirovic, musulmano, abitava a Mostar Ovest, nella parte croata. La guerra che ha spaccato in due la città si è abbattuta come una tempesta anche sulla sua famiglia: il figlio Suleiman gravemente ferito in combattimento, moglie e figlia deportate nel lager di Ljubuski, lui stesso in carcere per un anno, la casa sull'altra sponda del fiume espropriata. Oggi la famiglia si è nuovamente riunita. Suleiman lavora nello studio del padre, specializzato nelle animazioni al computer. E quel nuovo ponte "virtuale" che si ricompone sullo schermo diventa il segno più concreto e tangibile della voglia di pace e di normalità degli eredi dei Mostari, "I Guardiani dei Ponti", custodi della più antica tradizione della città.
"Il ricupero delle pietre è un primo passo", spiega Demirovic. "C'è ancora qualche resistenza da parte croata, ma entro due anni la nuova amministrazione comunale mista si è impegnata a ricostruire il ponte. L'arco a secco consisteva di 100 blocchi sagomati in pietra di un metro e mezzo. Quelli mancanti o danneggiati saranno rifatti esattamente come allora e utilizzando le stesse cave, individuate a pochi chilometri da qui. All'appuntamento con il 2000 il Ponte Vecchio sarà di nuovo al suo posto".
La Turchia ha già anticipato un milione di dollari sui 7 previsti per l'operazione, una ditta ungherese è pronta a costruire l'impalcatura in ferro che sosterrà le pietre prima che l'arco venga di nuovo saldato dalla chiave di volta, lUnesco e alcune importanti Fondazioni americane hanno risposto all'appello. Cinque anni fa, quando il Ponte Vecchio crollò nelle acque del fiume, sembrò che crollassero anche le ultime speranze di colmare il baratro di odio che aveva spaccato in due la città. "I ponti", scriveva nel 1945 Ivo Andric, lautore de "Il ponte sulla Drina" trasformato in una eloquente metafora storica dellanima balcanica, "sono più importanti delle case e più sacri dei templi perchè utili a tutti e bene di tutti". Restano le tensioni e tanti problemi irrisolti nel futuro di Mostar. Ma tra altri due anni, quell'arco elegante gettato sul nastro di smeraldo della Neretva potrebbe significare che la civiltà ha nuovamente sconfitto la barbarie.
Farewell, good ol' Marjan... The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope. However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]