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Testata Epoca Data pubbl. 18/12/91 Numero 2149 Pagina 8 Titolo ...E TU COSA FARESTI? Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI ha collaborato Roberto Aquaro Sezione INCHIESTA Occhiello Il cittadino e la malavita Sommario A Taranto, una donna ha organizzato i commercianti vittime del racket. A Cerignola, dopo l' agguato a Michele Cianci, ora regna la paura. A Palermo c' è chi ha scelto di subire ancora. Che fare di fronte alla violenza, quando si è soli? "Epoca" è andata a visitare l' Italia dove i cittadini non si sentono protetti. E ha scoperto le molte facce della resa e del coraggio. Didascalia ECCO IN CHE MODO HANNO REAGITO CINQUE PERSONE COME NOI A VISO APERTO CONTRO LA MAFIA Libero Grassi, 67 anni, industriale. Il 10 gennaio 1991 denunciò un tentativo di estorsione. Otto mesi dopo, è stato "giustiziato" dalla mafia. MUTO PER PAURA DELLA MAFIA Pietro Cocco, 52 anni, imprenditore. La figlia Daniela è stata vittima di uno strano sequestro, non denunciato dal padre per paura della mafia. UNA BUONA AZIONE PAGATA CARA Michele Cianci, 43 anni, negoziante di Cerignola. La mattina del 2 dicembre sventa uno scippo. La sera, per vendetta viene ammazzato da un commando. IL CORAGGIO DI DENUNCIARE Gaetano Grasso, 32 anni, presidente dell' Associazione dei commercianti e imprenditori di Capo d' Orlando. Ha fatto condannare la banda che lo ricattava. IL DOVERE CIVICO PRIMA DI TUTTO Maria Ruta, 51 anni, agente di viaggio di Taranto. Ha mobilitato i commercianti. Risultato: un processo in corso e due avviati contro i clan. "NON INTENDO DIVENTARE UNA MARTIRE" Maria Ruta, 51 anni, è diventata l' implacabile accusatrice degli estortori pugliesi, che ha trascinato in un processo tuttora in corso. "Non ho alcuna intenzione" , dice, "di diventare un' eroina e tanto meno una martire" . Testo C' è una piccola storia d' Italia, parallela a quella ufficiale, che negli ultimi quattro mesi ha avuto delle accelerazioni considerevoli, e dei personaggi che ne hanno incarnato, con esiti differenti, lo spirito. E' la storia dei cittadini che non ci stanno, borghesi piccoli o medi stufi di aspettare che lo Stato intervenga a riportare l' ordine nelle loro vite, nelle loro attività commerciali o industriali. Cittadini che hanno a che fare quotidianamente con la famosa criminalità organizzata e che a un certo punto della loro vita, quasi contemporaneamente, hanno deciso di dire basta. Palermo, 29 agosto 1991. L' imprenditore Libero Grassi viene assassinato perché si è rifiutato di pagare il "pizzo" . Il fronte antimafia conta un nuovo martire, mentre l' Italia intera, sostiene l' ultimo rapporto Ispes, consacra a eroe nazionale l' uomo che ha avuto il coraggio di rendere pubbliche le pressioni del racket. Eppure proprio a Palermo, tre mesi dopo, il 2 dicembre, questo stesso eroe passa per uno "stupido" . Ad affermarlo è un altro imprenditore, Pietro Cocco, a cui è appena stata rilasciata la figlia, vittima di uno strano sequestro. Cocco, che non ha voluto denunciare il rapimento della ragazza per paura che c' entrasse la mafia, dichiara senza esitazione: "Uno come Grassi che si fa ammazzare è un eroe stupido. Non porta bene a nessuno" . Lo stesso giorno in provincia di Foggia, a Cerignola, un armiere, Michele Cianci, corre in strada per sventare uno scippo. Muore 12 ore dopo crivellato da un commando di killer. Tra la sfida solitaria ai clan e la sottomissione, esiste però anche una terza via: quella per esempio indicata da Gaetano Grasso, proprietario di un negozio di calzature a Capo d' Orlando. Forte dell' appoggio di un gruppo di commercianti del paese, Grasso è riuscito a portare alla sbarra e far condannare, nel processo che si è concluso il 27 novembre al tribunale di Patti, una banda di estortori. Strategia di gruppo, insomma, per evitare sacrifici inutili. Un metodo che da Capo d' Orlando sembra destinato a far proseliti. Mentre a Napoli sorge la "Consulta per la libertà d' impresa" , e a Ostia i commercianti inaugurano un telefono verde anti-racket, a Taranto si celebra proprio in questi giorni l' ultimo atto, il più recente, della lotta del cittadino contro i clan. Protagonista, una donna: Maria Ruta, 51 anni, presidente dell' Associazione dei commercianti, imprenditrice di solide sostanze e di ancor più solido carattere. "La maggior agente di viaggi del Mezzogiorno" , dicono di lei, per le tre agenzie Appia-Viaggi che gestisce tra Taranto e Brindisi, e per un centro congressi di cui è fondatrice e manager. Pur non essendo mai stata "taglieggiata" , Maria Ruta si è schierata senza incertezza dalla parte dei commercianti. Ha raccolto le loro denunce, ha portato in tribunale una banda di estortori e si è guadagnata una sfilza di appellativi: "pasionaria" , "nuova Giovanna d' Arco" , "lady di ferro" . Un carosello di etichette che la bionda manager del Sud, sempre impeccabile nei tailleur sagomati in vita, respinge con un moto di insofferenza: "Il mio impegno non è un' esibizione da prima donna: non ho nessuna intenzione di diventare un' eroina e tantomeno una martire alla Libero Grassi. Non vogliamo morti qui, stiamo cercando solo di salvare la città" . Salvare Taranto, appunto, dal dominio della mafia vincente, come quella dei fratelli Riccardo e Gianfranco Modeo, boss della Sacra Corona Unita. Criminali di peso, che non hanno esitato a far lanciare dai propri uomini, nell' agosto 1990, un avvertimento all' impavida signora, dopo che si era schierata pubblicamente a difesa dei commercianti: "Erano le dieci di sera, tre uomini armati davanti all' agenzia" , racconta. "Tre pistole puntate. Bruno Menga, il vicepresidente dell' Associazione, è finito all' ospedale, colpito in testa con il calcio di una pistola. Cosa ho fatto io? Non so se è stata incoscienza o coraggio, mi sono aggrappata al braccio di uno degli aggressori nel tentativo di fargli cadere l' arma. Poi è arrivato il 113" . Coraggio o incoscienza? Per Maria Ruta non c' è differenza. "Fa parte del mio modo di essere. Sono orgogliosa e in parte anche presuntuosa" . Figlia di un operaio, due sorelle, un fratello capogruppo repubblicano al Comune di Taranto, la "maggiore agente di viaggi del Mezzogiorno" lavora sodo, dalle sei a mezzanotte, da quando aveva 18 anni. Al banco di un' agenzia prima, mentre tentava anche di studiar sociologia; come imprenditrice dopo, nel 1972, quando ha aperto la prima sede dell' Appia-Viaggi. Altro? Pellegrinaggi a Lourdes, beneficenza, assistenza ai malati e agli anziani. Niente marito, né figli. Una donna tutta sola. Nel 1987 ha scalato i vertici della Associazione dei commercianti, eletta con Bruno Menga, gioielliere, ex ufficiale dei carabinieri, e Gianni Lagioia, assessore comunale Dc. Un anno, e la carica era tutta sua, prima donna in Italia, e per giunta al Sud, a diventare presidente dell' Ascom: "E' successo lo stesso giorno della morte di Marisa Belisario" , dice. "Non è un caso, forse, che il premio intestato alla manager, la Mela d' oro, sia toccato a me" . Una donna intraprendente. Ma anche i suoi avversari di oggi non scherzano. Il nome dei fratelli Modeo compare vicino a quello di Licio Gelli nella maxi inchiesta partita la scorsa settimana dalla magistratura di Palmi. Dal carcere, dove stanno scontando una pena per omicidio, continuano a dirigere i clan responsabili dei taglieggiamenti. Nella loro rete di estorsioni, con richieste di pizzo che vanno dai 50 ai 100 milioni, i marmisti del rione Tamburi, quartiere del cimitero, gli operatori del mercato ortofrutticolo, ma anche imprenditori e piccoli industriali. Uno di questi, Francesco d' Andria, titolare della concessionaria Iveco di Taranto, è arrivato a sborsare 260 milioni. "Ci sono voluti due anni di lavoro d' équipe" , Maria Ruta ci tiene a sottolinearlo, "per portare in tribunale il braccio destro dei Modeo, Cataldo Catapano, con una dozzina di affiliati" . Ma non è finita. Grazie alle denunce raccolte dall' Associazione commercianti, a Taranto stanno per partire altri due processi: uno al clan che opera nell' entroterra, l' altro a quello "specializzato" nelle estorsioni agli albergatori e ai ristoratori della litoranea. "La nostra città" , dice la signora Ruta, "non è una roccaforte mafiosa. C' è paura tra la gente, ma non certo omertà. Una prova? La serrata che abbiamo indetto il 14 settembre dell' anno scorso: hanno partecipato tutte le categorie" . E lei, signora Ruta, ha mai paura? Risponde con tono tranquillo: "No, non direi" . Ha anche rifiutato la scorta. Meno fermi alcuni dei commercianti chiamati in questi giorni al tribunale di Taranto per testimoniare: hanno ritrattato, negato di aver subito estorsioni. Da quando è cominciato il processo non sono mancate le bombe ai negozi, le telefonate intimidatorie. Un avvertimento ha raggiunto persino il presidente nazionale della Confcommercio, Francesco Colucci, la sera prima del suo arrivo a Taranto. "Sì, è vero" , conferma la signora Ruta, "hanno chiamato la moglie. E il messaggio era molto esplicito: dica a suo marito di non venire a Taranto. Per il processo però non mi preoccuperei. Ci sono altri testimoni che con le loro denunce hanno permesso agli inquirenti di raccogliere prove inconfutabili: filmati, registrazioni, intercettazioni telefoniche" . Il frutto di due anni di lavoro. E' infatti dal 1989 che Maria Ruta ha cominciato a prestare orecchio ai sussurri che arrivavano della sua categoria: "Durante le assemblee avevamo la sensazione che qualcuno volesse svelare un segreto. Siamo riusciti a strappare delle confidenze, a raccogliere voci, ma sempre in terza persona, fino al punto di decidere che era il momento di creare una linea telefonica riservata" . E' il primo passo, che porta la Ruta e gli altri dirigenti dell' Associazione a presentarsi in questura, in prefettura, poi a scrivere a Cossiga, Andreotti. Il capo della Polizia Vincenzo Parisi, toccato da tanto ardire, regala alla presidentessa e ai suoi due vice un orologio Cartier con lo stemma del Corpo. Ma la strada, per la Ruta, è ancora lunga. "Che Taranto fosse una città a rischio lo diceva anche il rapporto del presidente della Commissione antimafia, Gerardo Chiaromonte: 220 arresti domiciliari, 170 agenzie finanziarie, un numero di omicidi quasi raddoppiato negli ultimi due anni. Eppure, ci hanno attaccato tutti: la magistratura locale, i giornali, stupiti dal fatto che noi "persone di mezza età, benpensanti e ben inseriti nella buona borghesia tarantina" , assumessimo atteggiamenti tanto "destabilizzanti" " . Dopo un anno, in città arriva però la prima ispezione del ministero di Grazia e Giustizia. Polizia, carabinieri, magistratura hanno una scossa, mentre in città nasce una consulta che raggruppa, nella lotta ai racket, industriali, agricoltori, artigiani, negozianti. Il 14 luglio del 1990, i clan affiliati ai Modeo compiono un clamoroso autogol: un commando guidato da Cataldo Catapano irrompe tra i capannoni del mercato ortofrutticolo. Sgommando tra i box, gli uomini del racket urlano la loro richiesta ai 40 operatori: un milione al mese a testa, come pizzo. Parte la mobilitazione: il 7 agosto i commercianti del mercato presentano una denuncia anonima alla procura della Repubblica. Il 12 settembre, l' Associazione lancia la proposta di una serrata generale: "Arriva anche Sica" , racconta Maria Ruta, "a constatare di persona se c' è o no adesione di massa. La risposta è positiva. I nostri soci cominciano a fare i nomi degli estortori. Non parlano con me che sono una donna, ma si rivolgono al vicepresidente, Bruno Menga" . Le denunce arrivano alle forze dell' ordine, interviene la magistratura. Parte insomma l' indagine, che porterà al processo iniziato il 19 novembre. Un' avventura a lieto fine? "E' un momento molto delicato. Molti di quelli che si sono schierati con noi, anche a livello nazionale come ad esempio la Confesercenti, perseguono in realtà fini elettorali. Gli industriali sono praticamente assenti. C' è di buono però che, all' interno della Confcommercio, arrivano nuovi segnali dal Nord Italia: il Piemonte, la Lombardia sono molto interessati al nostro lavoro" . Una replica dell' esperienza "faro" di Capo d' Orlando? Smorfia della Ruta: "Quella è stata un' azione forzata, sorretta da una spinta politica" . Poi, più diplomaticamente: "A muoversi sono stati singoli individui, non un organismo sindacale. Noi lavoriamo in un' altra maniera: facciamo parte di un' associazione che non vuole creare eroi né effetti spettacolari. Quanto a me, so far sentire la mia parola, ma ho un gruppo alle spalle che decide" . Poi, con un breve sorriso: "Solo nelle mie agenzie comando io" . BOX MA GLI ITALIANI NON SI IMMISCHIANO Facile condannare mafiosi e fuorilegge a parole. Ma nella pratica? "Epoca" ha messo alla prova gli italiani, simulando sei situazioni che potrebbero capitare a chiunque di noi: ha chiesto all' istituto di ricerca Consulting Unit di Milano di sottoporre le domande, nei primi giorni di dicembre, a un campione di 800 cittadini, rappresentativo per età e area geografica del nostro Paese. Risultato? Prevale la volontà di non "immischiarsi" , di vivere e lasciar vivere. In alcuni casi, arrivando al punto di infrangere la legge. Assisti a uno scippo. Come ti comporti? Il 45 per cento soccorre la vittima a scippo concluso, il 4 per cento si limita a lamentarsi contro la delinquenza (11 per cento al Nord) e il 3 per cento ammette che non farebbe niente (quota che al Sud sale al 7 per cento). Tra coloro che intervengono, il 20 per cento tenta di bloccare lo scippatore (tra gli uomini la quota sale al 36 per cento) mentre il 24 per cento prova almeno a gridare. Ti chiedono di pagare il "pizzo" . Subisci? Quanti pagherebbero? Il 22 per cento. Tra questi, gli intervistati del Sud crescono al 53 per cento, mentre gli uomini sono più rassegnati delle donne (32 contro 12 per cento). Il 78 per cento proverebbe a non pagare: il 51 per cento rivolgendosi subito alle autorità (al Sud solo il 30 per cento), il 14 per cento chiedendo aiuto ad altri (il Sud sale al 21 per cento), l' 8 per cento rifiutando e basta. Nessuno risponde che chiederebbe il porto d' armi. Sei testimone di un delitto. Che cosa fai? Solo 4 italiani su 10 (il 43 per cento) si dichiarano disposti a testimoniare spontaneamente, mentre un terzo (33 per cento) testimonia solo se chiamato in causa e il 14 per cento manda una lettera anonima. Al Sud le testimonianze spontanee calano al 27 per cento, superate dalle lettere anomine (33 per cento). Infine, il 10 per cento non vuol essere coinvolto: il 4 per cento dimentica, il 4 è troppo scioccato, il 2 dubita dei propri sensi. Un conoscente ha attività illegali. Intervieni? Un italiano su tre (31 per cento) chiude gli occhi: non si interessa alla cosa, senza grandi differenze tra Nord e Sud. Il 29 per cento si rivolge alle autorità e il 12 scrive una lettera anonima (al Sud questa quota sale al 20). Seguono comportamenti temporeggiatori: il 14 per cento cerca di dissuadere il conoscente, l' 8 cerca di verificare meglio i fatti, il 6 ne parla solo con gli amici più stretti (solo donne, ma nessuna al Sud). E se sai che evade il fisco? Più della metà degli intervistati (57 per cento) non si interessa alla cosa (67 per cento al Sud). E l' 8 per cento chiede al conoscente come si fa. Sostanziale connivenza anche tra chi lo disprezza in silenzio (11 per cento che al Nord diventa 23). Reazioni "private" tra chi gli toglie il saluto (8 per cento) o lo dice a tutti gli amici (6 per cento). Denuncerebbe l' evasore solo il 10 per cento, quota che al Sud cala ulteriormente al 6 per cento. O che addirittura spaccia droga? Poco più della metà degli intervistati si impegna personalmente denunciando lo spacciatore (55 per cento, 27 al Sud). Un quarto (25 per cento, 40 al Sud) si limita a non frequentarlo più, allontanando da sé il problema. Il 14 per cento tenta di redimerlo (al Nord solo il 5 per cento) e il 6 per cento lo isola dagli altri per impedirgli di nuocere. Nessuno dichiara di non fare niente e nessuno pensa di affrontarlo o minacciarlo. Testata Epoca Data pubbl. 04/12/91 Numero 2147 Pagina 66 Titolo VITA, SOGNI E DOLORI DELLA CANDIDA ISABELLA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI - FOTO DI GIORGIO LOTTI Sezione STORIE Occhiello Isabella Ceola Sommario L' abbiamo conosciuta nello show di Costanzo. E come Cossiga, che l' ha chiamata in diretta, siamo stati affascinati. Che mistero nasconde quella figurina di ragazza invecchiata troppo in fretta? Dove trova tanta forza? L' abbiamo incontrata a casa sua, a Bologna. E, tra un corso di astronomia e uno di danza, ecco che cosa ci ha raccontato. Didascalia A fianco: Isabella Ceola, 22 anni, nella sua casa di Bologna, guarda alla televisione la registrazione di una delle due puntate del "Maurizio Costanzo Show" (18 ottobre e 18 novembre) in cui è stata ospite. Sopra: Isabella a scuola di danza, dove si reca due volte alla settimana. "CON GLI AMICI VADO SPESSO IN UNA DISCOTECA DOVE SI FA MUSICA BRASILIANA" Sopra: Isabella nella sede dell' Aias, l' Associazione che si occupa di handicappati, dove lavora al centro documentazione. A fianco: con Paola (a destra), la sua amica più cara, con la quale a Natale farà un viaggio a New York, e un' altra conoscente. Nella pagina accanto: nel salotto di casa sua, dove vive con il padre, Sergio, e la madre, Franca. La sorella di Isabella, Cristina, lavora a Venezia. Sopra: Isabella Ceola nel cortile dell' Università di Bologna, dove studia Astronomia. Testo Una palestra alla periferia di Bologna. Le note di una melodia al pianoforte accompagnano gli esercizi di una dozzina di ragazze. Gesti lenti, composti. Poi, una figurina fasciata di nero, con un foulard bianco attorno alla testa. Sembra una bambina, con le movenze di un folletto, se non fosse per il viso che mostra l' impronta sconcertante di una "diversità" . Balla anche lei, insieme alle altre. Lo sguardo fisso a seguire la musica, le braccia in alto ad assecondare il ritmo della danza. Si chiama Isabella Ceola, ha 22 anni e una malattia che le ha stravolto l' età. "Progerie" si definisce in termini medici, sindrome da invecchiamento precoce. Un morbo rarissimo, meno di venti casi in tutto il mondo. Un' alterazione genetica che accelera, in maniera devastante, gli effetti del tempo. Isabella ne soffre da quando è nata, ma non si è mai rassegnata a una vita da invalida. Di sera studia danza classica, di pomeriggio fa volontariato per gli handicappati, la mattina frequenta l' università, terzo anno di astronomia. Senza mai smettere di lottare contro la sua anomalia, sfidando la sorpresa e la curiosità della gente. Fino al punto di decidere, poco più di un mese fa, di raccontare il suo caso in pubblico al Maurizio Costanzo Show. Un trionfo. La lucidità, l' ironia, l' ottimismo di questo folletto, dagli occhi azzurrissimi sottolineati da una riga di eye-liner e una pennellata di ombretto, hanno commosso mezza Italia. Lettere, telefonate, una chiamata in trasmissione persino dal presidente della Repubblica, così che Maurizio Costanzo l' ha rivoluta in tivù la settimana scorsa, moltiplicando gli effetti della sua apparizione. Chi le scrive: "Isabella, ti amo" . Chi la ringrazia per le sue parole di speranza. Chi la ferma per strada. Chi le chiede un aiuto contro la depressione e i momenti neri. "Come se all' improvviso fossi diventata la Madonna" , dice lei, un po' felice un po' imbarazzata da tanta notorietà. E un po' infastidita: "Mi arrivano persino in casa, all' ora di pranzo, all' ora di cena, senza tanto rispetto. Come fossero in pellegrinaggio" . Isabella rifiuta la pietà. E' comparsa in tivù per esorcizzare la paura e lo scherno della gente che per anni l' ha importunata per strada con sguardi, frasi, interrogativi invadenti, trattandola come un fenomeno da baraccone. Ma rifiuta anche questo nuovo ruolo di santo protettore che qualcuno le ha indebitamente affibbiato: "C' è stato un ragazzo" , racconta, "che mi ha praticamente detto: fai di me quello che vuoi, sono depresso, disperato, solo, ho bisogno del tuo sostegno. Mi cercava a ogni ora, era diventato un' ossessione. Come ho reagito? Calma, guarda che io ho la mia vita, gli ho detto. Ho il diritto alla mia privacy" . La privacy, appunto: la palestra dove ogni giorno, faccia a faccia con la sua diversità, Isabella ha addestrato le proprie capacità di resistenza, la forza psicologica che le permette di affrontare i momenti di crisi, di non soccombere alle sue fobie. "Quando sono depressa mi chiudo in camera, preferisco stare da sola a pensare. Ho delle persone con le quali mi confido, ma prima di tutto so che devo contare su me stessa" . Mostra il suo letto, nella casa dove vive con i genitori, pieno di pupazzi di peluche, "si capisce che mi piacciono, vero?" , e una miriade di foto appese ai muri. C' è Gianni Morandi, seduto con lei nella platea vuota di un teatro, un' immagine di Renato Zero, un' altra della sorella maggiore che ora vive a Venezia e tanti, tantissimi ritratti suoi, scattati a varie età. Isabella nella culla, "sono nata che ero normale, vedi?" . Isabella a un anno con i capelli biondissimi, "mi prendevano per una svedese" , e un' espressione buffa che lasciava appena intuire la malattia che di lì a due anni sarebbe esplosa in maniera irreparabile. A raccontare com' è successo, preferisce chiamare la madre, la signora Franca, una bella donna bionda che non dimostra i suoi 50 anni: "A sette mesi la bambina è stata ricoverata per una gastroenterite. I medici non capivano cosa avesse. Risultato: l' abbiamo riportata a casa che era ridotta pelle e ossa, completamente disidratata. Le avevano dato 15 giorni di vita" . Da lì a qualche mese Isabella finisce al reparto Gozzadini dell' Ospedale Sant' Orsola di Bologna. Ci resterà per quasi sei anni, con l' angoscia di una diagnosi senza scampo e la previsione di una morte che sarebbe comunque arrivata, dicevano i dottori, entro gli otto anni di vita, o forse i tredici, o forse i quindici. "Abbiamo scritto a un centro di Houston, dove, sapevamo, avevano in cura dei casi di invecchiamento precoce. Ma non c' è stata data nessuna risposta. Siamo andati a Roma, consultato decine di medici, sempre con lo stesso esito: di fronte alla parola "progerie" scuotevano la testa" , continua la signora Franca, "e, senza neanche guardare la cartella, se ne lavavano le mani" . Analisi, controlli, terapie. Misteriosamente nessun dato clinico ha mai rivelato la malattia di Isabella. Gli organi interni hanno continuato a funzionare perfettamente, a 15 anni è anche arrivato il ciclo mestruale. "Solo le cellule dell' epidermide sembravano impazzite, come se seguissero dei ritmi propri che nulla avevano a che vedere con l' età di mia figlia" , dice ancora la madre scuotendo la testa. L' arteriosclerosi, la bronchite, quei malanni tipici dell' invecchiamento che i medici avevano prognosticato, non ci sono mai stati. Anzi, con gli anni lo sviluppo mentale di Isabella, la sua maturità sono cresciuti in maniera direttamente proporzionale al decadimento fisico. Così come la voglia di vivere. "Si è fatta un carattere forte" , dice la madre, "autoritario" . Ha sempre cercato di capire, decidere in prima persona ogni intervento, aiutata dai genitori che hanno messo al bando in famiglia la parola "diversità" . "Mi hanno fatto frequentare la scuola pubblica, i corsi di danza" , racconta Isabella, "mi hanno sempre permesso di agire da sola. Hanno accettato anche che a un certo punto sospendessi tutte le cure. Ero stanca di far la spola con gli ospedali" . A 15 anni, però, un nuovo tentativo di terapia, stavolta da un omeopata: "Le uniche cure che finalmente mi sono servite. Ho visto le mie rughe diminuire, i denti ricrescere, si è formato anche uno strato lipidico sottocutaneo. Ma sono cure lunghe" . Lunghe e costose. Nessuna Usl prevede il rimborso per i "rimedi" omeopatici. Così come nessuna struttura pubblica a Bologna ha mai aiutato la famiglia Ceola, padre direttore di un negozio di abbigliamento, madre casalinga e l' altra figlia di 25 anni che fa la commessa a Venezia, a sostenere le spese necessarie. In questi anni, con il morbo che avanzava, Isabella si è messa alla prova dappertutto. Ha dovuto staccarsi dalla sorella, quando questa è andata a lavorare a Venezia, imparare a girare da sola, a prendere il tram, a viaggiare in treno, a conquistare la sua sicurezza a tappe forzate. "L' impatto con la gente, lo ammetto, è sempre durissimo. Devo essere io a fare il primo passo, a vincere la diffidenza" . Per strada, a scuola, tra gli sguardi indiscreti della gente, nei locali pubblici, nei bar, nei cinema. "Non mi sono mai negata niente. La sera esco con gli amici. Vado spesso in una discoteca dove fanno musica brasiliana. Si balla sui tavoli, si canta, ci si diverte da impazzire. L' università mi piace meno, lì l' ambiente è più freddo, mi sento isolata" . Nell' atrio della facoltà gli studenti le passano accanto