Postcards From Hell Kosovo/Macedonia: Essential Harvest
DEATH OF A HERO
Ahmed Shah Massud
> TRIBUTEWi> INTERVIEW
> MESSAGE TO THE
PEOPLE OF THE USA

NEW YORK, NEW YORK!
Tribute to
a defaced city
FAREWELL MARJAN...
Marjan, the one-eyed lone
lion is no longer the king of
Kabul zoo
PICTURES from the grenade attack!
I GUERRIGLIERI: "PRESTO RICOMINCEREMO A SPARARE" (15 AGOSTO 2001)WW>Francesco Battistini
MACEDONIA, LA PULIZIA ETNICA DEI GUERRIGLIERI ALBANESI (17 AGOSTO 2001)
LA NATO ARRIVA IN MACEDONIA, MA SENZA FRETTA (18 AGOSTO 2001)
copyright and courtesy of Corriere della Sera

52006 Combattenti UCK controllano un edificio colpito dalle artiglierie serbe a Nec

I guerriglieri: «Presto ricominceremo a sparare»
A Skopje si prepara il terreno per la missione Nato: 3500 uomini, di cui 750 italiani.
La gente dei villaggi: «Il nostro sogno? I cantoni svizzeri»
Sulle colline controllate dall’Uck: «L’accordo di pace? I macedoni non manterranno la parola. La guerra sarà sempre più dura»

DAL NOSTRO INVIATO
TETOVO (Macedonia) - Mattina del primo giorno di pace, sulle colline dietro Tetovo. Il comandante Leka, un barbudo di 35 anni che dà ordini a tutta l’Uck da qui al Kosovo, mostra un mitra russo, due cellulari agli infrarossi, un computerino ultima generazione montato sul Suzuki Vitara nero, auricolare microfonato come le body-guard . E non ha nessuna voglia, all’apparenza, di mollare tutta questa roba: «L’accordo non dura», sentenzia sotto la veranda del bar di Poroj, un paesino albanese dietro a Tetovo, dove solo gli slavi pazzi si avventurano. Pulisce un molare, infila lo stuzzicadenti nel pacchetto di Marlboro: «Loro non manterranno la parola, è nella loro natura non mantenerla». Apre una busta rosa, foto di due ragazzine massacrate in casa con la madre: «È la famiglia Salihi, 37, 17 e 12 anni. L’esercito le ha uccise il 23 luglio. Ne ammazzeranno ancora. E appena gli slavi toccano un civile, noi ricominciamo a sparare».
Pomeriggio del primo giorno di tregua, in un giardinetto del quartiere residenziale di Tetovo. L’ultranazionalista Tomislav Stojanosky detto Bombay, il capo del piccolo Partito democratico macedone, offre succo di lampone e ripete la stessa cosa: «Questo accordo non vale, l’unica soluzione è quella militare». Bombay è fuorioso: «La Nato ha fallito in Kosovo, ha fatto pulizia etnica di chiunque non sia albanese, e ora sta creando una nuova crisi, un altro buco nero per droga e prostituzione nel cuore d’Europa». Elenca le prime violazioni della tregua, «una fabbrica e tre case distrutte a Lesok, slavi fatti scappare, una donna stuprata», e immagina un futuro di tenebre: «La guerra sarà sempre più dura».
A questa piccola pace fra maggioranza slava e minoranza albanese credono in pochi: firmata lunedì alle 4 in un albergo di Skopje, già due ore dopo era salutata da spari non proprio di gioia. Vicino alla capitale, dice l’Osce, sono stati trovati cinque cadaveri di albanesi, i segni di una probabile giustizia sommaria. L’Uck denuncia violazioni della tregua intorno a Tetovo e a Kumanovo, un bombardamento di tank sul villaggio di Odri, al confine kosovaro.
Gli slavi parlano di «uomini in nero» che al block 92 di Tetovo avrebbero cacciato di casa molti civili: un rastrellamento di queste tute nere lo abbiamo visto anche noi, alla periferia di Drenovac. Neppure i segnali della politica sono chiari: se il presidente Boris Trajkovski apre sempre di più ai ribelli e promette che nessuno sarà perseguito, a meno che abbia commesso crimini di guerra, il Parlamento esclude di ratificare l’accordo finché l’Uck non avrà consegnato almeno un terzo delle armi. Dall’altra parte, se il leader albanese Ali Ahmeti assicura che il disarmo avverrà in tempo rapidi, ci sono uomini come il capitano Leka e frange ribelli come l’Esercito nazionale albanese (Ana) che non si fidano dell’accordo e progettano nuove azioni.
La Nato è già in movimento. In queste ore quindici esperti militari (anche italiani) sono in arrivo a Skopje per piantare i primi paletti dell’operazione: 3.500 uomini, 450 della «Sassari» (e altri 300 italiani di supporto), il comando ai danesi, gli americani a offrire aiuto logistico. Nelle basi è scattato l’ Activation order , il che significa che lo spiegamento potrebbe avvenire in tempi rapidi. Tutto dipende da quanto dureranno questi spari, da quante armi verranno riconsegnate, dalla volontà di pace delle due etnie.
Basta però superare Tetovo, la città più martellata da questa guerra, e salire a Poroj, tra le barbe islamiche dei miliziani Uck, per capire che l’inchiostro degli accordi è una cosa, il sangue dell’odio è un’altra. Auto bucherellate sulle portiere, odore di spazzatura bruciata, galline e bambini. Davanti al bar di Poroj, dove un tempo si litigava solo per le sorti calcistiche del Tetovo giallorosso, ora fanno corona i vecchi albanesi col «celese» bianco, la cuffia che ormai qui si infila in testa per far capire da che parte si sta. «Questi barbari sono la razza più brutta del mondo - grida in strada Emin Ibrahimi, autorità del villaggio -. Tutti uguali, dalla Russia fino a qua: con questa gente gli accordi non si possono fare».
Sulimani, che esporta pellame a Firenze e in questa guerra vede gli affari bruciare con le case: «Il nostro sogno sarebbe di vivere come nei cantoni svizzeri, i tedeschi di qua e i francesi di là, ma non è possibile.
C’è un solo posto in città, il supermercato greco Vero, dove slavi e albanesi di solito fanno la spesa insieme, rilassati, senza litigare. Ieri, il primo giorno di pace, a far coda alle casse non c’era nessuno.