guardandola di striscio. Lei, gli occhi appena truccati, una pennellata di rossetto sulle labbra, il foulard in testa per nascondere la calvizie, sale le scale, va in aula, scende un' ora dopo, insieme a un gruppo di colleghi dai quali si separa quasi immediatamente. "Continuo a studiare. Voglio diventare ricercatrice" . Il futuro: un' agenda piena di progetti. "Voglio imparare a guidare, poi prendere casa da sola. Ho bisogno della mia autonomia. Mi piacerebbe anche andare a lavorare all' estero" . Paura della solitudine? "No" , giura, "da sola sto benissimo: i miei ritmi, la mia intimità, me stessa, sono le cose più importanti che ho" . La sera, però, un' ombra di tristezza. "Verso le sette e mezza, le otto. E' l' ora dell' angoscia, il momento in cui se non avessi gli amici, se non sentissi che c' è una famiglia attorno a me, potrei sprofondare" . I fantasmi di Isabella si affacciano per un attimo: "Sono ancora giovane e vorrei vivere a lungo... Ho paura degli spazi chiusi. Non prendo mai l' ascensore" . E la madre? "No, a lei preferisco nascondere i miei momenti di buio. Con lei mi sono fatta una maschera. Sa che sono forte, non posso mostrarle i miei lati deboli. Non mi sembra giusto rattristarla con le mie crisi" . Crisi inevitabilmente ricorrenti, come quella di un anno fa, quando Isabella ha deciso di far volontariato: "Mi ha salvata l' incontro con un ragazzo che lavorava per il centro documentazione dell' Aias, l' associazione che si occupa di handicappati. Ho così cominciato anch' io, un paio d' ore al pomeriggio" . Gli uffici dell' Aias sono vicino a casa. Isabella ci va in compagnia di Paola, l' amica del cuore, la compagna d' infanzia, una brunetta che l' ha seguita anche in televisione strappando a Maurizio Costanzo la promessa di un viaggio a due a New York che faranno a Natale. Paola le tiene la mano. Parlano del viaggio, ovviamente. Un amico che è appena entrato saluta: "Ciao diva, con questa storia della televisione ti sei proprio montata la testa" . Adesso che per strada la gente la ferma per congratularsi e stringerle la mano, Isabella sente in qualche modo di aver riportato una vittoria decisiva. Ha dimenticato e ha fatto dimenticare con la sua apparizione in tivù, con i suoi occhi giovanissimi e vivaci, il suo corpo sfigurato dalla malattia. "Le persone che mi amano non stanno a badare al mio aspetto fisico. Ci sono amici che mi trovano "bella" . E poi, mi viene in mente, qualche anno fa: ero al mare, sotto l' ombrellone. Ad un certo punto vedo un bambino, piccolo, avrà avuto tre o quattro anni al massimo. Mi si avvicina, mi guarda stupito e poi mi dice, accarezzandomi: "bella" . Subito arriva il padre, lo tira via imbarazzato, sussurrando a mezza voce: "Mi scusi, mi scusi" " . C' è un pizzico di civetteria nella voce della ragazza quando parla della cura che dedica al suo corpo invecchiato, al suo volersi sempre presentarsi "bene e in ordine" , ma anche tanta lucidità: "Il problema del mio aspetto fisico sicuramente c' è e non si può negare" . Oltre l' amicizia, infatti, altri affetti più difficili da conquistare, terreni pericolosi, zone off-limits in cui la sua diversità diventa un muro: "L' amore? No, non mi è mancato. Purtroppo però è stata ogni volta la stessa storia. Un ragazzo mi si avvicina, crede di essere innamorato di me. Poi non ce la fa a superare lo scoglio. Non ci prova nemmeno, preferisce fuggire, "mettere la testa sotto la sabbia" come mi ha appena detto uno di cui sono innamorata. Vorrei non farne una malattia. Certo mi piacerebbe avere un appoggio affettivo, ma pazienza..." . Isabella, la fata senza età, vorrebbe credere nelle favole, o, forse, nei miracoli. Ma conosce fin troppo bene le regole del gioco. E' quasi cinica quando dice: "Non li invidio questi uomini che ho incontrato. Le loro passioni estetiche, i loro narcisismi patologici. Sanno amarsi, ma solo se si guardano allo specchio e si trovano belli. Sotto sotto non si vogliono bene affatto. Forse io, con la mia faccia, mi amo molto più di loro" . Testata Epoca Data pubbl. 20/11/91 Numero 2145 Pagina 72 Titolo EUTANASIA E VOI COSA FARESTE? Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI E ROMANO GIACHETTI Sezione STORIE Occhiello Dopo il no degli americani Sommario Lo Stato di Washington ha rifiutato il suicidio assistito. Ma la battaglia per la "morte dolce" è appena agli inizi, e non solo negli Usa. Il Parlamento europeo sta preparando una proposta, permissiva, in materia: se verrà approvata, renderà ancor più incandescente il dibattito tra sostenitori della libera scelta dell' individuo e difensori della vita a tutti i costi. Ecco le ragioni degli uni e degli altri, e un sondaggio sul punto di vista degli italiani. Didascalia LA MACCHINA FATALE La macchina inventata dal dottor Jack Kevorkian. Il 4 giugno 1990 il medico la mise a disposizione di Janet Adkins, 52 anni, affetta da morbo di Alzheimer, per aiutarla a morire. Rinviato a giudizio per omicidio volontario, Kevorkian è stato assolto. LO CHIAMANO IL "DOTTOR MORTE" Il dottor Jack Kevorkian, 63 anni, che ha realizzato la macchina dell' eutanasia. I suoi oppositori lo hanno soprannominato "dottor Morte" . Il 23 ottobre tutte le tivù americane hanno presentato un videotape, girato dalla sorella del medico, in cui due donne, affette da mali incurabili, chiedevano a Kevorkian di essere aiutate a morire. Entrambe si sono poi suicidate assistite dai propri familiari. IL CATTOLICO CHE DICE DI SI' Il professor Hugo Tristram Engelhardt, medico-filosofo del centro di Bioetica di Houston, nel Texas. Cattolico convinto, è uno dei più decisi sostenitori dell' eutanasia. Il professor Engelhardt ha partecipato la scorsa settimana a Milano a un convegno del centro Politeia dove ha spiegato la sua posizione: "Come laico credo che la decisione di ricorrere al suicidio debba essere lasciata alla coscienza dei malati" . Testo La "Morte con dignità" è stata sconfitta. Il milione e mezzo di votanti che la settimana scorsa potevano fare dello Stato di Washington la prima comunità al mondo dove sarebbe stato legalizzato il "suicidio con assistenza medica" , hanno respinto la legge 119. Ma le percentuali del voto, 54 contro 46 per cento, ribadiscono che il tema eutanasia non scomparirà dall' agenda degli anni Novanta. Se infatti negli Stati Uniti c' è già chi sostiene che l' anno prossimo la "dolce morte" potrebbe essere accettata in California e Oregon, dall' altra parte dell' oceano, a Bruxelles, il Parlamento europeo lavora a pieno ritmo su una proposta di legge abbastanza permissiva che dovrebbe servire da direttiva per gli Stati comunitari, Italia compresa. La questione è gigantesca. Permettere a un medico di sospendere le terapie di mantenimento, staccare la spina (eutanasia passiva) o addirittura fornire i mezzi a un malato terminale per porre fine ai propri giorni (eutanasia attiva), significa liberarlo da un dolore spesso atroce; ma significa anche troncare una vita. Sui fondamenti etici e scientifici di tale decisione il dibattito divide l' America, periodicamente squassata dalle gesta di Jack Kevorkian, il famigerato "dottor Morte" , che proprio poche settimane fa ha presentato un video sull' addio al mondo di due donne, entrambe suicide con il suo aiuto. Ma spaventa anche l' Europa. In Belgio ad esempio, è stato appena incriminato per omicidio volontario un medico di Nivelles: aveva somministrato via endovena una dose letale a un malato di cancro. E pure in Francia l' Ordine dei medici nel 1990 non ha esitato a sospendere dalla professione, per le sue idee a favore dell' eutanasia, Leon Schwartzenberg, autore di un rapporto presentato alla Commissione ambiente e sanità del Parlamento europeo. In Italia l' ipotesi del "suicidio assistito" , messa al bando dal fronte cattolico, lascia perplessi anche i laici. I politici, ad esempio, hanno abbandonato la questione nelle mani del Comitato nazionale per la bioetica. Un documento di questo organismo fa intravedere la possibilità di soddisfare le richieste dei malati terminali, ma in termini ancora molto generici. "In sostanza siamo fermi a quello che stabilisce la legge italiana: no all' eutanasia sia passiva che attiva" , dice il senatore democristiano Adriano Bompiani, presidente del comitato. "Certo, abbiamo preso in considerazione l' orientamento del Parlamento europeo, con l' obbligo però di chiarire fino a che punto il medico abbia il "dovere" di intervenire in un campo in cui è in gioco anche la sua coscienza" . La coscienza, appunto. Un nodo che va al di là della fede religiosa, come dimostra il sondaggio realizzato per Epoca dalla società Swg di Trieste: se il 48 per cento degli italiani, contro il 37 per cento, inorridisce all' idea che un malato incurabile possa avere il diritto di accelerare la sua morte, il 75 per cento è comunque fermamente convinto che l' eutanasia sia un problema che riguarda unicamente l' individuo e non la legge. Su questo, ancora una volta, fanno da battistrada le posizioni americane, come quelle del medico-filosofo Hugo Tristram Engelhardt, fondatore del centro di Bioetica di Houston, teorico di una mediazione difficile: cattolico convinto, è nello stesso tempo un sostenitore accanito del diritto alla "dolce morte" . Invitato a Milano, un paio di giorni dopo il referendum dello stato di Washington, dal Centro di studi etici Politeia, Engelhardt ha subito chiarito la contraddizione: "Come cristiano sono assolutamente certo che aiutando un paziente a morire rischio di finire all' Inferno. Come laico credo però che la decisione di ricorrere al suicidio debba essere lasciata alla coscienza dei malati" . C' è poi un' altra ragione per cui Engelhardt spinge per l' eutanasia. Ed è una ragione molto terrena: "Le cosiddette "cure intensive" sono spesso dolorose per il paziente, inefficaci ai fini della guarigione, e sicuramente troppo dispendiose per il nostro sistema sanitario" . La famosa etica del risparmio, insomma. Limitare l' accanimento terapeutico, e su questo concorda anche la Chiesa cattolica. Ma come decidere se togliere o meno la vita a un paziente nel caso in cui non sia presente a se stesso nel momento della scelta fatale? "Con il "living will" , il testamento biologico" , risponde Engelhardt. "Un modulo da compilare obbligatoriamente, che dal primo dicembre verrà introdotto in quasi tutti gli ospedali americani, in cui il malato specificherà fino a che punto intende essere curato e a chi affida, in caso di coma, la decisione sulle terapie alle quali essere sottoposto" . Dietro il "living will" , l' eco di una vicenda che l' anno scorso tormentò gli americani: l' autorizzazione, data dal tribunale della contea di Jasper nel Missouri, ai coniugi Cruzan di staccare dalla "macchina della vita" la loro figlia Nancy, 32 anni, in coma irreversibile dal gennaio del 1983. Come accertare che il desiderio della giovane sarebbe stato proprio questo? Se le lacrime, il dolore dei genitori, le testimonianze del personale medico convinsero la Corte, non riuscirono però a frenare i cortei di protesta. E' l' America che a Seattle, in occasione del referendum indetto nello Stato di Washington, si è stretta attorno all' arcivescovo Thomas Murphy, quando dal pulpito, raccontando come lui stesso si sia miracolosamente salvato da un tumore, ha tuonato: "Solo Dio ha il diritto di toglierci la vita" . Dagli Stati Uniti all' Italia, è proprio questo il punto di frattura tra laici e religiosi: il valore dato alla volontà individuale, un valore che, secondo Maurizio Mori di Politeia, "la Chiesa cattolica considera sospetto" . Sull' eutanasia infatti basta sentire le parole di monsignor Elio Sgreccia, presidente del centro di Bioetica dell' università cattolica di Roma: "E' l' approdo patologico di una società edonista e perciò omicida e suicidaria" . O, sul versante politico, quelle di Roberto Formigoni, leader di Cl: "Non siamo solo noi i padroni della vita. Le posizioni della Chiesa sono chiarissime. Non altrettanto, direi, quelle del Parlamento europeo che continua a far confusione tra cure "palliative" ai malati terminali e eutanasia passiva" . Il testo presentato da Leon Schwartzenberg contiene infatti margini di ambiguità: si parla della necessità di somministrare terapie appropriate anche ai malati che non hanno speranza di guarigione, ma nello stesso tempo dice che, qualora le cure fallissero e il paziente dovesse chiedere che "sia fatta cessare un' esistenza per lui priva di qualsiasi dignità" , un collegio di medici dovrebbe soddisfare il desiderio del malato. Direttiva generica, che in Italia non è certo servita a ricompattare il fronte pro-eutanasia che si era formato qualche anno fa. Un fronte in questo momento disperso, che ha lasciato in Parlamento un' unica proposta di legge, quella del socialista Filippo Fiandrotti: "Si deve privilegiare ovviamente la volontà del paziente. Se è impossibile farlo" , dice il deputato del Psi, "il medico ha il dovere di rivolgersi ai parenti e all' autorità religiosa. E se i parenti non sono d' accordo, c' è sempre il ricorso alla magistratura" . Clamorosa la scomparsa dei radicali che a Milano con Adele Faccio erano arrivati addirittura a fondare un club di aspiranti suicidi, tutti in pienissima salute, in possesso però di una tessera in cui dichiaravano la loro disponibilità ad accelerare la fine in caso di malattia inguaribile. Il club chiuse i battenti nel 1989, sulla scia di un processo che costò una condanna a quattro anni di carcere ad uno dei suoi fondatori, Guido Tassinari, accusato dai coniugi Sant' Angelo di aver assistito, o addirittura istigato, il loro figlio, Umberto, a suicidarsi. Un capitolo che oggi Adele Faccio liquida così: "Non è come la battaglia per l' aborto, dove avevamo dietro tutto il movimento femminista. Questa è una cosa privata che non può esere tratta da una legge. L' Italia non è certo pronta" . L' Italia dei politici, o anche l' Italia dei medici? L' unica presa di posizione "attiva" in favore dell' eutanasia è quella del dottor Giorgio Conciani che da Firenze dispensa consigli telefonici per un morte rapida e indolore a disperati in cerca di aiuto. Molti operano invece nell' ombra, in cliniche e ospedali in cui spesso le fini "accelerate" sono destinate a rimanere solo un sospetto senza prova. Ci sono poi i medici del circuito specializzato in cure "palliative" ai malati terminali. Uno di loro, Giorgio Di Mola, anestesista, presidente a Milano della fondazione Floriani, dice: "Non accettiamo certo di trasformarci in killer. Riteniamo però un nostro dovere rimanere accanto al malato anche nel momento in cui dovesse decidere di abbandonare la vita. E' una richiesta che giudico assolutamente lecita. Finora ci siamo limitati a somministrare farmaci che stronchino il dolore portando allo stato di incoscienza" . E nel caso in cui il malato sia in coma e i familiari chiedano un intervento risolutorio? "Ci rifiutiamo categoricamente, anche se le famiglie spesso sono disposte a tutto. Una flebo, un' iniezione banale ed è fatta. Difficile trovare le prove di un presunto omicidio" . Non le ha trovate in America neanche il tribunale di Detroit, che infatti ha dovuto assolvere Jack Kevorkian dall' accusa mossagli dalla procura del Michigan. Kevorkian, il crociato della "Massima pietà" , come lo definiscono i suoi sostenitori, l' anno scorso aveva favorito il suicidio di Janet Adkins, una donna affetta dal morbo di Alzheimer. Ma adesso Kevorkian è già alle prese con una nuova imputazione (vedi riquadro pagina 74) e intorno a lui, ai molti che la pensano come lui, il clima è forse rapidamente cambiato. Nonostante i sondaggi pre-referendum dessero un 70 per cento di favorevoli alla morte assistita, la legge 119 non è passata. Ai promotori della campagna per la "Morte con dignità" non è giovata nemmeno la popolarità del loro leader, il dottor Derek Humphry, autore di un fortunatissimo e macabro best seller, Final Exit, in cui si suggeriscono tutti i metodi possibili per andarsene senza dolore all' altro mondo. Il caso ha voluto che proprio negli stessi giorni in cui il popolo di Seattle andava alle urne, a New York morisse, soffocato dal gas di scarico della propria macchina, un giovane emigrato romeno, George Vulpe. Aveva accanto il testo di Humphry. E non pare si trovasse allo stadio terminale di una malattia. BOX SE SI VOTASSE IN ITALIA Sondaggio sull' eutanasia. Vincono ancora i no. L' eutanasia è prima di tutto un problema di coscienza individuale: ne sono convinti tre italiani su quattro. Ma solo uno su tre (esattamente il 37,1 per cento) ritiene che una persona affetta da un male incurabile abbia il diritto di accelerare la sua morte, contro il 47 per cento che nega questa possibilità. E ancora: il 44 per cento non ritiene responsabile chi permette ad un malato terminale di morire, mentre il 42 per cento è per la sua condanna. Sono questi i risultati di un sondaggio sull' eutanasia effettuato la scorsa settimana dalla Swg di Trieste, per conto di Epoca, su un campione di mille persone maggiorenni, di cui il 52,3 per cento donne. Se paragonato a due sondaggi analoghi effettuati nel 1985 e nel 1988, si nota che il numero degli italiani favorevoli all' eutanasia è aumentato del 9 per cento rispetto a 6 anni fa, ma diminuito dell' 1 e mezzo per cento rispetto al 1988. I contrari sono invece diminuiti sia rispetto al 1985 (- 11,7 per cento), sia rispetto al 1988 (-5,3 per cento). In conseguenza sono aumentati gli indecisi, passati dall' 11,8 per cento di sei anni fa, al 15 per cento di oggi. In particolare i favorevoli alla dolce morte si ritrovano tra le fasce più giovani, tra gli uomini e tra i residenti nelle regioni del nord. Sul problema di chi debba decidere quando è il caso di intervenire con l' eutanasia, il 56,8 per cento degli interpellati ha risposto l' ammalato, il 17,5 il medico, il 7,7 i parenti. Testata Epoca Data pubbl. 13/11/91 Numero 2144 Pagina 32 Titolo BAUDO SOTTO TIRO: 'MA PERCHE' IO?' Autore DI RAFFAELA CARRETTA E MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Mafia all' attacco / 1 Sommario Con l' attentato al più popolare dei presentatori tivù, la malavita ha lanciato una sfida a sensazione. Un avvertimento al "Pippo nazionale" per le sue attività economiche in Sicilia, una vendetta per l' impegno civile contro le cosche o solo un' affermazione di potenza? Di certo almeno un obiettivo gli attentatori l' hanno ottenuto: far sapere che in Sicilia, nessuno è intoccabile. Didascalia Pippo Baudo con un ufficiale dei carabinieri durante il primo sopralluogo, lunedì 4 novembre, nella sua villa di Acireale (Catania) distrutta dall' attentato rivendicato dalla "Falange armata" . Pippo Baudo nel grande salone della sua villa sul golfo di Santa Tecla, ad Acireale, durante un recente soggiorno. A Santa Tecla, Pippo Baudo aveva trascorso la luna di miele dopo il matrimonio con il soprano Katia Ricciarelli. PRIMA La villa di Baudo com' era fino all' attentato di sabato 2 novembre. Antica casa rurale, l' edificio era stato ristrutturato nel 1985: quattro grandi vani, una piccola dependance, una piscina e un parco con aranci, banani, mandarini, era il rifugio del presentatore. DOPO Due cariche, per dieci chili d' esplosivo, e benzina hanno ridotto così la villa del presentatore. Gran parte dei muri, costruiti in pietra lavica e spessi anche fino a ottanta centimetri, sono stati letteralmente sventrati dalla potenza dello scoppio. E' STATO QUESTO SCENEGGIATO TIVU' ALL' ORIGINE DELL' ATTENTATO? Leopoldo Trieste, Marco Vivo e Anne Canovas, nello sceneggiato "Un bambino in fuga-Tre anni dopo" , andato in onda su RaiUno. Baudo aveva collegato la storia televisiva con quella di Domenico Facchineri, un bambino coinvolto nella faida tra due famiglie che da anni insanguina Cittanova, in provincia di Reggio Calabria. Testo Il Baudo televisivo pubblicamente schierato contro la mafia. Il Baudo trasgressore del silenzio dovuto sul rapporto verità-finzione che lega la faida calabrese dei Facchineri e la fiction tivù del Bambino in fuga. Oppure l' uomo d' affari amico dell' editore-imprenditore Mario Ciancio. O ancora, il catanese importante rientrato come direttore artistico dello Stabile nell' enclave delle autorità cittadine. Quale dei tanti Baudo si è voluto colpire? A qualche giorno di distanza dall' attentato "professionale" che ha ridotto in macerie la villa di Santa Tecla, vicino ad Acireale, come da copione: "Buio sull' inchiesta" . Un buio ispessito dalla composizione a strati del Baudo uomo pubblico "a 360 gradi" . Che però, da qualunque lato lo si guardi, riduce a irresistibile scemenza le piste sui vari moventi: che sproporzione, che distanza tra la minutaglia delle cause, e gli effetti dirompenti di due cariche di tritolo e benzina che hanno gonfiato e poi sbriciolato, come un pallone troppo teso, le pareti bianche, i divani di midollino, i quadri astratti della villa sulla "Timpa" di Acireale. Salvando: la piscina, le terrazze di aranci digradanti, un pupo siciliano e una foto incorniciata di Pippo e signora. Adesso si aggiunge ai tanti Baudo conosciuti, anche quello molto arrabbiato che in diretta con Antenna Sicilia, l' emittente locale di cui lo si vuole socio, sbotta in un inconsueto: "Mi sono rotto i coglioni" . Detto in risposta alle dichiarazioni di Claudio Fava (deputato regionale delle Rete, e figlio di Giuseppe, il giornalista assassinato dalla mafia a Catania): "Baudo, silenzioso e spregiudicato si è sempre mostrato abilissimo a ritagliarsi amicizie politiche e imprenditoriali. L' attentato fa capire che qualcosa sta accadendo... che a Catania non esistono più intoccabili" . Baudo querela e manda a dire: "Si vede che sono un intoccabile che hanno toccato" . Esattamente un anno fa a Epoca Baudo diceva: "La mafia non si è mai fatta sentire. Nessun rapporto, nemmeno un tentativo, da parte loro, di avvicinamento. Mi ritengo fortunato, non bravo. Il fatto è che i mafiosi di casa, oltre che di Cosa Nostra, sono ben diversi da quelli raffigurati dal Padrino. Il mondo dello spettacolo non li interessa, lo ritengono estraneo... sono rimasti al mito della soubrette, della canzonettista. E poi, forse, hanno influito certi miei pronunciamenti pubblici" . Cosa è cambiato da allora? Messa da parte la categoria della canzonettista, la mafia ha rivalutato forse l' importanza dello spettacolo come palcoscenico per rappresentare se stessa in modo esemplare, "cercando un' operazione di marketing" , come afferma l' ex sindaco di Catania Enzo Bianco? O ha esagerato Baudo col suo interventismo anti-mafia, invocando nello special di Samarcanda_Costanzo Show "leggi e mezzi eccezionali, per una situazione eccezionale" ? La tesi dell' avvocato Angelo Bruzzese, legale della famiglia Facchineri è leggermente diversa. Attenti ai tempi, dice il legale: "Lo sceneggiato in televisione non c' entra: siamo di fronte a un atto di sciacallaggio" . Quando alle 23,20 di sabato 2 novembre, il metronotte della "Nuova Invincibile" se ne va dopo aver infilato il suo bollino di controllo nel cancello della Villa di Santa Tecla numero 88, Baudo, a Roma, è reduce da una settimana turbolenta. Nella puntata precedente di Domenica In, ha infatti rivelato che lo sceneggiato televisivo Un bambino in fuga-Tre anni dopo, non è invenzione pura. Ma trasposizione di una storia vera, quella del ragazzo Domenico Facchineri, nome falso, cognome vero, membro di un clan calabrese (di Cittanova, provincia di Reggio Calabria), dal 1964 in lotta con le famiglie avverse dei Raso-Albanese. Apriti cielo. Insorge la comunità che ha preso in affidamento il ragazzo per proteggerlo dalla catena familiare di vendette. Insorgono i Facchineri. E mentre l' avvocato Bruzzese chiede alla Rai la sospensione dello sceneggiato, un membro della famiglia chiama Baudo al telefono. Racconta Paolo Taggi, uno dei responsabili di Domenica In: "Ero presente alla telefonata, che è stata civile. L' interlocutore deve aver detto qualcosa come: "Noi siamo brava gente..." . E Baudo: "Ma guardi che l' unica cosa che mi interessa è che smettiate di sparare" . Si sono accordati" . Domanda dell' avvocato Bruzzese: ha senso che i Facchineri telefonino per cercare un accordo, e, dopo averlo ottenuto, ma ancor prima che la rettifica vada in onda, ci ripensino e facciano saltare in aria la villa? Conclusione: "Gli autori dell' attentato si servono di queste polemiche come alibi per regolare conti personali" . Su quali possano essere questi conti, mistero. "Conto" nel senso stretto del termine, come richiesta di pizzo, di tangente, nella zona siciliana sicuramente più specializzata nel racket, tanto che a Misterbianco, sobborgo industriale di Catania, è nata, a fine ottobre, un' associazione contro: l' Asaec (Associazione antiestorsione catanese, subito punita, ventiquattr' ore dopo, con un attentato). Dunque, il "conto" : interrogato Baudo ha risposto "Non so se non ho pagato qualche conto. A me non è arrivata mai nessuna richiesta" . Certo, non è la prima volta che Baudo è preso di mira. Qualche anno fa un candelotto di dinamite scoppiò, senza fare danni, proprio accanto al portone d' ingresso della villa di Santa Tecla. E si dice che, ancora, poco dopo, nel 1988, un' altra esplosione abbia colpito la vecchia casa dei genitori a Militello in Val di Catania, disabitata da quando, con Pippo ancora bambino, i coniugi Baudo si trasferirono nel capoluogo. Lì però, nel 1986, Pippo e Katia scelsero di celebrare il matrimonio-kolossal dell' anno. Testimoni di nozze: Domenico "Micio" Tempio, caporedattore del quotidiano La Sicilia, e Mario Ciancio, direttore-editore del medesimo e influente personaggio della Catania che conta (sua la tenuta visitata da Carlo d' Inghilterra e Diana nel celebre viaggio italiano dell' aprile 1985). Entrambi amici intimi e di vecchia data del presentatore. Con la sua terra, Baudo non ha mai scisso i legami. "E' stato il mio povero papà (avvocato, segretario della Dc di Militello, ndr) a obbligarmi, a spingermi a investire qui. Mi ha sempre detto che le tasse dovevo pagarle qui, dove sono nato" . Gli affari siciliani: molti ma non tutti a buon fine. Anzi. A metà degli anni Settanta il nome di Baudo finisce al centro di un tentativo di speculazione edilizia guidata da Mario Ciancio. Una società, la Stans, costituita dall' editore insieme all' imprenditore catanese Ennio Virlinzi, presenta un progetto di insediamento turistico (oltre 5 mila posti letto) attorno all' oasi di Vendicari, in provincia di Siracusa. Baudo è socio di minoranza con l' 8 per cento. Insorgono gli ambientalisti, che dopo una battaglia di quasi dieci anni riescono a bloccare il progetto, ottenendo per l' oasi lo status di "riserva naturale" . Riconosce Mario Libertini, rappresentante della Lega Ambiente e docente alla facoltà di Giurisprudenza di Catania: "Gli imprenditori della Stans si comportarono abbastanza correttamente. Non risultarono né storie di tangenti date a chi di dovere, né ricerche di sponsorizzazione politica al loro progetto. Uno di loro me l' ha confermato: "Se avessimo voluto, quell' insediamento saremmo riusciti a costruirlo" " . Caduta l' ipotesi di sfruttare l' oasi, la Stans ne ha ideata un' altra, sempre con Baudo socio minore: un insediamento più piccolo, un albergo di 400-500 stanze che dovrebbe nascere a un chilometro di distanza dalla riserva naturale. Ma un altro interessato, l' avvocato catanese Delfino Siracusano, minimizza: "E' veramente roba da poco. Chi ha investito in questa operazione è gente che ha tutt' altre attività, non ci strapperemo certamente i capelli se la cosa non dovesse andare in porto" . Una "roba così da poco" valeva un attentato come quello del 2 novembre? Sta di fatto che, ancora in forse l' ipotesi dell' oasi, non hanno brillato per successo altri investimenti del presentatore nell' edilizia: per esempio quello a Mascalucia, sempre a ridosso di Catania. Qui l' ex profeta del nazional-popolare ha costruito il villaggio Le Frecce d' oro. Appena una decina le villette vendute. "E' andata malissimo" , dice Baudo e aggiunge: "Non c' entro con le altre attività che mi hanno affibbiato. Non con Antenna Sicilia di Mario Ciancio. Non con la Banca Agricola Etnea (che fa capo al cavaliere del lavoro Gaetano Graci, titolare di un impero economico ramificatissimo, coinvolto nel dossier sulle intercettazioni telefoniche dei carabinieri, ndr). Né c' entro nulla con l' Albergo Santa Tecla" . Rimarrebbe, nell' elenco degli affari siciliani di Baudo finiti sotto tiro, la società di rappresentanza di moda con il commerciante Aldo Papalia, che aveva uno show room in via Etnea (adesso traferito in via Pasubio, vicino al nuovo centro commerciale). Baudo sostiene di avergli solo fatto un prestito in nome di una vecchia amicizia di famiglia. Papalia conferma rettificando: "Baudo mi ha aiutato molto. Eravamo amici. Ha battezzato mia figlia. L' attività è partita grazie alla sua quota del 50 per cento. Poi, visto che non poteva occuparsene, dopo tre anni ha deciso di mollare. Adesso sono proprietario unico" . Fatti tutti i conti, che cosa rimane del personaggio Baudo-potente-locale, potenziale bersaglio dei clan? Certo, ci sono i suoi non nascosti rapporti politici. L' amicizia con Rino Nicolosi, presidente della Regione Sicilia e, a livello nazionale, quella con Ciriaco De Mita, che nel maggio 1988, quando si recò a Catania per chiudere la campagna elettorale amministrativa, volle al suo fianco proprio Baudo. E rimane quella benedetta carica, all' inizio contestatissima, di direttore artistico dello Stabile cittadino. Era il settembre del 1988 e la nomina sucitò un vespaio. Tanto che a sole 24 ore dall' elezione Baudo offrì le sue dimissioni, poi ritirate. Motivazione ufficiale: il Baudo televisivo nulla c' entrava con un' istituzione "seria" . Motivo ufficioso: uno scontro tra Rino Nicolosi suo sponsor, e i socialisti, sostenitori di Lamberto Puggelli, regista della scuola del Piccolo di Milano, caro a Bettino Craxi (lo stesso predecessore di Baudo, il catanese d' estrazione Mario Giusti, era socialista). E pensare che quest' anno, proprio alla sua Sicilia, terra ingrata, Baudo aveva dedicato il cartellone. Con la commedia Opera buffa di Giuseppe Fava, padre del querelato Claudio. E con uno Sciascia dei più inquieti, quello dei Mafiosi. Anche questo un indizio? Testata Epoca Data pubbl. 23/10/91 Numero 2141 Pagina 68 Titolo DIMENTICATI A PALERMO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI ha collaborato Alfio Sciacca Sezione STORIE Occhiello Davide e Alice Grassi Sommario Parlano tutti i giorni con Scotti. Hanno l' appoggio di Occhetto. Godono dell' amicizia di Pannella. E la Gepi si sta occupando dell' azienda paterna. Eppure, i figli dell' imprenditore ucciso dalla mafia a fine agosto si sentono soli. Il motivo? Un mese e mezzo dopo, nella loro città, malgrado tutto, sono ancora nel mirino. "NON SO SE HO PAURA, MA SE AVESSI I PROBLEMI DI MIO PADRE, FAREI COME LUI" "QUI A PALERMO SI PUO' VIVERE, CERTO, MA SOLO CARICHI DI ADRENALINA" Didascalia A fianco: Alice Grassi, 33 anni, la figlia di Libero Grassi, l' imprenditore assassinato dalla mafia il 29 agosto perché non si era piegato al racket del "pizzo" . A destra: Davide Grassi, 34 anni, che ha assunto la guida dell' azienda paterna dopo l' assassinio. In alto: Davide Grassi, il giorno del funerale del padre. Testo "Strappano i mazzi di fiori. Rubano i vasi. Hanno fatto a pezzi anche il manifesto attaccato al muro. L' unico segno che ricorda l' omicidio di mio padre è una chiazza di vernice rossa con cui qualcuno ha imbrattato il marciapiede, sotto casa" . Nella voce di Alice, 33 anni, figlia di Libero Grassi, l' imprenditore palermitano assassinato dalla mafia il 29 agosto, c' è amarezza, ma soprattutto rassegnazione. Che a Palermo possa succedere tutto questo non la meraviglia. Non la stupisce neanche l' isolamento in cui si trova la sua famiglia. Da isolato aveva vissuto suo padre nell' ultimo anno di vita, da quando, cioè, aveva deciso di denunciare pubblicamente i racket mafiosi. Un isolamento che adesso, a un mese e mezzo dall' omicidio, pesa più di un' ipoteca. "Siamo soli" , ha confidato poco più di una settimana fa il fratello di Alice, Davide, 34 anni, a Achille Occhetto in visita agli stabilimenti della Sigma, l' azienda che Libero Grassi aveva tentato di salvare dal ricatto della criminalità: "Le banche hanno fatto marcia indietro. I commercianti e gli industriali non sono certo dalla nostra parte. E anche i giudici, spesso, dicono cose incomprensibili" . Soli in una Palermo che sembra una morsa, dove promesse, assicurazioni, gare di solidarietà sono già state dimenticate. Dove è svanito persino il clamore di una trasmissione come Samarcanda, undici milioni di spettatori e polemiche di fuoco per la puntata dedicata a Libero Grassi. Una città dove Procura e carabinieri, per esempio, si combattono a colpi di dossier a proposito dell' ipotesi che i mandanti dell' agguato a Grassi si trovino nel clan Madonia: i giudici parlano di falsi e informazioni errate che avrebbero condannato a morte l' imprenditore; i carabinieri annunciano altre indagini e nuovi nomi. Una Palermo dove rimangono, unica spia della guerra di mafia ancora in corso, i due uomini della scorta che vigila notte e giorno all' angolo di via Vittorio Alfieri, indirizzo della moglie e della figlia dell' industriale ucciso. "Promesse, aiuti, solidarietà? Vorrei sapere quali" , dice sarcastica Alice, che dopo la morte del padre ha deciso di lavorare a tempo pieno alla Sigma, come responsabile delle collezioni. "La gente ci evita, i vicini non ci salutano più. E lo Stato, che dovrebbe proteggerci? Non si è preoccupato nemmeno di metterci i telefoni sotto controllo. Dopo l' omicidio, sono continuate le telefonate intimidatorie. Loro, quelli della squadra mobile, non ne sapevano nulla... Sì, ci hanno dato la scorta. Mio fratello va in giro con l' auto blindata" . Basterà un' auto a prova di proiettili a tutelare Davide Grassi, ora da solo al timone della Sigma? In troppi a Palermo ricordano con fastidio il comunicato in cui i Grassi hanno accusato "la mafiosità della gente di Sicilia" e il segno di vittoria (o ribellione?) fatto da Davide al funerale, mentre politici e autorità litigavano e si addossavano le colpe. "No, non so se ho paura" , dice Davide, "non ho avuto il tempo di pensarci. Mi sento certamente oppresso, dalla scorta, dai problemi dell' azienda, dal clima che si respira qua attorno a noi" . Ma non ha dubbi, Davide. "Se mi trovassi nella situazione di mio padre, farei quello che ha fatto lui" . Nessuna pretesa, però, da parte sua di farsi simbolo della lotta alle cosche. Anzi, quasi un desiderio di silenzio. "Non abbiamo voglia di comparire in pubblico. Dobbiamo lavorare" , ripete Davide Grassi, "portare avanti l' azienda" . Sistemare i conti economici, risolvere i rapporti con le banche: tutto quello, appunto, per cui si erano impegnate le autorità, promettendo aiuti, appoggi, solidarietà. Invece? Cosa è stato fatto finora per la Sigma? Dall' associazione degli industriali ai politici, tutti garantiscono di non aver abbandonato l' azienda al suo destino. Giurano, come il sindaco Domenico Lo Vasco, di essersi dati da fare "in silenzio e con la massima discrezione" . La Sigma, biancheria intima per uomo, cento dipendenti, sette miliardi di fatturato, non ha avuto vita facile negli ultimi dieci anni, strozzata com' era da un' istanza di fallimento minacciata dall' Inps per inadempienze contrattuali. "Libero Grassi" , spiega Francesco Lo Re, segretario regionale dei tessili della Cgil, "era accusato di aver usufruito della fiscalizzazione degli oneri sociali, senza applicare i contratti di lavoro. Un problema che il sindacato era riuscito a superare, ottenendo una messa in regola graduale degli operai. Non l' Inps, però, che ha mostrato un accanimento quasi ossessivo nei confronti della sua azienda" . All' istituto di previdenza l' imprenditore avrebbe dovuto versare un miliardo e 800 milioni. Insistenti le richieste dell' Inps, ma soprattutto discutibili. Il 9 ottobre, quando è stata ultimata la revisione dei conti, si è scoperto infatti un errore: il debito che aveva rovinato l' industriale siciliano, mettendolo in serie difficoltà con i crediti bancari, ammonterebbe a soli 28 milioni. "Sollievo?" , commenta Alice. "Come si fa a parlare di sollievo? Mio padre è morto per questa istanza di fallimento. Una vera e propria persecuzione. Si chiedeva sempre: perché le ispezioni arrivano solo a me? Io una spiegazione ce l' ho. Forse perché non è mai ricorso a busterelle, protezioni, amicizie particolari. E' un circolo vizioso: l' Inps, le banche, le telefonate degli estortori..." . Alice, questa giovane donna minuta, dai lunghi capelli neri e i tratti del viso straordinariamente simili a quelli del padre, si sfoga senza reticenze. Davide, invece, quando si parla di azienda, preferisce misurare le parole. E' nervoso, agitato. Il momento è particolarmente delicato: "Sì è vero, ho chiesto aiuto ad Occhetto, perché credo spetti a lui un controllo sull' operato del governo. Attendo delle risposte, anche se ho piena fiducia nel ministro Scotti, che sento al telefono praticamente ogni giorno" . Un collegamento questo con Scotti, ottenuto grazie a Marco Pannella, vecchio amico di Pina Maesano, la vedova Grassi, militante verde. Ed è stato proprio Pannella il primo a chiedere a Davide di cosa avesse bisogno: "Della Sigma" , ha risposto il ragazzo. Pannella ne ha parlato con Scotti. E per risultato "il ministro ci ha mandato la Gepi" , dice Davide, indicando la porta oltre la quale gli ispettori della società pubblica di salvataggio aziendale lavorano ormai da un mese e mezzo. Una risposta alle richieste di aiuto è dunque arrivata. Ma servirà davvero alla Sigma, oberata non tanto da problemi di produttività quanto da difficoltà ambientali e finanziarie, un aiuto di questo genere? "Ho l' impressione" , dice Alice, "che quelli lì siano qui per farci chiudere. Sa cosa propongono? Dimezzare il fatturato e riconvertire l' attuale produzione in forniture di biancheria per l' esercito. Non lo faremo mai. I nostri pigiami vanno in tutto il mondo, abbiamo rappresentanti in Italia e all' estero" . Con Occhetto, Davide Grassi avrebbe parlato proprio dell' arrivo della Gepi, ottenendo un duplice impegno: un controllo, da parte del Pds, sui tempi dell' "operazione salvataggio" e un intervento dall' esterno sul trattamento che riserveranno gli istituti di credito siciliani alla famiglia Grassi. "La soluzione ai nostri problemi, comunque" , aggiunge Alice, "preferiamo trovarla fuori dalla Sicilia. Da Milano, ad esempio, dopo la morte di mio padre è arrivata un' offerta da una stilista molto conosciuta. In Sicilia, piuttosto, se qualcuno vuol fare qualcosa, ci aiuti a ridurre i debiti con le banche: 500 milioni, l' anno scorso, solo d' interessi" . Le banche, appunto. Si è parlato di "due pesi e due misure" , di una convenzione ufficiale con l' Associazione degli industriali siciliani che stabilisce i tassi di interesse agli imprenditori intorno al 14 per cento e di un trattamento tutto "particolare" , addirittura il 28 per cento, riservato a Libero Grassi. Ma i due istituti coinvolti, la Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele e il Banco di Sicilia, continuano a smentire. Non solo. Hanno pure promesso: fidi maggiorati del 20 per cento e un abbuono degli oneri del 1991. Promesse mantenute? Ad Occhetto Davide Grassi ha riferito di una certa disponibilità della Cassa di Risparmio, ma di una resistenza invece da parte del Banco di Sicilia. Dove replicano: "Non è così. Il nostro atteggiamento è improntato alla massima benevolenza, tanto è vero che il direttore generale, Giacomo Perticone, ha appena ottenuto dagli organi collegiali la rinuncia a una considerevole somma d' interessi e la concessione di extrafidi fino agli inizi del 1992" . Con le banche, la famiglia Grassi gioca una partita decisiva. Un tira e molla che ha permesso di portare alla luce favoritismi di ogni genere nel settore del credito in Sicilia. Anche in questa partita i Grassi sono rimasti soli, senza protettori tra i politici o solidarietà tra gli imprenditori. Soli come quando hanno dovuto fronteggiare le richieste di estorsione e le minacce del racket. Non c' è infatti a Palermo, come esiste invece a Catania o in provincia di Messina, un' associazione per la tutela degli industriali e dei commercianti dal "sistema del pizzo" . Libero Grassi aveva provato a organizzare un fronte di autodifesa, ma si era sempre trovato davanti il presidente della Confindustria palermitana Salvatore Cozzo, che ha continuato a ripetere, anche dopo l' agguato del 29 agosto: "Non amo i gesti plateali. La lotta di Libero Grassi era quella di un uomo solo contro tutto il sistema. Gli altri continuano a pagare il pizzo? Ma cosa si pretende? Che vengano da noi a denunciare gli estortori? L' associazione non è certo un organo di polizia. Deve essere lo Stato a darci maggiori garanzie" . Parole ripetute anche pubblicamente, per le quali i Verdi hanno preso inziative in Parlamento, e che a Roma hanno suscitato allarme al vertice dell' organizzazione degli industriali. Ricorda Pietro Folena, segretario del Pds regionale: "La Confindustria nazionale è intervenuta subito, dopo la morte di Grassi, per capire come mai fosse stato abbandonato dall' associazione locale. E' arrivato anche un ispettore..." . "Il fatto è che qui tutti hanno paura" , dice Davide, che non si fa illusioni. Neppure l' esempio di Capo d' Orlando, dove il presidente dei commercianti, Gaetano Grasso, ha creato un' associazione antiracket grazie alla quale è finita in galera una banda di estortori (il processo si sta svolgendo in questi giorni), per lui apre uno spiraglio. "Capo d' Orlando è in provincia di Messina, una zona dove il tessuto economico e sociale è sano. Qui siamo a Palermo, dove uno come mio padre ha rotto equilibri che non si sono ancora ricomposti. Una città dove non esiste Stato, non esiste giustizia" . "Dove si può vivere" , lo corregge Alice, "ma solo carichi di adrenalina" . E con la rabbia addosso: "Stando attenti, però, che questa rabbia non sfumi a poco a poco, giorno dopo giorno, nella rassegnazione" . Testata Epoca Data pubbl. 25/09/91 Numero 2137 Pagina 66 Titolo MA IO NON CI STO Autore Maria Grazia Cutuli Sezione STORIE Occhiello Il fotografo dello scandalo Sommario Colloquio con Monsignor Ersilio Tonini Testo BOX "Un inno alla vita? Non credo proprio. Un bel neonato in fasce lo sarebbe. Non questo, imbrattato di sangue, con il cordone ombelicale ancora intero, il viso paonazzo e raggrinzito" . Monsignor Ersilio Tonini, 77 anni, arcivescovo di Ravenna, non esita a condannare "il cattivo gusto e la mancanza di buon senso" della Benetton. L' arcivescovo, come sempre molto attento ai fenomeni di costume (non a caso Enzo Biagi l' ha voluto come ospite fisso della trasmissione I dieci comandamenti), non si lascia certo incantare dall' ormai celebre vagito: "Non vedo nessuna finalità morale in questa trovata. E' solo un' immagine kitsch che mira chiaramente a scandalizzare il pubblico. L' ha confessato pure chi l' ha creata: un espediente per imprimere a fuoco nella memoria di tutti il marchio Benetton" . Monsignor Tonini, implacabile verso "l' uso improprio e strumentale dell' essere umano" , ha però qualche perplessità sull' efficacia delle contromisure: "Il Gran Giurì intende proibire la campagna? Non mi meraviglia, il suo compito è quello di frenare la "deregulation" che dilaga in pubblicità. Ma non sarà certo l' ingiunzione dell' Istituto di autodisciplina a rovinare Luciano Benetton. Anzi, le polemiche finiranno per far vendere al gruppo più maglioni di prima" . D' altronde, la filosofia del "contrasto violento" , dell' "immagine forte" , del "contenuto dirompente" è da tempo una caratteristica del tandem Toscani-Benetton. Certo che il concetto a loro caro di "comunicazione universale" , ovvero la scelta di sostituire il prodotto (i maglioni o le magliette) con dei temi (la fratellanza tra i popoli o, per converso, il razzismo), stavolta si è fatto più ardito. Come nel caso dell' angioletto biondo che abbraccia il diavoletto nero oppure del prete che bacia sulla bocca la suorina. E restando in tema di provocazioni, il cimitero militare, con una stella di Davide in mezzo alle file di croci latine, proprio durante la guerra del Golfo. O ancora, i preservativi colorati che volano come uno stormo di B 52 su un fondale immacolato. Monsignor Tonini, ripensando a tutto questo, insorge: "Altro che campagne sociali. Non vedo affatto in queste trovate contenuti impegnati o risvolti artistici. Solo trasgressione, come se impressionare e scioccare il pubblico sia l' unica arma a disposizione per far comprare i propri prodotti. Il neonato mostrato in tutta la sua bruttezza, al momento del parto, mi fa venire in mente quando alla Biennale di Venezia un sedicente artista mostrò un' "installazione" con un handicappato in carrozzella. Questo significa sfruttare la dignità dell' essere umano, insultare il pubblico, plagiare con perfidi messaggi subliminali ogni nostro senso critico" . Ma può l' immagine di una bambina che viene alla luce essere messa sullo stesso piano di immoralità della foto con i profilattici o di quella dell' eros tra il prete e la suora? "In nessuno di questi casi parlerei di immoralità. Piuttosto, di cattivo gusto. Trovo disdicevole la campagna per la contraccezione. Forzatamente dissacrante quella del prete e della suora, anche se poi non è una foto impudica. Quanto al neonato, non colpisce il senso del pudore, ma spinge alla repulsione, che è una sensazione più generale. Una prova? Ha protestato, offesa, la stessa madre di Luciano Benetton" . Testata Epoca Data pubbl. 18/09/91 Numero 2136 Pagina 30 Titolo SE UNA RAGAZZA VA NEL PALLONE Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello I PECCATI DEL CALCIO Sommario Adesso, riabilitata, conduce con Minà la "Domenica Sportiva" . Ma da sei anni Marina Perzy non aveva più lavoro. Tutta colpa di una storia d' amore: con un portiere. "MI HANNO CHIUSO TUTTE LE PORTE IN FACCIA. SO IO COSA HO DOVUTO SUDARE PER RIENTRARE NEL GIRO" Didascalia Marina Perzy, 35 anni, conduttrice della "Domenica Sportiva" . A metà degli anni Ottanta (foto nell' altra pagina) ha avuto una relazione con Walter Zenga. Sotto: il portiere dell' Inter e della Nazionale con l' ex moglie Elvira Carfagna (a destra) e con l' attuale compagna Roberta Termali. Testo "Sei anni. Non crede che abbia pagato abbastanza?" . Marina Perzy smette di ridere, accavalla le gambe, aspira due boccate nervose di una Marlboro light. Poi butta fuori il nome che era già nell' aria: "Walter Zenga... Ma se mi chiede qualcosa di quell' episodio, ho già la risposta: preistoria, nient' altro che preistoria" . La "preistoria" risale appunto al 1985, quando Marina Perzy aveva 29 anni e una discreta speranza di far carriera sul piccolo schermo. Invece, di colpo: "Tutte le porte mi sono state chiuse in faccia. So io cosa ho dovuto sudare per rientrare nel giro" . E oggi, finalmente per lei, la riabilitazione. E che riabilitazione: prima donna al fianco di Gianni Minà nella Domenica Sportiva. "Ricominciare a lavorare proprio con un programma che parla di calcio: non è forse il modo migliore per mettere a tacere tutti i pettegolezzi?" . Una questione d' orgoglio. "Non per niente gli amici mi chiamano Prizzi, come L' onore dei Prizzi, il film con Jack Nicholson " , dice ridendo la Perzy. "Eredità di mio padre che è di Caltanissetta" . Ma quello con Minà, per la Perzy, è un battesimo del fuoco anche per altri versi: "Io così irrequieta, così indisciplinata, messa a tu per tu con la "liturgia" del calcio, chiamata a rappresentare "la voce della donna" nel mondo sportivo" . E a togliere la corona di signora del pallone a Maria Teresa Ruta, conduttrice della Domenica sportiva fino all' anno scorso. "Beh, dai miei nuovi fans ho ricevuto delle lettere di questo genere: è la prima volta che capiamo la schedina, quella la leggeva così in fretta..." . Chioma bionda, minigonna nera, il microfono in mano tra Panatta e Minà, Marina Perzy, 35 anni, milanese, nelle prime due puntate si è affacciata allo schermo con discrezione, quasi a voler bilanciare gli eccessi di Maria Teresa Ruta. La determinazione però non le manca: "Mi sento adesso molto più cresciuta, molto più sicura. Già l' anno scorso, Minà mi aveva chiamata per Italia ' 90 come regista della trasmissione Un mondo nel pallone. Nello stesso periodo sono tornata a fare l' attrice: due sceneggiati per la Rai. In uno faccio la sessuologa, pensi un po' ..." . Pensare cosa? "Origini siciliane" , ricorda, "è stato già un problema aver fatto un figlio a 17 anni" . E prima, nei sei anni di purgatorio? Un passaggio in Brasile a lavorare per la Globo Tv, impegni nella moda come pierre, e poi i rally. Marina Perzy, da pilota, è arrivata terza al Compionato italiano del 1988: "Ho smesso l' anno scorso. Tutta un' altra storia rispetto agli ambienti del calcio" . Niente scandali, niente caccia alla strega? "Un corridore può avere una vita privata. Un calciatore no: per lui vale la regola casa-chiesa-famiglia" . Guai a sgarrare. Anche se poi, in caso di guai, a pagare il conto difficilmente è il calciatore. Marina Perzy, ex "dama bianca" di Walter Zenga, la regola l' ha imparata alla perfezione nel febbraio del 1985, quando trovò il suo nome su un quotidiano del pomeriggio, La Notte di Milano. Titolo su Zenga ( "Come Perzy l' Azzurro" ), più foto di lei in maglia nerazzurra e biografia a corredo. L' accusa del giornale? Aver fatto perdere al portiere dell' Inter l' occasione di giocare in Nazionale, ospitandolo in casa proprio mentre Enzo Bearzot, all' epoca commissario tecnico della squadra, lo cercava all' indirizzo ufficiale, cioè dalla moglie Elvira. Voleva convocarlo al posto del portiere fiorentino Giovanni Galli, che si era