Macedonia, la pulizia etnica dei guerriglieri albanesi
I ribelli hanno costretto alla fuga oltre 60 mila persone. Gli sfollati accampati alla periferia di Skopje o presso parenti. Le organizzazioni umanitarie denunciano purghe, stupri, vendette
Migliaia di slavi cacciati dalle proprie case: «L’Uck ci ha preso tutto». La Nato manda i soldati: i primi sono i britannici, assenti gli americani

DAL NOSTRO INVIATO
SKOPJE - «Gati?». Le si è ghiacciato il sangue, dice la figlia di Rodna Cyetanoska, quando la mattina di Ferragosto ha provato a chiamare il solito numero e ha sentito quel «gati», il «pronto chi parla» di una voce albanese. Il nemico era in casa. La famiglia di Rodna, lei impiegata, lui pensionato, i due figli ancora a scuola, è stata cacciata nove giorni fa dall’appartamento di Tetovo. Ci abitava da sempre. Settanta metri quadrati al quarto piano del «block» 82-A, un condominio di epoca titina, grigio e scrostato: «Sono venuti in sei, avevano la divisa nera dell’Uck e due pistole ciascuno. Hanno letto una lista di sei nomi, tutti gli slavi che abitano nel palazzo. Hanno sfasciato le porte. Un nostro vicino, albanese, ha garantito che non avevamo armi. Allora ci hanno ordinato di andare via, subito». Rodna ha portato tutti a casa del fratello, quartiere slavo di Tetovo. Un telefonino e gli spazzolini da denti, quel che ha potuto salvare. Firmata la pace, lunedì, Rodna e i suoi pensavano di rientrare nel «block 82-A». Non li hanno fatti avvicinare.
E i loro quattro nomi, così, sono finiti nell’elenco di quest’ultimo esodo dei Balcani, silenzioso e dimenticato: 60.953 profughi, li ha contati in queste settimane la Croce Rossa macedone, slavi soprattutto che finiscono in case di parenti o nei 20 centri per rifugiati. «Gente picchiata, derubata, cacciata - dice Sasho Taleski, portavoce dell’organizzazione umanitaria -. Sì, possiamo definirla un’operazione di pulizia etnica fatta dagli albanesi».
La Nato arriva: stasera tocca ai primi inglesi delle truppe d’assalto, gli italiani e gli altri dalla prossima settimana, mentre gli Stati Uniti si limiteranno a fornire solo un aiuto logistico senza impegnare militari nell’operazione. Ma i soldati spediti quaggiù nell’operazione «Essential Harvest», Mietitura essenziale, sappiano una cosa: gli oppressi di sempre, gli albanesi della Macedonia che da 10 anni vivono stranieri in patria, poco più che sopportati, sentono scoccare l’ora del riscatto. Ieri, un poliziotto è stato ammazzato a un check point di Tetovo, la città dell’odio che divide, ed è il primo morto in tre giorni di tregua fra governo e Uck. Ma se le armi pesanti (almeno 2.500 devono essere subito riconsegnate, intima la Nato) finora tacciono, a preoccupare è quello che i miliziani schipetari stanno facendo a settentrione, a Kumanovo e intorno alla capitale: ogni giorno di più lo stesso film già dato in Croazia, in Bosnia, in Kosovo. Prima della pioggia di odio, solo l’anno scorso, i villaggi del profondo nord erano un miracolo di coesistenza slavo-albanese. Ora, da là, è un mattinale di crimini. Una donna stuprata e 30 case bruciate a Leshok, roghi e violenze a Staroselo e Beloviste, 4.000 slavi isolati nel villaggio di Vratnica, assediato dall’Uck. In quattro paesi, denuncia la Croce Rossa, i guerriglieri hanno impedito il passaggio ai mezzi di soccorso. Le purghe sono arrivate fino a Tetovo, e i cinque professori slavi dell’università sono stati minacciati: alla riapertura dei corsi accademici, non fatevi vedere.