ammalato all' improvviso. "Zenga se la intende con una soubrette. Sarà con lei" , azzardò un cronista pettegolo. E tanto bastò perché quella battuta desse il via a una specie di linciaggio. Poco importa che il giorno dopo Zenga giurasse e spergiurasse di essere altrove al momento della chiamata di Bearzot: la love-story tra lui e la "soubrette" era ormai pubblica, e il quotidiano che l' aveva rivelata, seguito a ruota da tutti i giornali d' Italia, continuò la campagna. Invano il portiere tentò di bloccare la valanga. Telefonò anche a Pietro Giorgianni, allora direttore della Notte, che però gli rispose: "Zenga, lasci perdere "quella" , glielo dico per il suo bene" . Perché "quella" ? Che Giorgianni ce l' avesse personalmente con Marina Perzy? Può darsi. L' anno prima la show girl si era rifiutata di cedergli un diario, venduto poi a Gente, in cui raccontava un suo amoretto di gioventù con Stefano Casiraghi, novello sposo di Carolina di Monaco. Vendetta o no, il caso-Perzy montava. E secondo canoni classici: la soubrette, il calciatore, la moglie tradita che al telefono con Bearzot risponde: "Walter a casa non torna mai. E' un vagabondo" . Ci si mise anche l' Inter, con i dirigenti della società a premere su Zenga perché tornasse al focolare domestico, da Elvira Carfagna, l' ex miss Marche che per amor suo aveva rinunciato a una promettente carriera di fotomodella. Su Marina Perzy, la "rovinafamiglie" , si concentrò il fuoco dell' Italia sportivamente per bene. Perseguitata da giornalisti e paparazzi, tenuta alla larga dai colleghi della tivù, osteggiata all' interno della Rai e tra gli impresari dello spettacolo, lei, "ancor giovane e un po' sprovveduta" (come dice adesso), preferì tirarsi fuori dalla mischia, anche per dimostrare che la sua storia col portiere era qualcosa di più di un flirt stagionale. Non un amore a fini pubblicitari, insomma. In compenso, Zenga tornò dalla moglie, con tanto di pubblica ammenda per la sbandata e assoluzione generale. Ma solo per un anno. Nel 1988, quando Marina ormai è un ricordo, Zenga abbandonerà definitivamente il tetto coniugale per unirsi a Roberta Termali, presentatrice tivù pure lei. "Stavolta no, non c' è stato lo scandalo che ha accompagnato il mio rapporto con Walter" , dice la Perzy. "Il motivo? Semplice. Lui era già famoso. Se sei un campione affermato, gli anatemi si allentano. Maradona, ad esempio. Quando Cristiana Sinagra rivendicava il riconoscimento del figlio, sono stati tutti pronti a proteggerlo. Certo, è crollato sulla cocaina, ma quella è una faccenda senza riparo..." . Ci sono poi i presidenti, come l' interista Ernesto Pellegrini, che a suo tempo contribuì non poco a far di Marina Perzy il capro espiatorio del calo di forma del "suo" numero uno. E i tifosi. Marina se li ricorda bene con i loro "Alè Oh Oh" ogni volta che metteva piede, dopo la vicenda con Zenga, sulle tribune di uno stadio: "Perchè, in fin dei conti, a chi interessa se non a loro che l' immagine del calciatore non porti macchia o peccato? O sei la moglie e allora ti accettano, oppure diventi immediatamente la causa di ogni insuccesso, di ogni partita giocata male " . E i calciatori? "Sono anche loro personaggi dello spettacolo, ma non ne hanno la mentalità. Si trovano di fronte un pubblico che li vuole in compagnia di mogliettine ingioiellate e silenziose, soffocati da dirigenti che li obbligano a sposarsi giovanissimi... Loro obbediscono, ma alla fine sono sempre attratti da donne completamente diverse" . Marina la bionda, Marina attrice, cantante, soubrette, Marina nuova dama della Domenica sportiva l' ha provato a sue spese. Peccato forse che l' "onore dei Prizzi" le abbia impedito nel momento più delicato di usare il cinismo necessario per ribaltare a suo favore le sorti del gioco: "Quanta gente si è fatta pubblicità con molto meno..." . Testata Epoca Data pubbl. 11/09/91 Numero 2135 Pagina 58 Titolo QUI RADIO MOSCA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Demetrio Volcic Sommario Il golpe era appena scattato, e lui già prevedeva: "Roba da dilettanti" . Poi, 60 ore ai microfoni per raccontare in diretta la fine del comunismo. Il segreto della "voce" della Rai dall' Urss? Un ufficio di pochi metri quadrati, fondali finti col Cremlino e un rapporto speciale con Gorby. Che lo chiama "presidente" . "IO, DIRETTORE DI GIORNALE? MA SE SONO UN LUPACCHIOTTO SOLITARIO..." Didascalia Demetrio Volcic, 59 anni, di Lubiana, corrispondente della Rai da Mosca. Volcic a Mosca, città che definisce "interessante, non certo brillante" . Testo Ha vissuto gli anni bui del breznevismo sfidandone la censura. Ha visto crescere la perestrojka raccontandone i successi. Ha assistito al declino dell' impero sovietico analizzandone le cause. Per dieci anni, insomma, è stato un testimone privilegiato della crisi del comunismo. Ma la Storia non è stata generosa con Demetrio Volcic, occhio e voce della Rai su Mosca. Nel momento cruciale, mentre il golpe seppelliva definitivamente il regime del Pcus, lui era a Stintino, in Sardegna, fresco di vacanze. Racconta Volcic: "Erano le 5 del mattino e io naturalmente dormivo. Suona il telefono, mia moglie afferra la cornetta e nel sonno mi dice: "E' la Rai, c' è stato il golpe" . Il golpe? Alla Rai sono matti..." . Il tempo di prendere coscienza, e subito è andato in onda il primo collegamento. Quindi, alle 7, l' ultimo bagno in spiaggia, e alle 8 ecco l' aereo per Roma. Un' ora di volo. "Ho pensato: ma questo è un golpe da dilettanti. L' ho detto in trasmissione alle 10. E poi via a Mosca" . Una previsione azzeccata in pieno. L' inizio di una non-stop di sessanta ore trascorse quasi ininterrottamente ai microfoni dei tre notiziari radio e dei tre telegiornali. "Sono o non sono una macchinetta della Coca Cola?" , scherza Demetrio Volcic, 59 anni, nato a Lubiana da famiglia triestina. "Non mi hanno neanche dato il tempo di rivendicare il diritto degli schiavi o degli operai della prima industrializzazione di riposare qualche ora per notte" . "Utilizzarlo come semplice cronista sarebbe stato un errore" , spiega Empedocle Maffia, inviato del Gr1 e responsabile dei Fili diretti radiofonici: "Con le fonti e l' esperienza che ha, non c' è dubbio che Volcic è uno dei massimi esperti dei fatti sovietici che abbiamo in Italia" . L' ha riconosciuto anche La Stampa che proprio nei giorni caldi del golpe l' ha citato come capolista dei "gorbacioviani critici" , e Il giornale di Montanelli, che in un articolo in prima pagina ha raccontato "l' educata afflizione" del corrispondente Rai "per il bombardamento di domande retoriche, ridondanti, vacue" cui è stato sottoposto da parte di colleghi e cremlinologi improvvisati. Volcic si è difeso con monosillabi imbarazzati, accusando "disturbi audio" . L' ironia, del resto, è una delle sue risorse più efficaci per sopravvivere all' ufficialità della nomenklatura sovietica. Un golpe da dilettanti? Il giudizio era tutt' altro che azzardato. "Qualche settimana prima" , racconta Volcic, "avevo incontrato un ex dirigente del Kgb. Si sospettava un' azione di forza contro Gorbaciov, ma il parere era appunto questo: i potenziali putschisti sono uomini vecchi, ancorati a una mentalità sbagliata..." . Più che profeta, dunque, Demetrio Volcic, che in politica si definisce molto diplomaticamente un "liberal" all' americana, è un giornalista ben informato. E con una massiccia esperienza: corrispondente da Praga nei giorni della "primavera" , otto anni a Vienna come osservatore sui Balcani e i Paesi dell' Est, un trasferimento a Bonn e poi i dieci anni a Mosca (in due periodi diversi) che gli hanno aperto gli occhi sui meccanismi della politica sovietica. Insegnandogli ad apprezzare Gorbaciov, ma anche ad avvertire con anticipo i limiti della perestrojka. Non solo. Il soggiorno in queste aeree "politicamente calde e climaticamente fredde" , come dice lui stesso, lo ha messo in contatto con il potere reale (pare che siano gelosi di lui persino all' ambasciata italiana). I protagonisti li ha conosciuti di persona. Boris Eltsin ad esempio, lo stesso Gorbaciov... "Gorbaciov? No, lui non ha certo tempo per intrattenere rapporti con noi giornalisti" , si schermisce Volcic. Ma uno spot della Cnn lo smentisce: una foto d' archivio immortala una sua stretta di mano con il presidente sovietico. Empedocle Maffia, che ha assistito alla scena, la racconta per intero: "Era febbraio dell' anno scorso, le prime elezioni politiche. Gorbaciov esce dal seggio e si trova di fronte centinaia di cronisti. "Visto che non posso parlare con tutti" , dice, "mi rivolgo al vostro presidente" " . Chi è il "presidente" promosso sul campo dal premier sovietico? Volcic, ovviamente. Eppure, quando nel 1961 entrò alla Rai, il primo incarico di Volcic fu al servizio sportivo, trampolino per il successivo passaggio alle Cronache italiane: "Tutte le sagre e le fiere del Friuli sono state mie" , ama raccontare. Solo nel 1968 il debutto in politica internazionale, con la primavera di Praga. Ma da lì a Mosca il passo non è stato brevissimo. Ci sono voluti anni di specializzazione (nel frattempo anche una cattedra di Istituzioni e Storia dei Paesi dell' Est all' università di Trieste) prima di sfondare il muro moscovita. Quando? La prima volta, dal 1974 al 1980, gli anni di Breznev. "Era impossibile lavorare, gli unici contatti li teneva mia moglie tramite l' università o io con gli intellettuali dissidenti" . Poi, il trasferimento a Bonn, e nel 1988 di nuovo a Mosca. Totale: dieci anni. "Più di quanto forse si possa sopportare" . Il comico Piero Chiambretti, che nella sua trasmissione Ciao Cortina, ha provato a raccontare (sorridendo) l' Est dopo il crollo del Muro, è andato a trovarlo nella capitale sovietica, svelando i segreti dell' ufficio di Volcic: siparietti girevoli, scenografie stagionali, finti Cremlini coperti di neve... Il tutto in pochi metri quadrati. "Se entrasse l' ufficio di igiene sarebbe la fine" , ironizza Volcic. Casa e bottega: "Un paio di stanzette minuscole, con dentro segretaria, operatori, scrivania, macchina da scrivere. E quattro piani di scale ogni giorno, a piedi, respirando profondamente tra un Toscano e l' altro, per arrivare dalla stanza da letto alle telecamere" . Che l' infaticabile Volcic si sia stancato di Mosca, città che definisce "interessante, ma non certo brillante" ? A febbraio si è parlato di una sua direzione al Piccolo, il quotidiano di Trieste. Ma lui ci scherza: "Sarebbe come fare giocare il portiere da centrattacco. Io sono un lupacchiotto solitario, non certo un manager capace di mettere in riga 150 giornalisti" . Si è parlato anche di un incarico all' Indipendente, il quotidiano di Riccardo Franco Levi che uscirà quest' autunno. No, piuttosto nel futuro di Volcic potrebbe esserci nuovamente Vienna, o forse addirittura un ritorno in Italia come commentatore politico. Ma non subito: "Potrei mai abbandonare la baracca sul più bello?" . Testata Epoca Data pubbl. 04/09/91 Numero 2134 Pagina 70 Titolo DIO PERDONA IO MENO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI ha collaborato Carlo Cambi Sezione STORIE Occhiello Giacomo Biffi Sommario Tuoni e fulmini: contro gli edonisti e i goduriosi, le femministe e i musulmani, i politici rossi e i cattolici pavidi. Un po' alla volta, il battagliero arcivescovo di Bologna sta realizzando un' impresa biblica: il decalogo del Duemila. Didascalia Il cardinale Giacomo Biffi, milanese, 63 anni, da sette arcivescovo di Bologna. La sua ultima campagna, contro diete e palestre, è di due settimane fa. IL NUOVO MONDO HA BISOGNO DI UNA NUOVA MORALE Da sinistra: Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, e monsignor Ersilio Tonini, arcivescovo di Ravenna. Entrambi molto impegnati nella denuncia del malcostume. "Comunque non vogliamo certo fare la pastorale delle sigarette" , spiega Tonini. "Si tratta di ripensare i fondamenti dell' etica alla luce delle nuove frontiere della politica e della scienza" . Testo Caso vuole che la festa della Madonna assunta in cielo sia fissata sul calendario il 15 d' agosto, quando sulle spiagge sfilano nudità abbronzate che non invitano alla meditazione sui misteri della fede. Un guaio per chi, quel giorno, deve celebrare messa? Tutt' altro. Quale occasione migliore della "glorificazione corporea di Maria" per fustigare il "salutismo ansioso" e "l' estetismo disperato" della nostra epoca? Una simile occasione l' arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi, non poteva certo lasciarsela scappare. Così dal pulpito di Villa Revedin, residenza estiva della Curia bolognese, ha lanciato l' ultimo dei suoi precetti: "Anziché preoccuparci tanto di far bello il corpo" , ha ammonito i fedeli, "mettiamo un po' di impegno a rendere più splendida la nostra anima di fronte a Dio" . In pratica, l' undicesimo comandamento. A dettarlo, un ecclesiastico di gran temperamento, sanguigno, impetuoso, scomodo per gli stessi amici e portatore di idee giudicate dagli avversari "persino troppo chiare" : il cardinale Biffi, appunto. Di precetti morali lui se ne intende: per anni ha insegnato teologia dogmatica nei seminari, poi è stato vescovo ausiliare di Milano. Ma è soprattutto da quando, sette anni fa, varcò la soglia della diocesi di Bologna, che il porporato ha deciso di esercitare tutta la sua vis polemica. Obiettivo: dar prova che sulle grandi questioni etiche, e anche su quelle apparentemente più piccole, la Chiesa non può più transigere. Neanche a farlo apposta, proprio per Ferragosto il settimanale cattolico Il Sabato ha pubblicato un sondaggio che suona l' allarme: in Italia solo un credente su tre è in grado di elencare tutti i dettami del decalogo biblico. Proprio quei precetti che il cardinale Biffi si sente in dovere non solo di richiamare alla memoria ma, in qualche caso, addirittura di riscrivere. La definizione, che tanto somiglia a un' invettiva, dell' Emilia regione "sazia e disperata" , è tipicamente sua. Sua è anche la critica feroce al femminismo scagliata l' 8 dicembre di due anni fa, giorno dell' Immacolata, quando se la prese con la donna di oggi, "squallida Eva schiava del male" , pronta a scendere in piazza per gridare istericamente "io sono mia" , anziché sottomettersi alla volontà di Dio e seguire l' esempio della Vergine. Anche papa Wojtyla, appena ne ha l' occasione, richiama la donna ai suoi doveri di vergine o di madre. Ma nei suoi frequenti impeti, l' energico presule bolognese va oltre le campagne papali: talvolta si spinge ad anticiparle, con fragore. Ecco allora la polemica contro i gestori delle discoteche, rei di fomentare a colpi di decibel la cultura della morte. Ecco la crociata contro gli "infedeli" musulmani che rischiano di invadere l' Europa, sostituendo Cristo con Allah. Ed ecco ancora, mentre infuria la Guerra del Golfo, la sua filippica contro il pacifismo, con l' esplicito invito a non demonizzare le armi quando in ballo c' è una "giusta causa" . Da autentico "barometro morale" di Santa Romana Chiesa, Giacomo Biffi, 63 anni, milanese di umili origini, è riuscito a insinuare il senso del peccato, e dell' espiazione, persino in quella capitale dell' edonismo materialista che è Bologna, sparando a zero su politici e amministratori, sui cittadini benestanti e "goduriosi" , sugli ambienti cattolici ripiegati in una fede intimistica e "troppo remissiva" . Insomma, un crociato. "Comunque, è tutto fuorché un Savonarola piagnone" , avverte padre Enzo Franchini, attento osservatore delle vicende religiose italiane. Difatti Biffi si presenta, semmai, come un teorico della Chiesa-partito, impegnata nella riconquista delle cose terrene, politica compresa. Celebre è il suo rimprovero ai consiglieri comunali Dc di Bologna: "Qui, l' unica vera opposizione alla sinistra la faccio io, non certo voi" . Le sue incursioni senza preavviso nella storia patria hanno suscitato il putiferio, come quando prese spunto dalla favola di Pinocchio per sostenere (in un singolare pamphlet intitolato Contro Mastro Ciliegia) che il fascismo è figlio del Risorgimento ( "Orrore" , protestarono Bettino Craxi e Francesco Cossiga). O come la volta che, solo 24 ore prima dell' arrivo a Bologna di Francois Mitterrand, scomunicò la Rivoluzione francese, che "ha regalato alla storia la ghigliottina e le stragi di Stato" . Tanto zelo ideologico, che fa a pugni con l' arte curiale del dire e non dire, ha dei costi. Non a caso, nei Sacri Palazzi vaticani Biffi risulta apprezzato, sì, ma fino a un certo punto. E quando Giovanni Paolo II si è trovato a nominare, nel marzo scorso, il successore di Ugo Poletti alla presidenza della Cei (Conferenza episcopale italiana), la scelta è caduta su un altro vescovo emiliano, forse non autorevole quanto Biffi, ma più di mondo e meno spigoloso verso i politici: Camillo Ruini. Non è l' unico passo falso nella carriera del cardinale. Ordinato sacerdote nel 1950, ha fatto la gavetta come parroco a Legnano e poi come prevosto nella chiesa di Sant' Andrea di Milano. Una mattina del 1969 si imbatté in un tatzebao di Comunione e liberazione, il movimento fondato da don Luigi Giussani che si era costituito da pochi giorni sulle ceneri di Gioventù studentesca. Un incontro provvidenziale: da allora i ciellini hanno sempre considerato Biffi un loro "nume tutelare" , anche per l' amicizia stretta con Giussani negli anni in cui avevano frequentato insieme il seminario di Venegono. Nel 1975, Biffi "il terribile" venne nominato vescovo ausiliare della diocesi ambrosiana, e pareva che non dovesse fermarsi lì. Ma nel dicembre 1979 Giovanni Paolo II gli preferì, come arcivescovo di Milano, il gesuita Carlo Maria Martini. E tra Biffi, teologo post-conciliare in prima linea nella condanna dei "tempi nuovi" , e il cardinale Martini, punta avanzata del dialogo dentro e fuori la Chiesa, certamente non si è mai instaurata una speciale affinità elettiva. Che sia stato proprio Martini a caldeggiare la "promozione" di Biffi ad arcivescovo di Bologna, superando anche certe resistenze che venivano dalla Cei? Fatto sta che, quando Biffi lasciò Milano, molti all' ombra del Duomo tirarono un sospirone di sollievo. Non così i bolognesi, che il 2 giugno 1984 videro il nuovo arcivescovo arrivare con passo deciso, le lenti spesse sul naso un po' adunco, un mezzo sorriso sulle labbra e l' aria di chi si sentiva già in guerra. Preceduto, tanto per non lasciare spazio a equivoci, da un gruppo di scout che reggevano lo striscione con la scritta "Ubi fides, ubi libertas" , dove c' è fede c' è libertà. Una sfida annunciata alla giunta rossa di Bologna, certo. Ma anche alla chiesa locale, troppo prudente in quella che, per Biffi, costituiva invece "terra di missione" . Per prima cosa, il nuovo arcivescovo mise in piedi un efficacissimo ufficio stampa, affidato al professor Augusto degli Esposti e a suor Miriam, religiosa dal piglio manageriale. Partirono di lì slogan come "Bologna sazia e disperata" , o addirittura "riserva indiana per comunisti in via d' estinzione" . Un castigo divino per la giunta comunista, accusata di miscelare insieme (lo diceva anche Pier Paolo Pasolini, comunque) marxismo ed edonismo: quasi che fosse colpa di Renzo Imbeni, sindaco della città, se Bologna deteneva, e detiene, il record di aborti, suicidi, calo delle nascite, separazioni, divorzi... E quando Imbeni perse la pazienza, Biffi gli replicò secco: "Sei il mio sindaco e ho il diritto di criticarti. Tu invece no, dal momento che non sei cattolico e nessuno ti obbliga a riconoscermi come tuo pastore" . L' anno scorso, sindaco e cardinale hanno stipulato una tregua, celebrando insieme i seicento anni di San Petronio. Ma nuovi duelli si annunciano. Biffi ha appena vietato ai frati dell' eremo di Ronzano, della comunità dei Servi di Maria, di partecipare con uno stand terzomondista alla Festa dell' Unità del prossimo settembre. "Il nostro Ordine prende disposizioni solo dal Papa" , hanno replicato, risentiti, i padri serviti. Bocche cucite, invece, tra i domenicani che il 4 agosto hanno dovuto subire l' "omelia delle tagliatelle" . "E' facile parlare di fame nel mondo" , li ha fustigati Sua Eminenza, "quando intanto si banchetta con la pastasciutta" . Ma i frati sono una spina nel fianco di Biffi anche per un altro verso: Bologna è la patria di Giuseppe Dossetti, il leader democristiano che, dopo la guerra, rinunciò al potere per farsi sacerdote. Dove? A Monteveglio, sull' Appennino emiliano. E da Monteveglio, l' influenza di Dossetti sui fedeli bolognesi resta considerevole. Quando, nel febbraio scorso, i frati di Dossetti hanno chiesto di poter celebrare una messa in arabo per la crisi del Golfo, il cardinale gliel' ha negato: "Non se ne parla nemmeno" . Da buon generale delle truppe di Cristo, con i musulmani Biffi ce l' ha a morte. La sua tesi: la "cultura del niente, sorretta dall' edonismo" che pervade noi occidentali potrebbe non reggere all' assalto dei pasdaran di Allah. Su questo specifico punto, Biffi si consente persino di dissentire dal Papa. Rispettare la pace, va bene. Ma contro l' infezione rappresentata da Saddam Hussein i governi del primo mondo hanno il dovere morale di scendere in guerra e di usare i cannoni. E i problemi dell' immigrazione? Come metterla con gli arabi che già presidiano la terra emiliana? "Assistenza sì" , riconosce il cardinale, "ma piano con l' ecumenismo" . Quando poi alcuni parroci gli chiedono di allestire all' interno delle proprie chiese uno spazio adibito a moschea, il cardinale insorge: "La loro religione se la pratichino a casa loro" . "Sì, però due inverni fa" , mette le mani avanti Augusto degli Esposti, capo dell' ufficio stampa curiale, "Sua Eminenza ha aperto la chiesa di San Donato agli extracomunitari che morivano di freddo. Solo che all' inizio erano in trenta, poi sono diventati 80, poi 150, poi 200. Hanno comiciato a fare a botte..." . L' arcivescovo ha chiuso i battenti. In compenso ha adottato 45 albanesi, affidandoli alle cure (e alle spese) dei sacerdoti dell' Onarmo, l' opera nazionale di assistenza religiosa e morale agli operai. Missione a tutto campo insomma. Sempre col medesimo fine: rinsanguare la morale, rinforzare l' autorità della Chiesa. Partendo da Bologna, per arrivare magari a Roma. "Non è che lui voglia riscrivere i comandamenti" , puntualizza Luigi Pedrazzi, presidente del centro studi Cattaneo, "vuole solo essere presente su tutte le questioni della vita moderna, costumi compresi" . Dalla macro alla micro etica. Dalle Tavole di Mosè giù giù fino alle creme solari. BOX I SUOI DIECI COMANDAMENTI Dal 1984, da quando cioè è stato nominato arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi non ha perso occasione per esternare precetti morali. Epoca ha raccolto le sue prese di posizione più importanti, le sue sferzate e i suoi anatemi. Ecco il Biffi-decalogo, quasi una riscrittura in chiave moderna dei dieci comandamenti. I Abbandona l' edonismo: rovina gli uomini e rende sazie e disperate le città. Vedi Bologna. II Non esagerare con diete e ginnastica: l' ossessione per il corpo va a detrimento della cura dell' anima. III Non lavorare per i soldi e la carriera, altrimenti il lavoro diventa schiavitù. IV Figli, rispettate i genitori e gli orari di chiusura delle discoteche. V Genitori, rispettate i figli, anche permettendo loro di nascere. No all' aborto, quindi, e alla contraccezione artificiale. VI Donna, il femminismo è male. L' esempio da seguire è quello della Madonna. VII Fidanzati, niente rapporti prematrimoniali e mai passare le vacanze insieme. VIII Porgi l' altra guancia, anche se non sempre. Vedi guerra del Golfo. IX Diffida dell' Islam e preparati a fronteggiare il suo assalto ideologico all' Occidente. X Usa bene il denaro. E' sterco del demonio ma può servire anche ad arare i campi di Dio. Testata Epoca Data pubbl. 28/08/91 Numero 2133 Pagina 46 Titolo RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI A SALVARE VENEZIA? Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI ha collaborato Alberto Vitucci Sezione STORIE Occhiello Miliardari in Laguna Sommario Una faraonica caccia al tesoro. Il bel mondo internazionale sguinzagliato per le calli. E poi balli, ricevimenti, serate esclusive. Il tutto dal 26 agosto, organizzato dagli americani. Per una causa che troppi italiani hanno tradito. Didascalia Sopra: la miliardaria americana Ivana Trump. In alto: lo stilista Giorgio Armani. In alto a destra: i principi Marie Cristine e Michael di Kent. Saranno a Venezia dal 26 al 29 agosto per la manifestazione organizzata dal comitato americano "Save Venice" , allo scopo di raccogliere fondi destinati al restauro di monumenti. Sopra: Marella Agnelli. A fianco: lo stilista Valentino. In alto: Firyal di Giordania, sorella di re Hussein. I biglietti per partecipare alla caccia al tesoro dei vip in Laguna variano dai mille ai diecimila dollari. Complessivamente, quest' anno, saranno raccolti fondi per settecento milioni di lire. "E' un modo per non far dimenticare i problemi che ci sono qui" , dice Beatrice Gutthrie, executive director di "Save Venice" . Miliardari in Laguna Grazia Neri Giovanna Nuvoletti Sopra: Maria Pia di Savoia. In alto: il conte Giovanni Nuvoletti. A fianco: Michael di Grecia. Dalla fine degli anni Sessanta ad oggi, i trenta comitati internazionali privati per la salvaguardia di Venezia hanno finanziato recuperi artistici per 30 miliardi. Ma il loro obiettivo "politico" è quello di sollecitare il governo italiano a spendere, e bene, i 10 mila miliardi che entro il 1999 dovrebbero consentire di salvare definitivamente la città. Testo Caccia grossa a Venezia? E' bastata la prima parola, "caccia" , a seminare il panico tra quelli della Protezione animali: la settimana scorsa hanno telefonato allarmati a madame Weston, segretaria del comitato americano "Save Venice" , per chiedere conto e ragione del safari in programma in laguna. Madame, una signora sui sessant' anni, esperta in restauri e salvaguardia artistica, ha tentato in tutti i modi di spiegare che non ci saranno fucili, che la "caccia agli animali" , organizzata per un gruppo di trecento miliardari provenienti da tutto il mondo, è solo un' iniziativa culturale finalizzata a raccogliere fondi: leoni e grifoni, aquile e capre, serpenti e gazzelle da stanare, sono di marmo o di pietra, nascosti tra i fregi, i frontoni e le colonne della Serenissima. Gli ecologisti sono comunque rimasti in stato d' allerta, ed è dovuta intervenire madame Guthrie, "executive director" del co- mitato, a scongiurarli di non montare un' inutile polemica. Insomma, caccia sì, ma al tesoro, per inaugurare il Regatta Week Gala, manifestazione che dal 26 al 29 agosto chiamerà a raccolta a Venezia vip della cultura e della finanza. Alcuni noti alle cronache, come la biondissima Ivana Trump o i principi Marie Cristine e Michael di Kent, altri meno famosi ma di solide sostanze come Anthony Geller, finanziere newyorkese, o Julio Mario Santo Domingo, proprietario della compagnia di bandiera colombiana. Altri ancora, personalità eminenti del giro dell' arte, come Ann Getty dell' omonima fondazione, o Amalia de Fortebat, ambasciatrice argentina e collezionista appassionata. Tutti spinti dallo stesso intento: offrire un obolo per la salvaguardia di Venezia, biglietti da mille, duemila, diecimila dollari, per un totale di 600 mila dollari, quasi 700 milioni di lire, destinati al restauro di chiese e monumenti. Motivazione nobilissima, dunque, garantita da un' organizzazione al di sopra di ogni sospetto: il "Save Venice" , appunto, uno dei trenta comitati internazionali sorti dopo la storica alluvione del 1966 per far risorgere la città e possibilmente tenerla in vita. Venezia soccorsa dagli stranieri? La città degli scandali, delle bagarre infuocate come quella dell' anno scorso sull' Expo, dei miliardi pubblici che si bloccano nei meandri dei tanti enti e dei tanti consorzi, la città dove il filosofo Massimo Cacciari, capogruppo locale del Pds, ha appena denunciato "un intreccio perverso tra amministrazione pubblica e società private" : Venezia, allora, è più amata all' estero che in patria? Chi promuove il Regatta Week Gala non è lontano dal pensarlo. Settecento milioni: forse una goccia d' acqua per la laguna, "ma è un modo per non far dimenticare i problemi che ci sono qui" , dice Beatrice Guthrie, d' inverno pierre a New York, d' estate figlia elettiva della città dei Dogi, dove ha preso casa cinque anni fa con il marito, Randolph Guthrie, chirurgo plastico e presidente del Save Venice. "Durante l' anno lavoriamo in America, organizziamo conferenze, incontri, balli come quello che c' è stato ad ottobre dell' anno scorso all' Hotel Plaza di New York" . Quel ballo, con annessa asta di Sotheby' s, ha fruttato 75 mila dollari. Tra i danzanti c' era anche il principe Karim Aga Khan, che però diserterà il Regatta. "Sa, i concerti di Salisburgo..." , lo scusa madame Guthrie, mentre spiega perché quest' anno non sono stati invitati, come invece due anni fa, Andrea e Sarah d' Inghilterra, lui con il flacone del sangue dietro (è un po' ipocondriaco, e poi non si sa mai, una trasfusione...), lei giovialona e vistosa. "Troppi paparazzi, siamo una piccola organizzazione. Non potevamo gestire quell' assedio" . In compenso, per l' edizione 1991, ci saranno i principi di Kent, ospiti dei marchesi Berlingieri, Marina e Michael di Grecia e Firyal di Giordania, sorella di re Hussein, presente a Venezia anche per un altro evento mondano, il gran ballo che il conte Giovanni Volpi darà nel suo palazzo la sera del 31. Ancora, gli arciduchi Dominic ed Angel d' Austria, i duchi Eli e Solange Decazes, proprietari di Palazzo Decazes a Venezia dove giovedì 29 agosto, prima del gran ballo finale a Palazzo Pisani Moretta, offriranno un cocktail con i principi di Kent come ospiti d' onore. Ivana Trump quella sera andrà invece a Palazzo Brandolini, ospite del direttore d' orchestra, Randolph Mickelson. E la nobiltà italiana? Quella veneziana praticamente tutta, più Maria Pia di Savoia e i conti Nuvoletti. Tra i vip, Marella Agnelli e il sarto Valentino, con annessa piccola corte personale. A loro, secondo un criterio di inviti che divide gli ospiti in tre gruppi (gli americani, gli europei e gli intellettuali), penserà Carlo Monzino, collezionista d' arte milanese nonché "benefattore" affezionato della causa veneziana. A sue spese ha già allestito l' abbazia di san Giorgio per il pranzo che offrirà martedì. Cocktail, cene, balli, conferenze, visite ai giardini veneti. Il programma è fitto, così come fitta è anche la lista degli sponsor che si immolano a Venezia. Per "salvare" la città, con una quota che varia dai 5 mila ai 30 mila dollari, si offrono volontari Giorgio Armani, il gioielliere Missaglia, che mette a disposizione il premio finale della caccia al tesoro (quattro spille con rubini e diamanti), i proprietari del Cipriani, con il direttore Natale Rusconi inesorabile nel montare la guardia alla privacy dei suoi ospiti, che promette meraviglie ( "abbiamo preparato una sorpresa, una sfilata di maschere di Arvati" ). E poi aziende agricole, ristoranti, cantine, persino la Fiat Usa... I migliori "contribuenti" ? "Forse proprio quelli che "appaiono" meno" , dice Madame Guthrie. Nomi? Anthony Geller, l' ambasciatrice De Fortabat, la fondazione Getty, che da sola ha offerto una cinquantina di milioni per il restauro della Chiesa dei Miracoli. E proprio il capitolo "restauri" è il motore di tutto. Dietro la fiera delle vanità organizzata ogni due anni da "Save Venice" , al di là delle feste mondane al Gritti o dei ricevimenti a villa Barbarigo, c' è un comitato che semina e raccoglie: in questi anni, già una decina di progetti promossi e finanziati a Venezia. Tutti restauri di opere storiche di enorme valore, dalla chiesa dei Miracoli, appunto, a quella di San Polo, ai pilastri Acritani, alla scuoletta di San Rocco. Ma non c' è solo "Save Venice" a industriarsi per il futuro della Serenissima. In tutto il mondo, una trentina di associazioni gemelle perseguono lo stesso obiettivo, sotto il patrocinio dell' Unesco. In Gran Bretagna, ad esempio, esiste dal 1971 il "Venice in Peril" , fondato da sir Ashley Clarke, ex ambasciatore a Roma, insieme alla moglie e a Carla Malagola, una signora veneziana sposata con lord Thorneycroft, ministro sotto Churchill: tra i loro "patrons" , anche il proprietario della catena Pizza Express, Peter Boizot, che per la causa ha inventato una pizza speciale, "alla veneziana" of course, con uva sultanina e pinoli, sulla quale trattiene un paio di pences ad ordinazione, per un totale negli ultimi anni di 250 mila sterline, 550 milioni di lire. Venezia caput mundi, insomma. Dagli Stati Uniti all' Australia, dalla Germania alla Francia, il partito trasversale dei suoi fans ha racimolato finora 30 miliardi di lire. Spiccioli? Forse sì, specie se paragonati ai 10 mila miliardi che all' inizio dell' anno scorso erano stati previsti dal ministro dei Lavori pubblici Giovanni Prandini per completare entro il 1999 quel mastodontico Progetto Venezia di cui parlano le due leggi speciali del 1973 e del 1984: disinquinamento dei canali, chiusura delle tre bocche di porto, riapertura delle valli da pesca e una nuova regolamentazione del traffico commerciale. Pochi, quei 30 miliardi. Più pesante il ruolo politico del "partito transnazionale" per Venezia. "Non possiamo certo intervenire sulle decisioni del governo italiano" , dice Beatrice Guthrie, "ma in certi casi dobbiamo pur prendere posizione" . Allusione evidente al fronte anti-Expo, nato nel 1989 con la complicità dell' Unesco. Prima sortita pubblica, proprio al Regatta Week Gala di quell' anno, quando i paparazzi riuscirono a immortalare in una foto di gruppo un terzetto più che rappresentativo: il sindaco di allora, Toni Casellati, strenuo oppositore del progetto sponsorizzato dal veneziano ministro degli Esteri Gianni De Michelis; la Soprintendente ai beni artistici Margherita Asso, detta "lady di ferro" ; il conte Gerolamo Marcello, procuratore generale dei Patrizi Veneti, associazione sorta per "restaurare in città i fasti della Serenissima" . La presenza del conte assieme a quella del sindaco e della soprintendente, colta dai fotografi in uno dei suoi rarissimi sorrisi, rese esplicito l' orientamento anti-De Michelis del "Save Venice" . Una lettera, inviata al Bureau international des expositions, confermò il non detto: il comitato era contro l' Expo. Non da solo, in ogni caso. L' Unesco, investito dell' incarico di garante internazionale della salvaguardia di Venezia, si trovò a dover gestire un difficile stallo diplomatico: ribadire il proprio no all' Expo, senza però interferire negli affari italiani. Una posizione sconveniente, per cui l' Unesco ha poi pagato pegno: a marzo scorso infatti, quando si è concluso il triennio previsto dalla legge, il ministero degli Esteri ha deciso di non rinnovare il finanziamento all' ufficio veneziano. Risultato? Il presidente Maria Teresa Rubin de Cervin, per i comitati privati un vero deus ex machina, è stata costretta ad andar via. Al suo posto, una sorta di gestione straordinaria con un emissario, Margaret Van Vliet, spedito da Parigi una settimana al mese. "Un brutto momento per i Comitati. L' Unesco è infatti l' organismo che coordina i loro interventi, che media i rapporti con le Soprintendenze, che permette tra l' altro l' esonero dell' Iva" , spiega la Van Vliet. "Se il nostro ufficio dovesse scomparire, i privati potrebbero trovarsi seriamente nei guai" . Venezia insomma potrebbe perdere i suoi ultimi crociati? I comitati non sembrano disposti a cedere. Giurano che andranno avanti. Però... "E' una fase molto particolare questa, da "mani sulla città" " , avverte Riccardo Rabagliati, presidente di Italia Nostra. "L' Unesco non può tirarsi da parte. Ci vuole qualcuno che vigili. Troppi miliardi scompaiono, troppi progetti abortiscono" . Diciotto anni dalla prima legge speciale per Venezia: 27 enti chiamati a decidere, quattro consorzi che si fanno la guerra. E 10 mila miliardi da dividere, con due scadenze: il 1992 per concludere la fase progettuale, e il 1999 per completare il risanamento della laguna. In realtà, si è all' anno zero. "Se il flusso dei finanziamenti e gli impedimenti burocratici continueranno ad avere lo stesso andamento degli ultimi tre anni, per completare gli interventi altro che 1999. Ci vorranno tempi secolari" , ha appena avvertito Luigi Zanda, presidente del consorzio Venezia Nuova, l' ente incaricato dal governo di coordinare il Piano generale degli interventi. In tre anni il consorzio ha portato le previsioni di spesa da 3654 miliardi a 5412, presentando una serie di studi, il "Progetto Rea" , poi bocciati dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici. La Regione invece dovrebbe occuparsi del disinquinamento. Con i 335 miliardi ricevuti finora, sui 3023 previsti entro il 1999, ha riparato qua e là l' acquedotto, ha approntato qualche impianto di depurazione. Ma la ripulitura dei canali, obiettivo numero uno, è ancora in altissimo mare. Uno dei motivi, dicono alla Regione, è il contrasto con il Comune, che vorrebbe una parte dei finanziamenti e che in questo momento blocca tutto... Se non altro l' inquinamento, che tanto fa disperare i comitati, aiuta la fauna locale, stupore e meraviglia dei turisti giapponesi. Come quei due che, proprio sotto il palazzo del conte Girolamo Marcello, andando in gondola, si sono trovati tra le gambe una mostruosa pantegana. Il gondoliere li ha rassicurati: "Don' t worry, don' t worry. Venice rabbit" . Conigli veneziani. Li troveranno anche i vip che, in tenuta da safari, parteciperanno alla "caccia agli animali" ? Testata Epoca Data pubbl. 21/08/91 Numero 2132 Pagina 68 Titolo VADO IN BESTIA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Don Mario Canciani Sommario Guai a parlargli del Palio. Fosse per lui, salverebbe anche gli agnelli pasquali. Un animalista sfegatato? No, il confessore di Giulio Andreotti. Che in quest' intervista... Didascalia "ANCHE GLI ANIMALI HANNO L' ANIMA" Sopra: al termine del Palio di Siena, viene festeggiato il cavallo vincitore. Ma di cavalli, nelle ultime 21 edizioni della corsa, ne sono morti 22. E questo, don Mario Canciani (a sinistra) lo considera immorale. Sessantadue anni, parroco di San Giovanni dei Fiorentini in via Giulia a Roma, don Canciani è da molti anni il confessore di Giulio Andreotti. "MORAVIA? ERA A UN PASSO DALLA FEDE" A fianco: don Canciani con i suoi gatti. E' stato il sacerdote che ha seguito l' ultimo Moravia. Testo Sedici agosto, piazza del Campo: a Siena ritorna il Palio e con la gara le polemiche tra "animalisti" e "contradaioli" . Casus belli? I cavalli che si azzoppano durante la corsa e che debbono essere abbattuti. Nelle ultime 21 edizioni della "carriera" senese, 22 purosangue sono stati sacrificati in quella che per Brigitte Bardot, Franco Zeffirelli e Anna d' Inghilterra costituisce un' "inutile strage" , anzi una barbarie. E mentre Siena reagisce a colpi di querela contro i suoi detrattori, sul fronte animalista c' è chi si preoccupa non solo di salvare la vita ai cavalli, ma addirittura di garantire loro la salute eterna. Si tratta di don Mario Canciani, 62 anni trascorsi in gran parte sui testi sacri, che rilancia un' ardita teoria: anche le bestie hanno un' anima. Quest' anima vive, soffre ed è immortale. Come prepararla all' aldilà? "Portando le bestie a messa insieme ai loro padroni. Ogni domenica, e in altre due ricorrenze: il 4 ottobre per la festa di San Francesco e il giorno dopo Natale per la benedizione collettiva" , risponde don Canciani. Che non è un piccolo prete di campagna, nostalgico dei vecchi riti contadini, bensì il confessore personale di Giulio Andreotti e l' unico sacerdote rivelatosi capace di intrattenere rapporti di amicizia con lo scrittore Alberto Moravia. Le funzioni di don Canciani si svolgono in una delle più belle basiliche romane, la chiesa cinquecentesca di San Giovanni dei Fiorentini a via Giulia, frequentata "non solo da Andreotti ma anche dalla famiglia Agnelli, da personaggi della politica come Marco Pannella e dello spettacolo, come Lea Massari" . Dallo stesso pulpito, il parroco di via Giulia impartisce prediche ai vip romani e dispensa la parola di Dio a un strana ecumene di cani, gatti, canarini, tartarughe, papere, agnelli: "Il più refrattario è stato qualche mese fa un asinello" , ricorda, "che puntava le zampe per non scivolare sulla cera del sagrato. I cani, invece, adorano l' organo. Si accovacciano beati ogni volta che lo suono. Sarà perché che io, è il caso di dirlo, strimpello da cani?" Non c' è battaglia animalista che don Canciani abbia trascurato: nel 1989 si è messo a bruciare pellicce insieme agli ecologisti sotto la statua di Giordano Bruno, a Campo dei Fiori ( "Sapeste che fetore di carne bruciata..." ). Due mesi fa è sceso in campo con la Lega antivivisezione (Lav) contro il Palio senese di luglio. Poi è corso a Montecitorio con Annamaria Procacci, leader dei Verdi, per l' approvazione della legge a difesa degli animali ( "Sono riuscito a far vietare il test degli spray sugli occhi dei conigli, ora vorrei che si arrivasse, se non alla chiusura, almeno alla regolamentazione dei macelli" ). Quindi è volato a Madrid per un programma televisivo contro la corrida, portandosi dietro il testo di una bolla papale siglata da Pio V nel 1567, vero e proprio anatema contro i toreri: "Il toro va in paradiso" , spiega. "Chi lo uccideva, a quell' epoca, non aveva neanche diritto ai funerali religiosi" . Che il confessore di Andreotti aspiri a diventare il nuovo santo patrono degli animali come San Francesco? "No" , replica, "cerco solo di capire i bisogni della gente" . Ovvero? Mentre ogni estate le associazioni animalistiche si mettono sulle tracce di cani e gatti abbandonati, rilanciano le battaglie contro gli esperimenti in laboratorio, invitano al boicottaggio di palii, arene e matador, c' è tutto un mondo di anime sole che drammatizza, in privato, la "sindrome" animale. Un pensionato di Carpi, Sergio Mattioli, 73 anni, ha offerto mesi fa 100 milioni, cioè i risparmi di un' intera vita, nella speranza di ritrovare Ghighi, il suo amatissimo gatto. Un ex vigile di Buscate, Simeone Edoardo Gazich, 67 anni, è morto d' infarto di fronte alla carcassa del suo cagnolino. Una coppia di ex coniugi monzesi è finita in tribunale per discutere l' affidamento di Parki, levriero di casa. Un nobile straricco ha lasciato in eredità 26 miliardi al suo siamese... Storie raccontate dai giornali come casi-limite, non troppo diverse, però, da quelle che don Canciani fronteggia ogni giorno nella sua parrocchia. I fedeli lo chiamano d' urgenza ogni volta che le bestiole di casa si ammalano, lo vogliono ai capezzali dei vari Fufi, Fido, Boby, per l' estrema unzione. "L' altro giorno una voce concitata, al telefono, mi dice: "don Canciani venga subito, Rosy sta male" . Corro. Chi è Rosy? La cagnetta, naturalmente" . Anche Mary, la quinta gatta della sua "scuderia" , ha una storia sui generis: gli è arrivata in casa come eredità di un matrimonio finito male. "La coppia stava per separarsi. Me l' hanno portata con la salomonica minaccia: "Padre, o la prende lei o l' ammazziamo" " . Un punto di riferimento insomma, e non solo per i fedeli parrocchiani. Il giudizio di don Canciani in fatto di animali è insindacabile persino presso i teologi. Il parroco di via Giulia si appoggia all' autorità di San Gerolamo, di Sant' Agostino e persino dell' Antico Testamento: "Nei primi cinque libri si prescrivono le regole per macellare gli animali. Ma con l' avvento dei Profeti si ha una svolta: Geremia ha l' incarico di allontanare dal Tempio i commercianti di bestiame, ritenuti immorali. E sempre all' interno del tempio, l' ira di Cristo contro i "ladri" e gli "assassini" è un vero atto di accusa contro chi sventrava gli animali nel sacro luogo" . La storia dei santi, da Francesco d' Assisi a Filippo Neri, gli corre in aiuto. Ma l' elemento determinante, per don Canciani, è la posizione assunta dal Papa: "Sono riuscito a influenzare anche il Vaticano" , dice senza falsa modestia, "oggi è completamente dalla mia parte" . Una prova? L' enciclica Sollicitudo rei socialis, che invita l' uomo a riconciliarsi con la natura. E l' anno scorso, commentando alcuni salmi, Giovanni Paolo II parlò esplicitamente di un soffio vitale, di un anelito che da Dio spira sugli uomini come sugli animali. L' anima, appunto. Si racconta poi dell' imbarazzo di papa Wojtyla di fronte a un agnello che gli era stato regalato durante una delle sue visite nelle parrocchie romane. Cosa farne? "Dobbiamo chiederlo a don Canciani" , pare abbia detto il Santo Padre rivolgendosi all' allora Cardinal vicario Ugo Poletti. Così l' agnello è finito a brucare l' erba nei giardini di Castelgandolfo. E "Don Agnello" è stato ribattezzato il confessore di Andreotti quando ha bollato come immorale il consumo di carne sulle mense pasquali: un anatema che, l' anno scorso, gli è costato le dimissioni dall' incarico di assistente spirituale dell' Azione cattolica a Roma. "All' interno della Chiesa c' è gente che viaggia ancora sui vecchi binari" , spiega Canciani, "ma fortunatamente altri cominciano a capire che l' animalismo ha le sue basi anche nella religione cattolica. L' astensione dalla carne di venerdì altro cos' è se non un residuo di vegetarianismo?" . Dagli animali ai vip. Quando morì il suo amico Moravia, don Canciani avrebbe voluto commemorarlo con una grande funzione nella basilica di via Giulia: "Ma il cardinale Poletti mi telefonò dalla segreteria di Stato vietandolo categoricamente" . Obbedì? "No, l' ho fatto lo stesso, ma senza pubblicità" . Per un prete che abitualmente accoglie in chiesa, oltre a cani e gatti, tutte le prostitute del quartiere, che ama fare affermazioni tipo "l' inferno non esiste, non posso credere che Dio voglia un' Auschwitz eterna" , oppure "il divorzio è spesso un dovere, non solo un diritto" , benedire uno scrittore "ateo" è quasi uno scherzo. E poi, "Moravia non era miscredente, era anzi vicinissimo alla conversione" . E Andreotti? Che cosa ne dice il suo confessore? Racconta di averlo conosciuto trent' anni fa, quand' era parroco ad Acilia. "Non c' era un telefono in tutta la zona. L' unico punto di riferimento poteva essere la parrocchia. Così l' ho chiamato: è riuscito a far installare un ponte radio" . Andreotti, un tempo, frequentava assiduamente la parrocchia, oggi un po' meno: "Questioni di sicurezza" , lo giustifica il padre spirituale, "non può più permettersi di venire ogni mattina alla messa delle sei. Ma lo vedo comunque spesso. E poi sua moglie, la signora Livia, è la donna più attiva della nostra parrocchia. Nessuno lo sa, perché opera in incognito" . Non c' è compleanno in cui Andreotti si dimentichi di mandare gli auguri all' ex parroco di Acilia, non c' è Natale in cui rinunci a partecipare alla messa di mezzanotte, accanto a cani, gatti, uccellini e tartarughe. Come un paio di anni fa, quando in via Giulia (ma sotto l' altra navata) c' erano i radicali Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia. E pure Giovanni e Susanna Agnelli, che non hanno battuto ciglio quando il "prete degli animali" , forse ignaro di avere dinanzi un uditorio così selezionato, ha cominciato a tuonare contro "i falsi idoli della nostra società, i miti peggiori del successo e del denaro" . Testata Epoca Data pubbl. 