Alcune vittime visibili di questa pulizia etnica che l’occidente non vede, 3.601 persone, sono accampate nei campeggi della periferia di Skopje, sul lago Dojran, negli alberghi, perfino sulle aiuole del parlamento. La maggior parte, 57.352 profughi, si nascondono in case di amici, fantasmi che non si fidano della Nato, che nessun contingente di pace convincerà a rientrare in quartieri ormai deslavizzati.
La «recepcija» dell'hotel «Pelagonia» di Skopje, un tempo l’albergo dei rappresentanti di commercio, è un bivacco di vecchi e bambini. Ci sono 522 rifugiati, alcuni qui da pochi giorni: «Mi hanno buttata fuori alle 5 del pomeriggio - racconta Slavka D., 65 anni, di Tearce -. Cercavano i miei figli, non li hanno trovati, così hanno dato fuoco alla casa. Eravamo metà musulmani e metà cristiani, lì. Adesso ci sono soltanto loro. E non riesco a dimenticare il mio vicino Daut, un albanese che conosco da tanti anni: rideva, aiutava i terroristi a incendiare tutto».
A sentire Sasho Taleski, il portavoce della Croce Rossa, di questa «pulizia etnica si parla poco, perché chi sostiene l’Uck, Nato e americani, ha usato già le lacrime per i kosovari». All’opposto c’è Dino X., 35 anni, giornalista e docente albanese di Legge all’università di Tetovo: «Chi piange sono gli slavi, che per anni hanno svuotato i nostri villaggi e cacciato la nostra gente. Ora, c’è qualche gesto di vendetta e loro gridano alla pulizia etnica». Che qualcosa di grave stia accadendo però lo conferma Sasho Klekovski, del Centro macedone per la cooperazione internazionale, istituto finanziato dalle Chiese protestanti inglese e tedesca: «Anche gli albanesi stanno scappando - dice -. Ce ne sono 2.000 che solo questa settimana hanno preferito rifugiarsi in Kosovo. Ma nelle zone miste è in atto una cosa che io ho già visto 3 anni fa, quand’ero a Pristina per occuparmi dei serbi che perseguitavano gli albanesi. A Nord di Tetovo, in certi villaggi, gli slavi entrano ed escono solo in pullman, con la scorta della polizia». E ora che c’è la Nato? «Il peggio deve ancora arrivare. Fra Tetovo e Gostivar sono state incendiate fabbriche, distrutte centraline elettriche. I contadini non possono fare il raccolto. Da lì, entro l’inverno, ci aspettiamo altri 100 mila slavi in fuga».


La Nato arriva in Macedonia, ma senza fretta
Per primi atterrano i militari cechi e una cinquantina di britannici. I prossimi dorebbero essere italiani, greci, francesi. Per togliere ai ribelli almeno duemila armi. Sbarcati i primi soldati, l'Alleanza fa slittare il via libera finale al resto del contingente. L'incubo di una nuova guerriglia.