07/08/91 Numero 2130 Pagina 31 Titolo QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELL' OLGIATA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Sommario Finirà come per via Poma? La vittima, una donna giovane e bella. Il movente, misterioso. I testimoni, irrilevanti. E un indiziato sul punto di essere trasformato in "mostro" . A un anno di distanza, una macabra sceneggiatura sembra ripetersi. L' omicidio della contessa Filo della Torre resterà impunito come quello di Simonetta Cesaroni? "Epoca" ha ripercorso, passo passo, il lavoro degli inquirenti. E ve lo racconta come un giallo ricco di risvolti inediti. A partire da quella mattina di mercoledì 10 luglio. Didascalia Alberica Filo della Torre (a fianco) e Simonetta Cesaroni (sopra), le vittime dell' Olgiata e di via Poma. Roberto Jacono (a fianco), il principale indiziato dell' Olgiata, come lo fu a lungo Pietrino Vanacore (sopra) per via Poma. UNA PRESENZA INDESIDERATA Pietro Mattei, il marito di Alberica Filo della Torre, con i suoi due figli, Domitilla e Manfredi. Mattei non ha mai tollerato che Roberto Jacono girasse abitualmente in casa. UNA PICCOLA BUGIA Melanie Uniackee (sopra), la baby sitter inglese, aveva mentito dicendo d' essere stata in piscina col piccolo Manfredi. Che cosa nascondeva? E perché la sua bugia è stata perdonata? Testo E' appena passato mezzogiorno di mercoledì 10 luglio, il comandante della centrale operativa dei carabinieri, Tommaso Vitagliano, si precipita fuori dalla caserma di via In Selci, con lui il colonnello Roberto Conforti. Corrono all' Olgiata. Una contessa assassinata in camera da letto: non si tratta certo di un delitto qualunque, farà scalpore, richiederà cautela e attenzione. Nello stesso momento, dall' altra parte della città, nei palazzoni del tribunale di Piazzale Clodio, il sostituto procuratore Cesare Martellino, 48 anni, salta in macchina. L' indirizzo è lo stesso: villa Filo della Torre, all' Olgiata. Appena arrivati, il magistrato e i carabinieri si precipitano nella stanza del delitto. Sanno già che il corpo è stato scoperto alle 11 del mattino. Un urlo della cameriera filippina, Violeta Apaya, ha gelato le altre sei persone presenti in casa in quel momento. La cameriera ha tentato di prestare soccorso alla padrona ormai senza vita, poi è corsa stravolta giù per le scale, lasciandosi dietro, sulla moquette verde e lungo il muro, una scia di sangue. Ma nessuno, prima, ha visto o sentito nulla. Si sono affrettati a dirlo agli inquirenti camerieri, operai e baby sitter presenti nella villa o in giadino. Ma quel che conta, prima di tutto, è il luogo dell' omicidio. La camera da letto, al primo piano, è perfettamente in ordine: le abat-jour gialle sui comodini, il copriletto a fiori tirato sulle lenzuola, una copia di Panorama su un angolo. Solo un paio di scarpe bianche gettate a casaccio davanti alla porta d' ingresso. Dall' altra parte della stanza, tra la parete e il letto, a terra, il cadavere della contessa, con il viso tumefatto da una ferita alla tempia destra, segni neri sulla gola e un lago di sangue attorno al suo negligé di seta. Sotto il capo, uno zoccolo di legno, l' "arma" usata dall' assassino per colpirla prima di strangolarla. Non è stata violentata, lo accerterà l' esame del tampone vaginale fatto alcuni giorni dopo. Ma Alberica non è morta subito: otto minuti ci sono voluti prima dell' ultimo respiro. Lo hanno desunto gli inquirenti con l' aiuto dei medici legali. Il movente? Il primo pensiero va alla rapina: mancano dalla stanza gioielli per centinaia di milioni. Ma come spiegare allora la chiave con la quale l' assassino ha chiuso la porta ed è scappato via, lasciando al polso della donna un Rolex d' oro? Che sia stato un delitto passionale? Troppo presto per dirlo. Il giudice comincerà a intuire che possono funzionare tutte e due le ipotesi qualche giorno dopo, quando entrerà in scena nella veste di principale indiziato, un vicino di casa della contessa, Roberto Jacono, 30 anni e molti problemi, psicolabilità mentale, piccoli precedenti penali, e soprattutto rapporti poco chiari con la vittima. Ma anche allora il giudice non si sbilancerà. Continuerà a parlare di "movente misto" . Il pomeriggio del 10 luglio è ancora presto per tirare qualsiasi conclusione. Quello che è chiaro agli occhi degli inquirenti è che si tratta di uno di quei gialli che possono procurare un mare di guai: "Ragazzi, attenzione, non facciamo via Poma bis" . In altre parole: muoversi in fretta, ma evitando i passi falsi dell' anno scorso, quando davanti al cadavere di Simonetta Cesaroni, 21 anni, uccisa in ufficio con 29 coltellate, si finì per sbattere in prima pagina un "mostro" che si rivelò fasullo, il portiere dello stabile Pietrino Vanacore. "Un giallo" , sussurra il magistrato, "che sembra un romanzo di Agatha Christie" . Niente a che vedere con le inchieste che ha avuto per le mani di recente, la liberazione dell' industriale Balardinelli e l' incendio alla Standa di via Santa Costanza a Roma. La criminalità organizzata stavolta non c' entra. Una nobildonna è stata assassinata il giorno del suo decimo anniversario di matrimonio. E non sembra un omicidio premeditato. Il magistrato non ha dubbi: "L' assassino è di casa, qualcuno che la contessa doveva conoscere bene. Bisogna che si lavori qua dentro, che non si lasci la villa neanche per un attimo" . Gli altri sono d' accordo. Il colonnello Tommaso Vitagliano, soprattutto, da un anno comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. A lui sì, una storia del genere è invece successa, una decina di anni fa in Piemonte. E la ricorda perfettamente: "Il cadavere decapitato di uno steward dell' Alitalia, mezzo bruciato nel camino di un castello nobiliare... Che orrore, sembrava di essere finiti in un film di fantasmi. Anche là, però, la chiave del mistero era la casa. Risalimmo all' assassino grazie a un capello sintetico" . Ma all' Olgiata non ci sono tracce così precise. La boccetta con le tre pillole, che sarà trovata in camera da letto, qualche capello "naturale" sui cuscini, sono segni ai quali nei giorni seguenti al delitto, sarà data molta importanza. Rischiano però di non portare da nessuna parte. L' unico appiglio, tutt' oggi in mano agli investigatori, sono due macchioline di sangue, quasi invisibili, su un paio di jeans color verde marcio, sequestrati a casa del vicino, Roberto Jacono. Giudice e carabinieri sono comunque d' accordo: si resta all' Olgiata. "Dobbiamo ricreare l' atmosfera, entrare nella psicologia degli abitanti della villa, provare se davvero si può commettere un omicidio in una stanza senza che nessuno veda o si accorga di niente" . Ci penseranno i 40 carabinieri coordinati dal capitano Mario Conti, gran conoscitore dell' Olgiata (è passata per le sue mani l' indagine sull' omicidio di Maria Vittoria Revadin, uccisa dal marito Giorgio Recchi), incaricato soprattutto di recuperare i reperti, di seguire le perizie e le analisi di laboratorio. E gli toccherà anche, con l' aiuto del responsabile della squadra omicidi Leonardo Rotondi, di mettere sotto torchio i testimoni. Ma in questo il capitano è un maestro: voce bassa, tono monocorde. Il suo è un gioco incalzante. Chi interrogare per primo? I personaggi destinati ad aprire questo surreale flash-back voluto dagli inquirenti sono le due cameriere filippine, Violeta Apaya e Rupe Manuel. Raccontano che la mattinata è cominciata alle 8,30 con la colazione della contessa, di suo marito Pietro Mattei e dei loro due bambini: Domitilla che ha sette anni, e Manfredi, che ne ha nove. Subito dopo, aggiungono le due filippine, Pietro Mattei sale sulla sua Bmw e lascia la villa per andare al lavoro, all' Eur, negli uffici della società "Impreme" . La signora invece va in camera. In casa restano sei persone. I figli della contessa, la loro baby sitter inglese, Melanie Uniackee, e loro due, le domestiche. Dopo arriverà una coppia di operai incaricati di sistemare l' autoclave per il party della sera: si festeggia il decimo anniversario di matrimonio. Alle 9,10, la piccola Domitilla sale al primo piano per cercare la madre. Bussa più volte alla porta. Nessuno le risponde. La bambina intuisce qualcosa. Si siede sui gradini e comincia a piangere disperata. Violeta la sente e corre a consolarla. Entrambe guardano dal buco della serratura. E danno due versioni diverse. La bambina riferirà di aver visto soltanto un paio di scarpe bianche. La camerierà dirà che la chiave inserita le aveva impedito di vedere alcunché. Dall' interno non arrivano rumori. Sta accadendo qualcosa? L' assassino è probabilmente lì con la contessa, forse già morta. Ma solo alle 11, Violeta si decide a fare un altro tentativo. La porta è sempre sbarrata, ma stavolta dalla serratura è sparita la chiave. La domestica apre con un passepartout. Un urlo. Domitilla arriva correndo e rimane sconvolta dal terrore. L' altro bambino, Manfredi, viene fermato in tempo. Poi, la telefonata ai vigilantes, ai carabinieri, al marito della contessa che lascia a precipizio il suo ufficio dell' Eur. E' solo il primo atto. Martellino, pipa tra le mani, passeggia nel pomeriggio di quel 10 luglio avanti e indietro davanti alla casa dei misteri. Le sue vacanze in barca sono già sfumate. Ci sono dei gioielli da ritrovare, una chiave che l' assassino ha portato con sé, c' è da capire come una persona sia potuta passare inosservata all' interno della villa, scoprire se davvero l' assassino ha usato la porta del garage, chiusa con una combinazione elettronica. E poi, gli alibi dei presenti: dov' era Mattei, ad esempio, al momento del delitto? Il computer all' ingresso dell' Olgiata ha registrato l' uscita, alle 8,30, e il rientro, verso mezzogiorno. I colleghi di lavoro confermano: "L' abbiamo visto entrare di buon umore. E' uscito da qui, dopo la telefonata, che era un uomo distrutto" . Le carte ritrovate nello scantinato, due locali messi sotto sequestro? Documenti suoi, ma anche della moglie, amministratore delegato di una società, la "Santa Susanna" , alla quale risultano intestati tuti i beni di famiglia, villa compresa. Ma tra le scartoffie non compare nulla. Si cercano polizze d' assicurazione sulla vita della contessa. Nulla. Passano i giorni. L' Olgiata è sotto assedio. Davanti alla villa le telecamere, i flash dei fotografi. Tra i vialetti più nascosti, squadre di carabinieri vanno a caccia dei gioielli. Gli interrogatori si incrociano, ma nella rosa dei sospettati rimangono in pochi. Gli operai, ad esempio, vengono scagionati subito: sono arrivati verso le 10, quando la contessa era già morta. Si "spreme" invece, Melanie Uniackee, la giovane baby sitter inglese. Avrebbe raccontato di essere stata in piscina con il piccolo Manfredi, ma non è vero. Cosa nasconde? I sospetti su di lei cadono dopo la confessione di un piccolo segreto privato rimasto misterioso. Gli inquirenti passano nella villa la notte, il giorno seguente, il giorno seguente ancora. E così per una settimana. Poi si trasferiscono negli uffici di via In Selci. Forse una pista c' è già: il "maggiordomo" . Troppo banale? In effetti di mezzo c' è di mezzo un ex domestico della contessa, un filippino di 21 anni, Winston Manuel, da poco licenziato, ma che a quanto pare continua a frequentare la casa. Dov' era la mattina del delitto? "A lavorare in una villa vicina, sir" , dice il ragazzo in perfetto inglese. Nessuno conferma. Però Winston non è neanche stato visto all' interno della villa. Violeta Apaya e Rupe Manuel, le due domestiche, lo stanno forse proteggendo? Il magistrato è sicuro che sappiano qualcosa, ma ottiene solo particolari contrastanti, parole mal pronunciate. Alla fine si arrende: "Impossibile parlare con loro. E' un fatto di mentalità. Mentono anche quando non ce n' è bisogno" . La moglie di Martellino, appassionata di sedute spiritiche, mentre il marito presidia la villa, invoca lo spirito della contessa. Dall' aldilà Alberica conferma di essere stata colpita alla tempia destra, particolare reale, che potrebbe far pensare al colpo di un mancino, come è Winston Manuel. Lo spirito della defunta non aggiunge però altro. In compenso, venerdì sera, compare un "fantasma" che sembra azzerare le indagini: alle otto viene trovata nella cassetta della posta una chiave che apre i cancelli della villa. Non è quella della camera della contessa, ma è comunque una traccia molto importante. Chi l' ha messa lì? E' stata una vicina, Franca Senepa, insegnante d' inglese di Domitilla e Manfredi, con il figlio, Roberto Jacono. Quando? La donna giura: "Venti giorni fa" . Martellino ribatte: "No, è comparsa oggi" . Si apre una nuova strada. Franca Senepa è la stessa donna che mercoledì pomeriggio, a poche ore dal delitto, è andata a prendere Manfredi e Domitilla a casa di amici fidati, dove erano stati portati con la scusa di un gelato. Perché tanto zelo da parte dell' insegnante? Quali erano i suoi rapporti con la contessa Alberica? E soprattutto, cosa c' entra il figlio, Roberto Jacono? Comincia un nuovo gioco di sospetti, una rincorsa di voci che né il giudice Martellino, né il colonnello Vitagliano riescono più a controllare. Il delitto dell' Olgiata rischia di diventare davvero il "via Poma bis" . Si parla di cautela, di garantismo, ma un nuovo "Pietrino Vanacore" sembra pronto a debuttare nel ruolo del "mostro" : Jacono, appunto, 30 anni, un tipo strano, che spesso dà in escandescenze. Ostenta sicurezza, spavalderia. Urla ai cronisti: "Non sono un drogato come avete scritto. Ho solo avuto in passato un esaurimento nervoso" , quindi si fa largo tra la folla, sale sulla sua Golf grigia e finge di investire un gruppo di giornalisti. Amico di Alberica, o solo una comparsa secondaria in casa Mattei? Dal Portogallo, arriva la madre della contessa, Anna del Pozzo di Cajanello, a testimoniare: "Mia figlia mi aveva confessato che un uomo la ossessionava" . Era Roberto Jacono? No, la nobildonna probabilmente parlava del filippino: una banalissima storia di uno stipendio anticipato e mai restituito, con Winston Manuel che si sarebbe licenziato venti giorni prima del dovuto. E la contessa, gli investigatori lo vanno scoprendo a poco a poco, sui soldi non transigeva. Anche Franca Senepa, la madre di Jacono, era stata messa alla porta perché alla nobildonna le 700 mila lire al mese che chiedeva per insegnare l' inglese ai bambini erano parse eccessive. Un altro particolare a rafforzare il filo che lega la sorte dei Mattei a quella della famiglia di Jacono... Ma come sono nati realmente i sospetti? E' Domitilla, la bambina, diventata insieme a Manfredi testimone chiave dell' inchiesta, che involontariamente ha messo gli investigatori sulle tracce di Roberto Jacono: "Viene sempre a far il bagno in piscina da noi. Lo aspettavo la mattina in cui è morta la mamma" . Roberto si mostra sbalordito. "Ma cosa si è inventata? E' vero sono stato tre o quattro volte a fare il bagno lì, ma non mercoledì" . Comincia a perdere il controllo: "E' una colpa questa? Fare il bagno in piscina?" Il suo alibi: a casa fino alle dieci e un quarto, con la madre che gli porta il caffè a letto. Poi una doccia e una passeggiata al centro commerciale vicino l' Olgiata. L' ha visto il proprietario del bar: "E' venuto qui a prendere il cappuccino, ma non so dire a che ora" . C' è il computer dei vigilantes, al cancello dell' Olgiata, che ha registrato il passaggio di una macchina e l' impronta di un tesserino elettronico attorno alle dieci e mezza del mattino, con un rientro il giorno dopo. Non proprio il tesserino di Roberto, ma quello del padre, che è rimasto però, gli inquirenti lo sanno, a casa tutto il giorno. Una conferma che non basta a salvare il giovane dai sospetti: l' assassinio è avvenuto infatti attorno alle nove. Intanto i gioielli non si trovano. Non si trova neanche la chiave della camera da letto della contessa. In compenso si accumulano gli indizi contro il giovane, "gravissimi" , dice il colonnello Vitagliano. I jeans sequestrati dall' armadio di Jacono ancora umidi, con delle macchioline di sangue, ad esempio. Solo il test del Dna potrebbe provare che quel sangue appartiene alla contessa. Ma ci vuole prima un "avviso di garanzia" all' indiziato. E per quello è ancora troppo presto. Jacono, con i suoi scatti d' ira e i suoi sguardi febbricitanti, rimane al centro della scena. Cominciano a trapelare indiscrezioni sul suo passato: una condanna a tre anni per furto, un accusa per "atti osceni in luogo pubblico" , e una lunga serie di dicerie. Melanie Uniackee, la baby sitter, è la più spietata: "He' s not a perfectly okay chap" . Non è quello che si dice un ragazzo a posto. Le avrebbe fatto delle avances, più volte sui bordi di quella maledetta piscina. Ma perché la contessa accoglieva in casa uno così? Glielo aveva chiesto la madre Franca Senepa, pregandola di aiutare questo figlio un po' sbalestrato? Forse. Fatto sta che il marito di Alberica, che pure non lo conosceva personalmente, ogni volta che si faceva il nome di Jacono si arrabbiava. Non aveva gradito neppure il fatto che, in previsione della festa, al giovane fosse stato affidato l' incarico di sistemare gli ombrelloni attorno alla piscina della villa. Che ci fosse dell' altro? Venerdì 18, Jacono, fuori di sé, si confida con una giornalista del Tg3: "Io conoscevo la contessa, avevo rapporti stretti con lei" . Ma nessuno lo prende troppo sul serio. "E' lo stress" , dicono. Il giorno prima infatti i carabinieri l' hanno tartassato di domande. Conseguenza: sfinito, Roberto decide, con una mossa a sorpresa, di "rifugiarsi" al centro d' igiene mentale del San Filippo Neri. Partono le accuse. Ma stavolta sul banco degli imputati ci sono gli inquirenti. L' Avi, la neonata associazione che raggruppa le "vittime dell' ingiustizia" , tuona contro le "irritualità" commesse dal giudice Martellino, contro "questo modo di trattare i testimoni come fossero accusati, senza neanche la presenza di un' avvocato" . Minacciano i soci, tra i quali anche Pietrino Vanacore, il portiere di Via Poma, un' interrogazione parlamentare, che arriva puntuale, qualche giorno dopo, firmata dai radicali. Il giudice Martellino ribatte irritato: "Mi accusano di violazione del segreto istruttorio. Mah...Cosa volete che risponda? Le informazioni alla stampa non le ho certo date io" . Poi, finalmente, il primo atto ufficiale: l' avviso di garanzia a carico di Roberto Jacono, firmato mercoledì 23 luglio. Così entra in scena un altro protagonista: l' avvocato Alessandro Cassiani, legale di Jacono. "Roberto piange, si dispera. Saranno i medici del San Filippo Neri a dire se potrà ancora essere interrogato" . Ma una delle ultime volte che appare in giardino, fuori dall' ospedale, con una camicia a fiori e i bermuda verde smeraldo, Jacono è stranamente sereno. L' avviso di garanzia non lo spaventa: "Non ho la minima idea di come quelle macchie siano rimaste sui miei jeans" . E all' orizzonte appare anche una fidanzata che per gli inquirenti "non aggiunge nulla a ciò che già sappiamo" . Si ripeterà lo show di Pietrino Vanacore? L' avvocato Cassiani ne è certo: "Il mio cliente con l' assassinio della contessa non c' entra nulla. Vedrete... sarà un altro delitto irrisolto..." . Testata Epoca Data pubbl. 31/07/91 Numero 2129 Pagina 28 Titolo UN INCERTO AVVENIRE Autore Maria Grazia Cutuli Sezione VISTI DA VICINO Occhiello CAMILLO RUINI Sommario La stampa cattolica dà dispiaceri al neo-cardinale. Didascalia Sotto: il cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei. Testo Troppa cronaca, troppi reportage. In altre parole, troppo giornalismo e poca religione. Da tempo il presidente della Conferenza episcopale italiana, Camillo Ruini, pensava che il quotidiano L' Avvenire, di proprietà dei vescovi, avesse bisogno di una "raddrizzata" . Così, appena si è liberato il posto del vicedirettore (quello di direttore, intoccabile, è occupato da Lino Rizzi), Ruini ha pensato: "Chi meglio, per quella poltrona, della mia vecchia guida spirituale Dino Boffo" , ex segretario generale dell' Azione cattolica? Detto fatto. Però il "suggerimento" ha provocato un vero tumulto in redazione e Marco Brigi, caporedattore centrale, in segno di protesta se n' è andato in vacanza. Un piccolo incidente che si aggiunge però a quello causato poco tempo prima dal settimanale cattolico Famiglia Cristiana. Proprio mentre la Cei sottolineava il successo dell' insegnamento della religione nelle scuole (cavallo di battaglia di Ruini), Famiglia ha pubblicato un' inchiesta per dimostrare esattamente il contrario. Ma il fronte caldo dei giornali non è l' unica spina nel fianco del cardinale. Da oscuro don Camillo emiliano (è nato 60 anni fa a Sassuolo), l' "assopigliatutto" Ruini è riuscito a cumulare un tale potere dentro la Chiesa da generare robusti anticorpi. Qualcuno gli rinfaccia certe cadute di gusto, come il ricevimento molto mondano offerto il 28 giugno nei giardini lateranensi per la sua nomina a cardinale: 6 mila invitati, solo 600 presenti tra politici, banchieri, diplomatici, alti prelati. Altri ancora gli rimproverano di aver preso le distanze dal Papa sul pacifismo durante la guerra nel Golfo. Ma il principale capo d' accusa nei suoi confronti è costituito dal ruolo di intermediario che esercita tra la Dc e la Chiesa italiana. Il socialista Claudio Martelli ce l' aveva anche con lui, quando ha polemicamente esortato la Chiesa a parlar di Dio e a lasciar perdere la politica. Testata Epoca Data pubbl. 24/07/91 Numero 2128 Pagina 42 Titolo IL DELITTO DELL' OLGIATA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Il giallo dell' estate: chi sa, chi tace, chi mente Sommario TUTTI I MISTERI DELLA BEVERLY HILLS DI ROMA Dalla mattina del 10 luglio, quando Alberica Filo della Torre è stata trovata uccisa nella sua villa, la residenza più "americana" della Capitale è diventata anche la più indagata. Chiunque abbia assassinato la nobildonna, per gli ottomila abitanti del quartiere la vita non sarà più la stessa. Eppure, la cronaca nera si è occupata spesso dell' Olgiata: frequenti rapine, due omicidi, stupri non denunciati, giovani-bene organizzati in bande... E' da questo ambiente che è venuto il killer. "Epoca" ve lo racconta, frugando tra il Golf Club e il maneggio, le piscine e i parchi privati, le ville hollywoodiane e i vigilantes... Didascalia Sopra: Cesare Martellino, il magistrato che conduce l' inchiesta sull' omicidio di Alberica Filo della Torre, 42 anni (nella pagina accanto). SI ENTRA SOLO CON TESSERA Sopra: l' ingresso del complesso residenziale dell' Olgiata, controllato da un sofisticato sistema elettronico con tessere magnetiche. In alto: il "green" dell' Olgiata Golf Club. A fianco: la villa Mattei, dove è avvenuto il delitto. E' LA RESIDENZA PREFERITA DEI VIP Ornella Muti Vittorio Sbardella Barbara Bouchet Monsignor Paul Marcinkus, socio del Golf Club Beatrice Jannozzi Nobili, uomini politici come Vittorio Sbardella, attrici come Ornella Muti, Serena Grandi e Barbara Bouchet, cantanti come Patty Pravo, professionisti, medici, avvocati, personaggi del jet come Beatrice Jannozzi. E' questo il ricco campionario degli abitanti dell' Olgiata, il quartiere residenziale sulla Cassia nato alla fine degli anni Sessanta. Vi vivono attualmente ottomila persone. DUE MATRIMONI Alberica Filo della Torre. La contessa aveva sposato Pietro Mattei in seconde nozze. Dal matrimonio sono nati due figli, Manfredi di nove anni e Domitilla di sette. UNA TESTIMONE RETICENTE Violeta Apaga, 40 anni, la domestica filippina che ha scoperto l' omicidio. La sua testimonianza, come quella della collega Rupe Manuel, non ha convinto il magistrato. RESTA CON DUE FIGLI Pietro Mattei, 49 anni, marito di Alberica Filo della Torre. Consulente immobiliare per il costruttore Mezzaroma, al momento del delitto stava recandosi al lavoro a Roma. Testo La sbarra di ferro si abbassa veloce davanti all' auto. Un paio di guardiani sbirciano dentro. Poi, la domanda: "Dove va?" . Una risposta qualsiasi, il Golf Club, e la sbarra lascia libero l' accesso all' Olgiata. E' passato così, con la stessa facilità, la mattina del 10 luglio, anche l' assassino della contessa Alberica Filo della Torre? O era già dentro, tra i "residenti" , l' uomo che ha strangolato la nobildonna, nella camera da letto della sua villa-bunker, in mezzo a una folla di filippini, operai, amici di famiglia? La Beverly Hills alle porte di Roma non sembra più la roccaforte sicura e inaccessibile di cui tutti parlano. Il cadavere eccellente di Alberica Filo della Torre, 42 anni, moglie di Pietro Mattei, costruttore romano, proietta sull' Olgiata un' atmosfera sinistra, da Peyton Place del crimine e del malaffare. Anche perché non è il primo delitto che si compie nella quiete di questo villaggio esclusivo. Sette mesi fa, a qualche centinaio di metri dalla villa dell' ultimo assassinio, è morta un' altra nobildonna, Maria Vittoria Revadin, 49 anni, ammazzata dal marito, Giorgio Recchi, imprenditore romano. Una storia diversa, certamente, da quella che è costata la vita a Alberica Filo della Torre. Ma, in così pochi mesi, due morti sono tante, troppe se in un perimetro di ottocento ettari di campagna, presidiato notte e giorno da trenta vigilantes armati, con ingressi autorizzati da carte magnetiche e da un computer che dovrebbe registrare tutti i visitatori. Sono troppe se si aggiungono a una lista di altri crimini, certamente minori, ma comunque allarmanti: una catena di rapine, ad esempio, che dal 1984 in poi ha seminato il panico nel quartiere. I ladri non erano delinquenti comuni, ma bande "interne" . In altre parole, figli dei residenti dell' Olgiata, che si dilettavano a far razzie nelle case, legando e imbavagliando i proprietari. E poi, a gennaio scorso, l' arresto di uno dei capi clan più pericolosi della ' ndrangheta, don Filippo Barreca, latitante di lusso, oltre che narcotrafficante di rango, che proprio all' Olgiata aveva impiantato il suo quartier generale, il domicilio segreto dal quale continuava indisturbato a dirigere il suo impero economico. Complice, ancora una volta, così come per l' assassino di Alberica Filo della Torre, la quiete indisturbata di questo quartiere dai viali solitari, dove le strade si chiamano con le lettere A, B, C, D, e le abitazioni vengono identificate con il numero delle "isole" , le macchie di vegetazione che proteggono da occhi indiscreti. "Controlli, servizi di sicurezza... Ma come si fa su un' area così grande?" , dice Giancarlo Lurci, direttore del Golf Club, circolo ovviamente esclusivo della già esclusiva Olgiata. "E poi, qui tutto succede dall' interno. Assassini, ladri, delinquenti non hanno bisogno di passare dal cancello" . Un male endemico, insomma, un cancro che può causare un furto così come un omicidio? A giudicare dall' ultimo delitto sembrerebbe di sì. Il thrilling è ancor più appassionante proprio perché avvenuto in una delle ville più protette, con sette, otto, forse dieci persone che si aggiravano per casa. In teoria tutte fidate: i due bambini della contessa, Domitilla, 7 anni, e Manfredi, 9, tre domestici filippini, una ragazza inglese amica di famiglia, Melanie, un paio di operai. La donna, trovata morta da una delle cameriere poco dopo le undici, aveva una ferita alla tempia destra, e al collo, sotto un brandello di lenzuolo, i segni dello strangolamento. Al polso, ancora un Rolex d' oro, ma mancavano dalla sua camera alcuni gioielli, tra cui un collier. Mancava anche la chiave della stanza, con cui l' assassino ha chiuso la porta, qualcuno che conosceva la casa perfettamente, che sapeva da quale parte passare senza farsi vedere. Quella sera Alberica avrebbe dovuto festeggiare in casa i dieci anni del suo matrimonio con Pietro Mattei. La vendetta di un amante deluso, allora? Gli inquirenti sembrano escluderlo. Hanno sequestrato alcuni documenti del marito, il sifone di un lavandino in cui Melanie avrebbe lavato un costume, una boccetta di pillole trovate in bagno, hanno analizzato ogni piccolo particolare ma ogni singola traccia si è sempre mostrata insufficiente. Memori dello smacco di via Poma, gli inquirenti non risparmiano energie e invenzioni organizzative, lavorano divisi in équipe frazionate e guidati da un' unica certezza: il delitto non era premeditato. Le due domestiche della signora sono state messe subito sotto torchio, sospetta è sembrata anche la posizione di un altro filippino, Manuel Winston, che era stato licenziato di recente dalla contessa, ma che, forse, frequentava ancora la villa. E' stato interrogato anche Roberto Jacono, il figlio trentenne dell' insegnante d' inglese dei due bambini, che in un primo momento si pensava fosse tossicodipendente. E il marito? Qualcuno lascia intendere che la causa della morte possa essere cercata nel giro dei suoi interessi di lavoro, tra i mille affari della "Imprema" , la società di costruzioni che lo vede socio dell' imprenditore Mezzaroma. Ma gli inquirenti su questo si sono mostrati sempre più che scettici. Mattei ha sempre separato amore e affari e quello con Alberica era stato un matrimonio d' amore. "Lui l' amava" , sussurrano gli amici, "lei forse un po' meno" . Chiacchiere, comunque. La coppia in pubblico sembrava affiatata. Davano ricevimenti, facevano vita di società, unendo le sostanze di lui con il buon nome di lei, Filo della Torre di Santa Susanna, figlia dell' ammiraglio Ettore e della contessa Anna del Pezzo di Cajanello. La villa era però di Alberica, cresciuta e vissuta con la sorella Francesca all' Olgiata, dove appunto la madre Anna intorno agli anni Sessanta era andata a vivere. Erano gli anni della prima lottizzazione. L' Olgiata cominciava a trasformarsi da tenuta agricola e zona d' allevamento equino a quartiere residenziale, a quell' epoca veramente chic. "Vi abitavano dieci, quindici famiglie in tutto, solo nobili e diplomatici" , ricorda la contessa Orietta Incisa della Rocchetta, sposata Hunyady, figlia del marchese Mario, all' epoca proprietario dei terreni. "Alberica andava a cavallo, me la ricordo da ragazzina" , frequentava la buona società romana, corteggiatissima dai migliori partiti della nobiltà. Tra questi, una ventina d' anni fa, aveva scelto il suo primo marito, Alfonso de Liguoro, principe. Ma il matrimonio finì presto male. Incompatibilità di carattere, forse, fatto sta che Alberica preferì passare un periodo in casa, poi viaggiò all' estero, fu vista a Montecarlo a qualche ricevimento mondano, ma solo raramente. Ricominciò ad apparire solo dopo il secondo matrimonio, con Pietro Mattei, "il signore che si occupa di costruzioni" , come lo identificavano gli amici. Ritornò all' Olgiata, in una nuova villa costruita apposta per la nuova famiglia, nella quale sarebbero arrivati presto due bambini, Manfredi e Domitilla. Una villa enorme con piscina, protetta come un bunker, sistemi d' allarme, combinazioni elettroniche, cellule fotoelettriche e un enorme molosso, a differenza di tante altre dove a stento c' è un cane da guardia. Di cosa avevano paura i coniugi Mattei? "All' Olgiata nessuno ha i sistemi di difesa che hanno loro" , confessa Olghina de Robilant, nobildonna di origini veneziane autrice di un' autobiografia, Sangue Blu, presentata per pura coincidenza alla libreria dell' Olgiata, quattro giorni dopo il delitto. "La villa di Giorgio Recchi, ad esempio, una casa che vale dieci miliardi, più volte usata, prima dell' omicidio della moglie, come set cinematografico... I sistemi di allarme li ha imposti la polizia, ma da poco, da quanto lui è ritornato a casa " . Ma questa di Recchi, è considerata una storia diversa, un raptus di gelosia e di follia che non ha lasciato spazio al mistero, una tragedia senza giallo. "L' Olgiata è un posto tranquillo" , ripete Olghina de Robilant, "non abbiamo paura degli omicidi" . Tranquillo, ma fino a che punto? Contro i malintenzionati che arrivano da fuori dovrebbe esserci il servizio di sicurezza. Ma contro gli stessi residenti? "Negli ultimi due anni abbiamo raddoppiato il numero dei vigilantes, abbiamo introdotto le tessere magnetiche" , spiega Francesco Cuzzillo, direttore del Consorzio Olgiata, un organismo nato nel 1968 per l' amministrazione del villaggio. "Ma i compiti del servizio di sicurezza, stabiliti dal questore di Roma, sono generici. Non siamo certo autorizzati a mettere il naso nelle abitazioni" . In altre parole, non possono garantire dal crimine, una per una, ottomila persone che "non sono tutte "angioletti" " , ammette il direttore. Gente pericolosa come il boss Barreca? "Non solo lui, anche altri" . Ha per caso qualche fondamento quello che racconta in un bar, appena fuori l' Olgiata, una bionda platinata mentre sbircia avida le ultime notizie sull' assassinio della contessa Filo della Torre? La donna, poco più di trent' anni, sostiene di aver fatto la stiratrice due anni fa in una residenza dell' Olgiata, da un certo signor Bruno, gestore di un ristorante romano: "Una casa che non ti dico, la sola stanza da pranzo grande quanto la Standa, marmi, statue, lusso a non finire. Ne vedevo di tutti i colori... Ma quando hanno cominciato a sparare sono andata via. Sì, sono arrivati con i mitra. Per fortuna non è morto nessuno, volevano solo far paura ai proprietari" . Leggende ispirate dall' ultimo fatto di cronaca? Alla questura di Roma negano categoricamente: "Colpi di mitra? Impossibile, due anni fa all' Olgiata c' erano già i nostri uomini a controllare Barreca" . Mitra o non mitra, di aneddoti se ne raccontano tanti. Il più curioso è quello della cassaforte rubata da una villa, poi sepolta in giardino con tutto il suo carico. E' stata svuotata dai ladri, a distanza di mesi, quando si sono sentiti al sicuro da controlli e perquisizioni. Più misteriosi i rapporti tra l' Olgiata e l' "Arancia meccanica" , la banda di Agostino Panetta, ex carabiniere, che all' inzio degli anni Ottanta aveva terrorizzato la Roma bene con una serie di rapine, corredate da stupri e violenze. Agì anche all' interno della cittadella fortificata? "Sembrerebbe di sì" , dice il direttore del Consorzio, "anche se nessuno qua dentro l' ha mai voluto ammettere" . La privacy prima di tutto, insomma. Per il paradiso dei Vip è questa una regola fondamentale sia che si subisca un furto a casa sia che si ammazzi una contessa. Prova ne è l' apparente indifferenza che la gente ostenta davanti all' uccisione di Alberica Filo della Torre. Poche parole, anzi nessuna. Salvo poi inveire contro la folla di cronisti e fotografi che da una settimana assedia la villa, diventata la centrale investigativa dei carabinieri della Cassia e del giudice che si sta occupando delle indagini, Cesare Martellino: "Siamo indignati, ci state facendo a pezzi" , è il ritornello che si sente dappertutto. "Questo non è un posto da Vip come avete scritto, è un posto per gente che vuole starsene tranquilla" . "Chi viene ad abitare qui" , spiega Attilio Pernigotti, biblotecario del Vaticano e autore di una storia del quartiere, Olgiata ieri e oggi, "lo fa esclusivamente perché ama il verde. Sa quanto tempo ci vuole per raggiungere Roma? Sotto questo punto di vista è un posto scomodissimo per chi lavora in città" . Scomodo, ma certamente proficuo per chi investe in immobili. "Sì, si vende e si compra in continuazione" , ammettono alla M.K., una delle tre agenzie nate accanto alla cittadella recintata. "Ma è un mercato come un altro. Qui le case costano tre volte meno che ai Parioli" , quattro milioni al metro quadro. Sono comunque case molto grandi, abitazioni esclusive, parecchie delle quali volute, quando era in vita, dallo stesso marchese Mario Incisa della Rocchetta, primo lottizzatore dell' Olgiata. Proprietario con Federico Tesio della Dormello Olgiata Spa, l' allevamento dei purosangue, il marchese negli anni Sessanta decide di entrare in affari con la Generale immobiliare. "I primi criteri di lottizzazione" , racconta Ippolito Pernigotti, "erano tra i migliori che si siano mai visti" . Una società ad hoc, l' Olgiata Romana, qualche anno dopo prelevata dalla Sogene, vendeva i terreni sulla base di una selezione molto rigida: poche famiglie, tutte molto "per bene" , niente attori o personaggi stravaganti. Pian piano la selezione si è allentata: quel tipo di gestione rischiava di diventare fallimentare. Così a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta la Sogene comincia a costruire a ritmo serrato, rispettando comunque le clausole stabilite dal Consorzio nel 1968: nessuna attività commerciale all' interno del quartiere, che è tuttora zona esclusivamente residenziale. Unica eccezione alla regola, "Umberto" , un ristorantino al centro del villaggio, il circolo ippico e il Golf Club, gestito quest' ultimo da uno dei "signori-padroni" dell' Olgiata, Mario Croce, Rolls Royce verde oliva e un conto miliardario, sempre in lotta con il Consorzio che vorrebbe aprire l' accesso a tutti gli abitanti e non solo ai soci. All' inizio degli anni Ottanta, la Sogene si arrende. Arrivano le villette a schiera e persino i monolocali: è il ceto medio che si insedia nel paradiso dorato dei Vip. Arriva anche la gente dello spettacolo: Serena Grandi, Ornella Muti, Barbara Bouchet. E i nuovi ricchi, come Giorgio Saviotti, proprietario di una catena di ristoranti. Nel 1986 ha comprato il "castello" , il casale del Seicento che all' inzio del secolo fu di Eleonora Chigi, di suo marito Enrico Incisa della Rocchetta e poi del figlio, Mario Incisa, e della moglie Clarice della Gherardesca. Saviotti l' ha intestato a una società e lo sfrutta ogni sabato e domenica dando feste per la Dc, con Giulio Andreotti ospite d' onore. O, quando manca lui, con il suo plenipotenziario Vittorio Sbardella, neoresidente all' Olgiata e assiduo frequentatore del circolo ippico. L' onnipresente Sbardella è stato visto anche a cena dalla contessa Alberica Filo della Torre. Ma è una storia vecchia: "Di quello che succede all' Olgiata non so niente. Io ci vado solo qualche fine settimana" . Testata Epoca Data pubbl. 17/07/91 Numero 2127 Pagina 64 Titolo NON SI UCCIDONO COSI' ANCHE I CAVALLI? Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Palio e polemiche Sommario Da una parte della barricata, Brigitte Bardot, Zeffirelli e persino Anna d' Inghilterra. Dall' altra, tutta una città, sindaco in testa. In mezzo: ventidue animali uccisi nelle ultime ventuno edizioni. Dopo gli incidenti della "carriera" di luglio, a Siena c' è aria da scontro finale. E in vista della corsa del 16 agosto... FRANCO ZEFFIRELLI: "MOSTRUOSO, DISGUSTOSO, ORRIPILANTE. BISOGNA DAR GUERRA A QUESTO MASSACRO CHE OGNI ANNO SI CELEBRA A SIENA" Didascalia Siena, Palio del 3 luglio. Alla curva di San Martino, secondo giro della carriera, cadono i cavalli della Selva (a sinistra), del Nicchio (al centro) e della Chiocciola. Il Palio è stato vinto dalla Tartuca, con Uberto, montato da Cianchino. Sopra: Siecolo, il cavallo della Selva, rimasto ferito a San Martino, e poi soppresso dopo inutili tentativi di curarlo. In alto: Victoria Principal, la "grigia" dell' Onda, montata da Bucefalo, finisce contro la protezione di San Martino per evitare gli altri cavalli caduti: poche ore dopo sarà abbattuta. A sinistra, dall' alto: la sequenza della caduta della Pantera (al primo giro della carriera) che ha coinvolto anche il Montone. Testo "Si potrebbe far correre i fantini, montati da altri fantini armati di frusta" . La proposta, vagamente surreale, è della Lega antivivisezione, passata all' attacco del Palio di Siena dopo che anche nell' ultima "carriera" , quella del 3 luglio, due cavalli sono andati a schiantarsi alla solita curva di San Martino. E poco importa se le due bestie avranno "un posto assicurato in paradiso" , come pronostica don Mario Canciani, prete animalista e confessore personale di Giulio Andreotti. Il Palio è stato ritrascinato nella polvere, e a Siena, ancora una volta, siamo allo scontro. Animalisti da una parte, contradaioli dall' altra. I primi, resi più determinati dal sostegno manifestato alla causa da Brigitte Bardot, Franco Zeffirelli e addirittura dalla cavallerizza Anna d' Inghilterra, adesso chiedono la sospensione della seconda carriera, quella del 16 agosto. I secondi, disposti a tutto pur di difendere una tradizione che si perpetua dal 1200, sbandierano compatti "straordinarie modifiche al regolamento" , per testimoniare "l' amore, l' affetto, l' importanza che il popolo della città toscana dà ai suoi cavalli" . Un bel match, riscaldato per altro dagli eventi della scorsa settimana. La gara del 2 luglio, disputata il 3 per "mancata mossa" , è finita, come detto, con due vittime: Victoria Principal, la cavalla dell' Onda, purosangue femmina di 6 anni, abbattuta dopo essersi frantumata una zampa a San Martino, e Siecolo della Selva, un sauro della stessa età, scivolato anche lui nella micidiale curva di Piazza del Campo. Hanno dovuto ammazzarlo, il 5 luglio, dopo un primo tentativo di soccorso alla clinica veterinaria di Parma. "Il sindaco di Siena pensa di prenderci in giro spacciando come nuove delle regole che in teoria dovrebbero da sempre far parte del Palio" , commenta indignato Gianluca Felicetti consigliere nazionale della Lega antivivisezione. "Ma sa quanti cavalli sono morti dal 1971? Ventidue su ventuno edizioni. L' anno scorso due, quest' anno pure..." . Una percentuale in fondo bassa, se si calcola che negli ultimi vent' anni sono 1169 i cavalli che hanno preso parte alle selezioni. Ma gli animalisti non sentono ragione. Si appellano all' articolo 727 del Codice penale, contro il maltrattamento agli animali, minacciano ricorso alla magistratura, ottenendo però da parte dei notabili di Siena solo una scrollata di spalle. "Le solite pretestuose polemiche" , borbotta infatti il sindaco, Pierluigi Piccini, memore forse di un vecchio scontro con i radicali, che erano scesi in piazza nel 1985 capitanati da Adelaide Aglietta. "Abbiamo firmato una convenzione con il ministero dell' Agricoltura, ci stiamo facendo in quattro per l' assistenza e il soccorso ai cavalli, più di così..." . Piccini è fiero del nuovo "regolamento" : la visita veterinaria, diventata obbligatoria, "ho escluso ben otto cavalli dalla competizione di quest' anno perché non idonei" ; le ambulanze che sostano ai margini della pista per il soccorso immediato delle bestie incidentate; una sala operatoria alla Clinica di Parma dove opera Angelo Pezzoli, massima autorità italiana in fatto di chirurgia su animali. E infine, vera novità del 1991, il "pensionato" di Radiconcoli, una fattoria concessa direttamente dal ministero. E le accuse internazionali? Gli strali di B.B. e d' Anna d' Inghilterra? Nessuna paura. L' attrice, promotrice del video S.O.S. Chevaux, per ora andato in onda solo in Francia, e di una raccolta di firme contro la "corsa omicida" , secondo il sindaco è solo un' ex diva "a caccia di pubblicità" . Quanto alla principessa Anna, dice Piccini, c' è stato un fraintendimento: "A protestare in realtà è la World society for the protection of the animals, un organismo di cui farebbe parte la reale inglese" . Resta Zeffirelli. Arrivato in Toscana per girare un documentario sulla regione, il regista, che aveva chiesto dei permessi per una ripresa del Palio dall' alto, si è sentito rispondere un "no" secco proprio da lui, dal primo cittadino. Ed è ovviamente andato su tutte le furie. "Visto che sono iscritto al Wwf, da oggi in poi farò di tutto per boicottare il Palio" . Non si è placato neanche adesso, a festa finita: "Mostruoso, disgustoso, orripilante. Una vera ecatombe. Bisogna dar guerra a questo massacro che ogni anno si celebra in città. E che siamo, su La plaza de Toros? Vedrà quel bugiardo del sindaco" . Bugiardo, perché? "Perché Piccini sostiene che io volevo salire sulla Torre del Mangia ed è vietato. La verità è che chiedevo solo l' accesso al palazzo pubblico, non affittare il balcone della tal contessa come voleva lui a 5 milioni... E poi, la ripresa del Palio mi è stata chiesta dalla Regione Toscana: se fosse stato per me, mi sarei guardato bene dal perdere tempo con questa sagra d' isteria collettiva" . C' è anche un piccolo retroscena politico intorno all' affare Zeffirelli: il pidiessino Piccini ha infatti "denunciato" pressioni democristiane per favorire il maestro. Il quale rimbecca: "Certo, ho chiesto aiuto al presidente del Monte dei Paschi e a un paio di assessori, ci mancava altro" Inutilmente però: il diktat è rimasto. E Zeffirelli, tornato a casa senza Palio, è andato a rinforzare l' esercito degli animalisti. Un esercito agguerrito, che vorrebbe vincere su Siena, per poter poi dar battaglia agli ippodromi di tutta Italia, alle corse dei muli, degli asini, delle rane, ai 200 Palii che ogni anno si disputano sulla penisola. Esercito però che ha appena subito una defezione: l' associazione "Equus" , nata ad ottobre del 1990 proprio per la difesa del cavallo, ha preferito "trattare" con l' amministrazione senese. "Siamo noi che abbiamo ricevuto l' appello della Bardot e della World society for the protection of the animals" , spiega il presidente, Maria Lucia Galli, "ma non ce la sentiamo di mettere sullo stesso piano la manifestazione toscana con eventi come la Corrida. L' incidente cruento può verificarsi, ma non è il fine della festa" . L' obiettivo, per i "cavalieri" di "Equus" , non è dunque l' abolizione del Palio, ma la sicurezza. Ovvero, limitare gli incidenti. "Il vero problema" , continua Maria Lucia Galli, "è che vengono portati a correre cavalli che non sono adatti a un percorso accidentato come quello segnato attorno a Piazza del Campo" . Un tempo infatti c' erano i cavalli maremmani, bestie robuste, con la struttura giusta per affrontare la curva mortale di San Martino. Poco redditizi però per gli allevatori, che non potevano poi utilizzarli negli ippodromi. Adesso, in attesa che l' Associazione cavallo senese riesca ad ottenere mediante manipolazione genetica nuovi incroci di razze, si preferisce mettere in pista i mezzosangue. E spesso, contro le stesse indicazioni dei veterinari, anche i purosangue, zoccoli deboli, garretti sottili. Come Victoria Principal, stramazzata al secondo giro. Eppure qualcuno sostiene che vanno benissimo, "adatti, perfetti" . E' Andrea De Gortes, detto "Aceto" , fantino pluridecorato oltre che allevatore di una dozzina di purosangue. Anche se poi lui, 48 anni, vero mito del Palio, 55 carriere corse, 13 vinte, i "suoi" cavalli li lascia per le corse all' ippodromo. "Non è paura, solo che non sopporterei, con il meccanismo dei sorteggi che regola il Palio, di vederli montare da qualcun altro" . Li ha tenuti fuori dal Palio anche per la competizione del 3 luglio, alla quale, scatenando una baraonda di polemiche, non ha partecipato. Perché? Il referto del medico dice per una contusione. Gli avversari dicono per prepararsi alla carriera del 15 agosto, dove gareggeranno i cavalli più forti e dove Aceto cercherà la quattordicesima vittoria, "il record del secolo" . Figurarsi, se con un traguardo del genere davanti, Andrea De Gortes ha tempo di preoccuparsi delle accuse degli animalisti. Le liquida così: "Io e loro abbiamo in comune una cosa: il Palio è un' occasione per farci conoscere. La differenza è che loro non rischiano la pelle, io sì" . Se è per questo, anche i cavalli. Testata Epoca Data pubbl. 10/07/91 Numero 2126 Pagina 40 Titolo NEL NOME DEL PADRE E DELLA LEGGE Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI ha collaborato Maria Cucciniello Sezione STORIE Occhiello Dario Luman Sommario Da una parte una coppia di coniugi amorevoli, che lo avevano allevato come un loro figlio. Dall' altra, il vero padre e la vera madre, decisi a riprenderselo dopo quattro anni. E al centro di questa guerra non solo di sentimenti, una delle più dure mai combattute per un minore, un bambino con quattro genitori e un problema cruciale: la famiglia in cui crescere. Per lui, alla fine, ha scelto un tribunale. Sciogliendo un interrogativo soprattutto morale: valgono più i vincoli del sangue o quelli dell' affetto? Didascalia Dario Luman, il bambino protagonista della battaglia giudiziaria tra i suoi genitori naturali e quelli adottivi. LORO HANNO CRESCIUTO DARIO Cristina e Mario Luman, i coniugi di San Giovanni Valdarno che hanno allevato Dario per quattro anni e che se lo sono visto portare via dopo le sentenze della Corte d' appello e della Corte di Cassazione a favore dei genitori naturali. HA LOTTATO PER RIAVERLO Aniello Cristino, di Pontecagnano, provincia di Salerno, il padre naturale di Dario, che ha sempre sostenuto di aver saputo in ritardo della nascita di Dario. Una ventina di giorni dopo il parto, rivendicò la paternità del bambino. LE DUE FAMIGLIE INSIEME I protagonisti della battaglia giudiziaria provocata dal "caso Luman" . Da sinistra: Aniello Cristino, il padre naturale; Mario Luman, il padre affidatario, e sua moglie Cristina Luman; in fondo, con in braccio la figlia di nove mesi, Anna Avallone, moglie di Aniello. Testo "Ma tu quanti genitori hai?" , chiede sottovoce il piccolo Dario Luman a un amico di famiglia. E' la fine di marzo. Papà Mario gli ha appena spiegato qualcosa difficile da capire per un bambino che non ha ancora cinque anni. E cioè che lui, Dario, ha quattro genitori. Due sono quelli che conosce, i Luman appunto, con i quali ha sempre vissuto. Gli altri si chiamano Aniello e Anna e di cognome fanno Cristino. Verranno da lontano, da un paese vicino al mare, per incontrarlo. Sono loro che l' hanno messo al mondo... Tre mesi dopo, giugno. Aniello e Anna Cristino, 23 anni lui, 21 lei, coniugi di Pontecagnano, paesino del Salernitano, stanno per riprendersi definitivamente Dario. La Corte di Cassazione ha riconosciuto il "diritto del sangue" , contro quello "adottivo" dei Luman, sancito nel 1987 dal tribunale dei minori di Firenze. C' è solo un programma da seguire: tre mesi di prova per abituare il bambino a passare dalla vecchia alla nuova famiglia con l' aiuto di assistenti sociali. Se ne occupa l' Usl 20 di Montevarchi, 15 chilometri da Valdarno, dove i Luman abitano. Qui Dario gioca con gli animaletti di plastica. Un giorno, prende due coppie di cavalli, una bianca, una nera. Alza gli occhi verso lo psicologo incaricato di seguirlo, e chiede: "Fiorenzo, cosa sono questi?" . "Son quattro cavalli Dario" . "Io so contare fino a due" , dice il bambino, Poi comincia a costruire un recinto e li mette dentro, i cavalli neri e quelli bianchi, tutti e quattro assieme. Dario ha capito, sta cercando di risolvere il problema: far posto a queste due nuove persone arrivate all' improvviso. Ma non sarà così facile. Il 23 giugno, infatti, mentre il tribunale dei minori di Firenze sta seguendo il programma di passaggio graduale di Dario dalla famiglia affidataria a quella naturale, papà Aniello deciderà di togliere improvvisamente il bambino ai Luman, e di portarlo con sé, facendolo sparire per una settimana. "Abbiamo sentito il bisogno di sottrarlo a un ambiente che tende a condizionarlo psicologicamente" , dichiarerà qualche giorno dopo ai giornali, sotto consiglio del suo avvocato, "e la prova è nella serenità di Dario, che finalmente sorride e gioca con l' altra nostra bambina" . Già, la serenità di Dario... In questa vicenda incredibile, vissuta per quattro anni e mezzo tra ricorsi, fughe avventate, decisione disperate, scontri tra il tribunale dei minori e la Corte d' appello, non c' è stato per il bambino un solo momento di tranquillità. Sin dall' inizio, nel 1987, quando il giudice Francesco Scarcella ne decise l' affidamento preadottivo ai Luman. Un affidamento nato sotto una cattiva stella: lo stesso giorno che il giudice decideva, Aniello Cristino rivendicava la paternità di Dario. Troppo tardi per il tribunale. Perché? "Al momento della nascita" , spiega il giudice Giacomo Pucci, Procuratore del tribunale dei minori di Firenze, "il bambino risultava figlio di ignoti" . La madre Anna, che all' epoca aveva 16 anni e portava il cognome di ragazza, Avallone, l' aveva infatti abbandonato in una corsia dell' ospedale Santa Chiara di Pisa. Al giudice Scarcella, però quel baby-genitore comparso all' improvviso, venti giorni dopo il parto della sua ragazza, non dava fiducia. Decise così di far passare comunque il decreto di affidamento ai Luman con un effetto retroattivo di 24 ore. Non poteva certo prevedere il resto. E cioè che Aniello e Cristina si sarebbero sposati, che sarebbero ricorsi in Corte d' appello, che avrebbero sostenuto ben sette processi pur di riavere quel bambino. E che, infine, un altro giudice