DAL NOSTRO INVIATO
SKOPJE - Vola un’aquila lassù, nella valle sopra Tetovo. Si firma proprio così, «generale Shqiponja i Sharit», Aquila della valle di Shari, e comanda 200 albanesi irriducibili, i ribelli dell’Uck che si sono dati un nuovo nome, Esercito nazionale albanese, sigla inglese (Ana) ad uso dei media di tutto il mondo.
L’aquila scruta i primi parà della Nato, atterrati ieri mattina da Praga. Studia i 50 soldati inglesi e i 15 francesi, attendati nella notte all’aeroporto di Petrovec. Aspetta gli altri, i greci, gli italiani dell’operazione «Essential Harvest» (Mietitura essenziale). L’aquila prima o poi colpirà, ha promesso. Perché la Nato che due anni fa liberò il Kosovo, l’Alleanza che nel 2000 sostenne i guerriglieri del Presevo, l’Occidente che negli ultimi sette mesi ha coperto anche la guerriglia Uck in Macedonia, per i durissimi dell’Ana questa Nato è un nemico, ormai. «I politici europei vengono a garantire il nuovo accordo per la nostra schiavitù», dicono. E se i leader albanesi hanno detto sì alla pace, quelli sono solo «i traditori Ahmeti, Xhaferi e Imeri» e il nuovo Esercito nazionale non li riconosce più: «Chiamiamo tutti a combattere per la riunificazione nazionale con le altre parti della nostra patria albanese, divisa cent’anni fa dai padri di questi politici europei».
Un’aquila non fa guerra vera. Un po’ d’impressione sì, però: l’Ana ha fatto in meno d’un mese 19 morti e rivendicato gli ultimi attentati, i più gravi. Ieri pomeriggio a Bruxelles i Paesi che partecipano alla missione di pace hanno deciso di «congelare» l’invio delle truppe, di valutare meglio se la tregua tiene e se ci sono le condizioni perché tutti i guerriglieri albanesi consegnino almeno 2 mila armi. Lunedì, verrà a Skopje il comandante supremo dell’Alleanza atlantica, poi si vedrà. Intanto, gli americani per un mese e mezzo bombarderanno la Macedonia di spot tv, cartelloni pubblicitari, lettere e volantini nelle due lingue: un investimento da mezzo miliardo di lire, per convincere albanesi e slavi che questo accordo di pace porterà «sicurezza e stabilità». «La missione rischia di essere un fallimento - dice un portavoce della Difesa macedone, Marjan Djuroski - se la Nato non sequestrerà 8 mila armi in possesso dell’Uck». E fallirà di sicuro, osservano al ministero dell’Interno, nel caso i duri dell’Ana non vengano bloccati.
Il problema sono i cani sciolti. C’è chi sospetta che l’Ana sia solo l’ultimo travestimento dell’Uck: da una parte disposto a firmare accordi con la maggioranza slava, dall’altro interessato a tenersi l’arsenale e a continuare la guerriglia. «Con noi non c’entrano», smentisce il leader Ali Ahmeti.
«E’ la stessa gente - sostiene invece Antonio Milososki, portavoce del governo macedone - cambiano la divisa e continuano a rifornirsi di armi». «Lo pensavamo anche noi - commenta un diplomatico occidentale - ma è più credibile l’altra ipotesi: sono in tanti, combattenti che non riconoscono più il comando dell’Uck, né pensano che la battaglia sia finita». Questo Esercito nazionale albanese si è dato una divisa diversa da quella nera dell’Uck, ha un proprio simbolo, comunica spesso via e-mail e tiene una base a Pristina, capoluogo del Kosovo. Il punto di riferimento ideologico è Ramos Haradinaj, leader del piccolo partito Alleanza per il futuro del Kosovo, un tempo collaboratore e amico del leader kosovaro Hashim Thaci, oggi suo acerrimo rivale. Ma chi si nasconde dietro quel nome di battaglia, Aquila della valle di Shari? Secondo fonti vicine alla guerriglia albanese, il capo militare dell’Ana è un certo Hasani, ufficiale fuoruscito dall’Uck, protetto dalle montagne intorno al villaggio di Tanushevci, al confine sopra Tetovo. «Ucciderò un soldato macedone per ogni casa albanese bruciata», fu la pubblica promessa Hasani. Il vizio della rappresaglia non gli è passato: le azioni più clamorose dell’Ana, l’8 e il 10 agosto, sono state la risposta all’uccisione della polizia macedone di cinque sospetti terroristi a Gazi Baba, il quartiere musulmano di Skopje.
Qualcosa del genere, una specie d’armata paramilitare, stanno tentando di metterla insieme anche gli slavi. «Makedonski Lavovi», i Leoni macedoni: li comanda il colonnello Aca Ziganot, che significa lo Zingaro, all’anagrafe Ivan Atanasovsky, 30 anni, uno che gira per villaggi e raccoglie appoggi ai suoi Leoni. Ha aperto un ufficio nella capitale. Dice d’avere campi d’addestramento, un milione di dollari, 500 uomini pronti a battersi contro l’Ana. Ma lui finora ha sparato solo parole.
copyright and courtesy of Corriere della Sera

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Maria Grazia Cutuli
sketch courtesy and © F.Sironi

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Farewell, good ol' Marjan...
The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself

Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope.  However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]

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INTERVIEW
with A. S. Massud
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