avrebbe dato loro ragione: nel gennaio del 1990, con una sentenza che obbligava i genitori affidatari a riconsegnare Dario alla famiglia naturale. Non poteva prevedere neanche che i Luman sarebbero scappati con il bambino, 14 mesi all' estero, lasciando lavoro e tutto (lui, operaio disoccupato, era assessore al bilancio al Comune di Valdarno, lei psicologa all' Usl di Figline), e che sarebbero poi rientrati a marzo scorso quando la Corte di Cassazione ha loro imposto, con un' altra sentenza favorevole ai Cristino, di rassegnarsi alla legge. Un gesto sicuramente avventato, la fuga, che è costato alla coppia un' inchiesta giudiziaria e ha incoraggiato i Cristino a chiedere un risarcimento danni di 500 milioni. Ma c' è una lettera indirizzata al Consiglio comunale di Valdarno in cui Cristina Luman spiega questo peregrinare disperato per il Brasile, la Francia e poi la Toscana, lei, il marito e il bambino, nascosti in casa di amici: "Dobbiamo evitare a Dario il trauma del distacco totale. Come si può pensare che possa tenere assieme la sua personalità e crescere bene se gli vengono tagliate le relazioni che gli hanno dato sicurezza nei primi anni di vita?" . Il trauma del distacco totale, appunto. Questi ultimi mesi, nelle intenzione del giudice Piero Tony del tribunale dei minori, dovevano servire ad attutire lo choc. Ma chi ha visto Dario, dopo che Mario Luman gli ha rivelato l' esistenza di altri due genitori, usa parole forti per descrivere le reazioni del piccolo: "Angoscia palese, autismo incipiente... Il bambino si sta incupendo" , dice ad esempio Luigi Vecchi, avvocato dei Luman. "A scuola ha finto di non riconoscere i compagni, non vuol più parlare" . I medici incaricati di assisterlo durante l' avvicinamento ai genitori "naturali" , sono più cauti. Parlano di comportamenti diversi, un periodo di paura dopo i primi incontri: Dario che piange, urla, si rifiuta di andare con Aniello e Anna, poi i suoi silenzi, i suoi straniamenti, ma anche un continuo tentativo di rimettere assieme i frammenti della sua piccola vita. C' è un gioco che ha continuato a fare durante le sedute all' Usl di Montevarchi: un blocco di Das spezzato freneticamente in tante piccole parti, separate e poi riattaccate assieme. "Ad un certo punto si è reso conto che stava affrontando qualcosa più grande di lui che avrebbe cambiato il suo futuro" , spiega Fiorenzo Ranieri, lo psicologo che l' ha seguito a Montevarchi. "Cercava appiglio in se stesso, mentre gli adulti attorno a lui sembravano soffocati dall' ansia. Tutti in movimento, sin dall' inizio della storia. Come si è visto, pronti a partire, scappare, nascondersi, come se agitarsi fosse l' unico sistema per far fronte al dolore, agire l' unico modo per non pensare" . Ranieri e l' équipe della Usl hanno seguito Dario dalla fine del maggio di quest' anno, quando ha incontrato la prima volta i Cristino, che nel frattempo si erano trasferiti in un residence vicino Valdarno, fino alla penultima settimana di giugno, quando i genitori naturali se lo sono portati via nel Salernitano. Avrebbe dovuto stare con lo psicologo altri due mesi: "Tempi comunque troppo brevi, troppo affrettati per fargli superare un cambiamento così doloroso..." . Un esperimento, questo del tribunale dei minori, per tentare, dopo l' ultima sentenza della Cassazione, di tutelare Dario il più possibile contro la frenesia dei Cristino che l' avrebbero voluto subito: "Il problema era costruire attorno al bambino una rete che potesse sostenerlo" , dice Luciano Pellegrini, medico psichiatra dell' Usl di Firenze, a cui fa capo l' équipe degli psicologi e degli assistenti sociali, "con la riserva che al primo segno di cedimento si sarebbe sospeso tutto" . Le condizioni durante la prima settiama erano che papà Aniello andasse a prendere Dario a scuola o nella sede della Usl, lo portasse al residence dalla mamma Anna, per riaccompagnarlo nel pomeriggio dai Luman. Reazioni di Dario? Fiorenzo Ranieri, lo psicologo, la prima volta che è andato a trovarlo, gli ha chiesto di fare una passeggiata: "Prima di dire sì, mi ha subito avvertito: "Io non dormo qua, lo sai?" . "Sì, lo so" , gli ho risposto". " Va bene, allora possiamo andare". E' un bambino che parla chiaro, che vuol capire come stanno le cose attorno a lui" . Ma alla fine della prima settimana Dario era già stanco. La domenica ha dato in escandescenze, una crisi di disperazione. Per 15 giorni nessuno l' ha più consegnato ai Cristino. Questi allora si sono nuovamente precipitati in Corte d' appello con la richiesta perentoria di farla finita con i tempi fissati dal tribunale dei minori: "Il figlio è mio e ne faccio quello che voglio. Se è il caso lo metto anche in istituto" , avrebbe minacciato Aniello, e qualcuno lo ha riferito. Ma il programma della Usl è andato avanti: Dario è stato riportato al residence, un bel posto, con la piscina, i cavalli, stavolta per passare anche la notte con i nuovi genitori. Non sapeva che questa volta sarebbe stato per sempre. Lucia Bacci, mamma di una compagna di asilo, che l' ha visto prima che sparisse racconta allarmata i suoi cambiamenti d' umore: "L' ho incontrato a scuola, isolato, chiuso in se stesso. L' ho salutato, non mi ha risposto" . Ma questo stesso comportamento per i Cristino è stato motivo di tranquillità: "Non piange più" , hanno detto allo psicologo, facendo dichiarare, giorni dopo alla stampa, dalla nonna paterna di Pontecagnano che "Dario è finalmente felice, non vede l' ora di arrivare a Salerno, dove gli è stato promesso che troverà un mare grande grande" . C' è da crederci? L' avvocato generale dello Stato, Carlo Bellitto, che si è occupato del ricorso in Corte d' Appello, ci ha creduto. Non ha avuto niente da dire sul comportamento di Aniello Cristino che nel frattempo si era portato via il figlio contro la decisione del tribunale dei minori. Ha ignorato persino la messinscena riportata dai giornali: il "rapimento" all' inizio, le foto apparse sul settimanale Oggi con intervista in esclusiva "dal nascondiglio segreto" , e Aniello che qualche giorno dopo si fa vedere a Pontecagnano giurando di essere stato sempre lì, a casa sua, con il suo bambino. Di fronte a niente ha tentennato l' avvocato della Corte. L' ultima sua sentenza, datata primo luglio 1991, ha privilegiato ancora una volta i "diritti del sangue" contro quelli "adottivi" dei Luman: Dario non metterà più piede in Toscana. "Un provvedimento discutibile se non altro dal punto di vista formale" , dice il giudice Pucci, dal momento che su certe decisioni del tribunale dei minori, "la Corte d' appello non dovrebbe avere alcuna competenza" . E adesso? L' ultimo gesto di Mario e Cristina Luman, sabato 29 giugno, davanti al giudice che in Corte d' appello ha pronunciato la sentenza definitiva, è stato di lasciare un pacco di giocattoli che i Cristino avevano regalato a Dario. E Aniello e Anna? Se ne sono andati via soddisfatti. A Pontecagnano, dove ora vivono, la gente urla ai giornalisti che arrivano e chiedono notizie di Dario: "Qui mancherà il verde, non ci sono campi sportivi, né posti alla moda, ma siamo comunque in grado anche noi del sud di educare i nostri figli" . Dario ha intanto ripreso la sua vita apparentemente normale. E il padre, Aniello, racconta così la giornata del bambino, come se finalmente avesse trovato un nuovo equilibrio nella sua "nuova" famiglia: "E' contento, gioca in spiaggia, ha tagliato i capelli come i miei. Stamattina ha detto alla nonna: "Guarda, sono proprio uguale a papà" " . E l' ultima conferma, Aniello Cristino la affida direttamente a lui, al piccolo Dario, rispondendo al telefono a una cronista del Mattino: "Lo sente? Sta imitando il rumore della Ferrari che gli ho regalato... Altro che choc psicologico!" . Ma dei vecchi genitori, non chiede mai? "No, mai" . E per lei questo è normale? "Perché, per lei no?" . Testata Epoca Data pubbl. 03/07/91 Numero 2125 Pagina 58 Titolo CHE FINE HANNO FATTO I NOSTRI EROI? Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI hanno collaborato Josephat Cappulli e Milena Moneta Sezione STORIE Occhiello Bellini e Cocciolone Sommario Cento giorni fa, l' assalto dei fotografi, le copertine dei giornali, gli inviti del presidente Cossiga e di Lady Diana: dopo la disavventura della prigionia irachena, per i due piloti italiani sembrava dovesse iniziare una stagione di gloria, di onori, magari anche di avanzamenti di carriera. Niente di tutto questo. "Epoca" ha fatto una ricognizione sul dopo Golfo dei reduci più famosi d' Italia. Scoprendo che... Didascalia La principessa Diana mentre riceve a Buckingham Palace, il 6 giugno, il capitano Maurizio Cocciolone (a fianco) e il tenente colonnello Gianmarco Bellini. Testo Addio alla gloria. Per Gianmarco Bellini e Maurizio Cocciolone, piloti del 51esimo stormo, è finito il tempo dei flash, delle interviste, delle foto in copertina. "Devono riabituarsi alla normalità. Basta con questa storia degli eroi nazionali" . Un ritornello che per i superiori è quasi un diktat: "Non fanno i cantanti o gli attori, sono militari. Continuare a parlarne non può che nuocere al loro equilibrio psichico" . Silenzio insomma, gradito pure ai familiari: "Per fortuna è tutto finito, non ne potevamo più" , sussurra Giulio Bellini, padre del maggiore. A quattro mesi dalla sconfitta di Saddam Hussein, mentre l' America del generale Schwarzkopf celebra in pompa magna i suoi soldati nel "Canyon degli eroi" tra i grattacieli e le banche di Wall Street, in Italia non c' è più nulla da festeggiare. Solo un paio di ritagli ingialliti appesi al muro in un ristorante di Crosare di Pressana, provincia di Verona, paese dei genitori di Gianmarco Bellini, sono rimasti a ricordare i giorni della guerra. Giorni di paura. E il Tornado abbattuto, Cocciolone ostaggio degli iracheni, Bellini di cui non si sapeva più nulla, erano avvenimenti che ben si prestavano alla commozione generale. Un' epopea nazionale, di cui oggi rimane solo la scatola nera dell' aereo, il cui contenuto sarà presto rivelato in un video confezionato dallo stato maggiore dell' Aeronautica. In compenso loro, i due piloti, i due eroi di cento giorni fa, sembrano spariti. Sono tornati ad essere quelli di prima, ogni giorno alla base di Piacenza, il solito tran tran dell' ante-crisi. Promozioni, onorificenze, medaglie? Macché. Il trionfo si è concluso con il loro ritorno a bordo di un jet Falcon 50, il 7 marzo, all' aeroporto di Ciampino, quando, bombardati stavolta dalle interviste, hanno pianto, raccontato la prigionia, ricordato gli aguzzini di Bagdad. Tutto aprile per rimettersi in forma, riacquistare le forze e il primo maggio ecco Gianmarco Bellini di nuovo in divisa, promosso da maggiore a tenente colonnello. Effetto Golfo? No, un grado che gli spettava per anzianità di servizio, ritardato anzi dagli avvenimenti della guerra. Sperava forse, l' eroe Bellini, che la notorietà l' avrebbe aiutato a superare il test psico-medico-attitudinale per diventare astronauta, ma gli è andata male. Bocciato, per insufficiente lunghezza del femore. Le gambe troppo corte, insomma. A Maurizio Cocciolone è andata anche peggio: è ancora alle prese con la ferita alla mano che gli ha leso un tendine e che potrebbe addirittura pregiudicare la sua carriera di pilota. In compenso, il 27 giugno potrà finalmente sposare la sua Adelina, e alla base gli faranno una festa, perché se non è più il "PW" , prisoner of war, quello finito in mondovisione con "Free Kuwait" stampato sulla maglietta al momento del rimpatrio, è comunque pur sempre un collega. Per lui, come per Gianmarco Bellini, l' ebbrezza della notorietà è durata proprio un attimo, sfumata nell' arco del mese di marzo, quando il presidente Cossiga li ha ricevuti entrambi al Quirinale con i familiari, sotto gli occhi fieri dei superiori, in testa il capo di stato maggiore dell' Aeronautica Stelio Nardini. Erano i giorni in cui i mass media, specie i settimanali popolari, dedicavano pagine, servizi e copertine agli eroi tornati salvi alla base, e i loro concittadini lasciavano presagire feste epiche. In questo senso, don Giorgio Villatora, parroco di Crosare, paese dei Bellini, è stato certo il più attivo. Durante la prigionia suonava le campane da mattina a sera, per aggiornare la popolazione sulle sorti del celebre compaesano: se l' era proprio presa a cuore, tanto da meritarsi l' appellativo di "Don Din Don" . Quando è stato annunciato che Gianmarco sarebbe stato liberato, si è messo a capo del comitato pro-festeggiamenti, radunando per strada davanti casa dei genitori del pilota 2 mila, forse 3 mila, o addirittura 4 mila persone. "Bellini ci ha ringraziato molto" , racconta, "ma essendo per carattere così schivo, e poi stanco di tutto quello che era successo, ci ha pregato di smorzare i toni" . All' ultima messa celebrata in suo onore, domenica 5 maggio, è finita quasi a botte con i fotografi dei giornali locali. Né il maggiore né il capitano Cocciolone, presente anche lui, volevano saperne di farsi immortalare. Che ci fosse di mezzo l' esclusiva con un paio di settimanali? Si è parlato di foto e memoriali venduti a decine o, azzarda qualcuno, centinaia di milioni. "Insinuazioni di bassa lega" , commenta don Giorgio citando un "miserando" articolo apparso l' indomani sull' Arena di Verona. Una vittoria in qualche modo personale il parroco l' ha però avuta: Gianmarco Bellini, lontano da casa e da chiesa da quando aveva 18 anni, si è riavvicinato alla famiglia e soprattutto alla fede. Ogni domenica a messa. Lo hanno visto anche a Borgosatollo, paesino vicino Brescia, dove ha ripreso la vita di sempre con la moglie Fiamma. Per Maurizio Cocciolone il rientro è stato ancora meno memorabile. All' Aquila, per esempio, città dei genitori, troppi politici di mezzo a voler sponsarizzare l' avvenimento, il sindaco Enzo Lombardi della Dc, un sottosegretario all' Agricoltura, Romeo Ricciuti, anche lui democristiano... Se lo sono portato a spasso, l' hanno fatto sfilare per le vie della città, hanno organizzato cerimonie, ricevimenti, consegne di targhe. La gente si è irritata e, a parte un centinaio di persone di Pettino, il quartiere dove vive la famiglia, soprannominato la "città grigia" per i suoi deprimenti casermoni a ridosso della montagna, hanno disertato tutti. Alla funzione celebrata dal vescovo Mario Peressin, lo stesso giorno in cui per puro caso i quotidiani locali pubblicavano con gran scandalo e clamore un appello al Papa firmato da 26 preti indignati per una manovra di speculazione immobiliare condotta dall' alto prelato, non c' era praticamente nessuno: solo i politici, i carabinieri, una ventina di vecchiette. E ovviamente la famiglia, per altro sconvolta dalle emozioni dell' ultimo periodo. Gente semplice, mamma infermiera, papà elettricista al Comune, che non è abituata al can can dei giornali, spaventata a morte dalla disavventura di Maurizio. Pasqualino, ad esempio, il fratello minore, sottotenente anche lui alla base areonautica di Piacenza, dopo quello che è successo pare non voglia più saperne dell' Esercito. Sta cercando lavoro in fabbrica. L' epopea insomma è finita anche per le sagre di paese. Per i due piloti, diventati celebri grazie a una missione fallita, il cerchio della gloria si è già spezzato. E' vero, il 6 giugno, Lady Diana li ha ricevuti insieme ad altri colleghi italiani, inglesi e statunitensi, a Buckingham Palace, in occasione di una visita agli stabilimenti della Martin-Baker, l' azienda che fabbrica i seggiolini salvavita con i quali Bellini e Cocciolone si sono lanciati dal Tornado. I flash si sono riaccesi sulle loro divise blu e sulla stretta di mano con la principessa. Ma forse i nostri piloti, catapultati come sono stati dall' anonimato alla notorietà passando per quaranta giorni di paura, si sarebbero aspettati altri onori. Chissà, magari una parata come quella del "Canyon" di Wall Street. Testata Epoca Data pubbl. 26/06/91 Numero 2124 Pagina 119 Titolo PICCOLE VITTIME Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione DOCUMENTO Sommario La neonata gettata su una strada a Verona. La bambina di Palermo testimone dell' assassinio dei genitori. E la statistica del "Telefono Azzurro" che parla di 13 mila casi di violenza ai minori negli ultimi sei mesi. L' Italia sta forse diventando il Paese di Erode? Mentre le famiglie si mobilitano e i politici promettono leggi speciali, "Epoca" propone un viaggio nell' inferno dell' infanzia calpestata: con una testimonianza diretta e agghiacciante sul mercato illegale delle adozioni, e un' inchiesta sullo scandalo dei bambini scomparsi. IL CAPO DELLA CRIMINALPOL DI ROMA: "IN ITALIA NON C' E' ALCUN TRAFFICO DI ORGANI. NE SIAMO CERTI" Didascalia Sopra: bambini di un orfanotrofio a Bucarest. Sotto: Luigi Tivelli, 36 anni, funzionario parlamentare. Dice il presidente del Comitato rumeno per le adozioni: "Ormai il mercato nero ha fagocitato quello ufficiale" . Sopra: la madre di Pasquale Porfidia, scomparso a Marcianise nel maggio 1990. Il volto del bambino adesso compare sui cartoni del latte di Napoli. Sopra: Santina Renda in una foto inedita. La bambina di Palermo è scomparsa nel marzo del 1990. Aveva sette anni. Testo Bambini abbandonati, bambini maltrattati, bambini comprati e venduti. E poi ancora: bambini che scompaiono senza lasciare traccia, che subiscono violenza, che sono uccisi o feriti al posto dei loro genitori. Baby-killer, baby-spacciatori, piccoli delinquenti e piccole vittime affollano le pagine di cronaca. Qualche esempio, tratto dai quotidiani del 12 giugno: "Verona, buttato per strada appena nato" ; "Palermo, strage davanti all' asilo nido" ; "Cagliari, due bambini feriti in un attentato contro la madre" ; "Brescia, abbandonata nel cassettone delle immondizie" ; "Roma, zingarello di nove anni sequestrato" ... Ma veramente l' Italia, come appare dai giornali, è afflitta dalla sindrome di Erode? Sì, denunciano comitati, associazioni, gruppi di genitori che lamentano l' assenza dei pubblici poteri, chiedono leggi, lanciano appelli e iniziative di solidarietà. Sì, conferma anche Telefono Azzurro, l' associazione di soccorso dei minori animata dal professor Ernesto Caffo: 13 mila chiamate di denuncia sono arrivate da dicembre a oggi al numero verde gratuito (1678-48048). In 4 anni di attività, Telefono Azzurro ha affrontato e risolto 16 mila casi. E ancora: il 26 per cento delle violenze denunciate (percosse, stupri, incesti) riguarda bambini fino a 5 anni. Le regioni più colpite: Lombardia e Lazio, seguite dall' Emilia-Romagna. In più, quest' anno, sempre dall' équipe di Caffo, la divulgazione di un rapporto sulle adozioni illegali, con la scoperta che dal solo Brasile arrivano clandestinamente in Italia millecinquecento bambini ogni dodici mesi. Nel Paese con la più bassa natalità del mondo, qual è ormai il nostro, la tutela dei minori sta diventando una grande questione nazionale. Epoca ha concentrato l' attenzione su due fronti particolarmente caldi: lo scandalo delle adozioni illegali tra Italia e Romania attraverso una testimonianza (con nomi e cognomi) al di sopra di ogni sospetto, e il dramma dei bambini che scompaiono misteriosamente a centinaia in tutto il Paese. HO VISTO COMPRARE I BAMBINI Un funzionario della Camera, Luigi Tivelli, vola a Bucarest con la moglie per adottare un piccolo rumeno. Si ritrova in un mercato, neanche troppo clandestino, di neonati. Ecco la cronaca in prima persona di cinque giorni sconvolgenti. Luigi Tivelli, 36 anni, funzionario alla Camera dei deputati, è partito con la moglie Ada il 19 maggio scorso alla volta di Bucarest. Obiettivo: adottare un bambino. In Romania, gli avevano detto, è meno difficile che in Italia. Ma una volta arrivato nella capitale rumena, Tivelli ha fatto una scoperta agghiacciante: bambini offerti nelle camere d' hotel, piccoli zingari sottratti alle famiglie, parti prenotati su commissione. E una schiera di mediatori senza scrupoli, veri e propri "cacciatori di teste" , che nei primi cinque mesi di quest' anno sono riusciti a "vendere" alle sole coppie italiane oltre 500 bambini. Ecco il racconto, dalla voce del protagonista. "Ottomila dollari, meno di dieci milioni di lire. Bastava tirar fuori il libretto degli assegni, e sarei tornato a casa papà di un bel neonato. Non me la sono sentita. E' stata quell' atmosfera da gran bazaar, da supermarket dei sentimenti, in cui io e mia moglie ci siamo trovati non appena abbiamo messo piede a Bucarest, che ci ha sconvolti. Noi, che in Italia avevamo aspettato più di un anno per avere tutte le carte in regola, certificati di matrimonio, di nascita, di reddito, di buona salute, di carichi penali. Quelle procedure, insomma, necessarie per convincere il tribunale di Roma che la coppia Ada e Luigi Tivelli, medico mia moglie, funzionario parlamentare io, poteva essere dichiarata idonea all' adozione... Ebbene, trovarci con un neonato in braccio, neppure un' ora dopo il nostro arrivo in Romania, è stato uno shock. Ma ancora niente, in confronto a tutto quello che è successo dopo. "Perché siamo andati proprio in Romania? Perché è un Paese vicino, un' ora di volo. E poi, diciamo la verità, perché ci avevano detto: "Lì è più facile trovare un bambino. In Italia ne arrivano dieci al giorno, tutti con i timbri giusti. Provateci anche voi" . Ci avevano dato anche il nome di un albergo, l' Hotel Bucarest, 150 dollari a notte, e l' indirizzo di un avvocato, 800 dollari, tariffa fissa da versare alla Cassa dell' ordine, più 2 mila dollari in nero. I soldi? Non sono quello il problema. Arriviamo così in albergo, e al banco della reception, ancora con le valigie in mano, scopriamo che già qualcuno ci aspetta: l' avvocato, appunto. Bella donna, sulla trentina, elegante, in compagnia del marito. "Presto, presto" , è la prima cosa che ci dice, "dobbiamo incontrare il bambino. La famiglia è già d' accordo" . "Restiamo senza fiato. Stanchi del viaggio, impreparati io e mia moglie ad accogliere in queste condizioni quello che sarebbe potuto diventare nostro figlio, ci guardiamo increduli. Tentiamo di guadagnar tempo, di tergiversare, ma attorno a noi è già una vera e propria Babilonia: la hall dell' albergo, enorme, più di quella dell' American Palace di Milano, è affollata di gente, bambini di tutte le età che urlano, che sgambettano, che piangono. Padri e madri li tengono in braccio, li mostrano, li offrono al migliore acquirente. Si sente vociare in italiano, gli accenti sono soprattutto del Sud. IL PADRE E' LA' FUORI, IN AUTO "L' avvocato ha fretta, insiste: "Aspettatemi qui, vado a prendere il piccolo" . Ostenta efficienza da manager, un piglio da "pierre" . Torna un quarto d' ora dopo con un fagotto in braccio, avvolto in una tutina bianca, la testa coperta da una cuffia di lana. "Il padre" , dice, "è lì fuori in macchina, vuol darlo via perché è convinto che non sia veramente suo figlio" . Una storia credibile? O invece una pietosa bugia? Ho tra le mani un documento che dovrebbe fugare tutti i miei dubbi, e che invece mi preoccupa: il certificato, cioè, dove i genitori naturali dichiarano di rinunciare al neonato in favore dei coniugi Tivelli. Questo, per la legge rumena, legittima l' adozione. Per quella italiana, invece, potrebbe essere un ostacolo: da noi, infatti, non è previsto che le due coppie entrino in contatto o si conoscano. Mi sembra giusto... A me per primo, l' idea di vedere quel padre suscita sgomento. Un' occhiata a mia moglie, e restituisco il fagotto. Di trattenerlo per la notte, come suggerisce l' avvocato, non se ne parla nemmeno. "Domani" , ci diciamo, "andrà meglio" . SONO RIMASTI GLI HANDICAPPATI "Speriamo infatti nei canali ufficiali. Il console italiano, Giorgio Marrapodi, è stupito di quanto gli raccontiamo. Lui si occupa della parte finale delle pratiche: vede, cioè, le coppie dopo che il tribunale rumeno ha legittimato il passaggio di mano del minore. Ci invita comunque a insistere con il Comitato nazionale per le adozioni, un ente istituito qualche mese fa dal Consiglio dei ministri. Ma riuscire a parlare con il presidente, la dottoressa Zugravescu, si rivela più difficile del previsto. Ufficio in centro, una folla di inglesi, americani, canadesi, irlandesi che urla esagitata. Ci facciamo spazio, chiedo spiegazioni. E' corsa voce che dal 1° giugno potrebbe entrare in vigore una sospensiva alle adozioni, voluta dal governo, in attesa che venga approvata la nuova legge. Quando finalmente la signora Zugravescu ci riceve, ci sentiamo un attimo confortati. E' una donna sui sessant' anni, seria, rigorosa, professionale. Ci darà l' autorizzazione a rivolgerci ad un istituto, anche se, ci avverte, non sarà così facile trovare il bambino che fa al caso nostro: "Il mercato nero" , è costretta ad ammettere, "ha fagocitato quello ufficiale. Con il risultato che negli orfanotrofi sono rimasti solo gli handicappati o i ragazzi più grandicelli" . Abbiamo comunque in mano l' indirizzo: Sin Martin, 300 chilometri da Bucarest. Eccoci nuovamente in viaggio, stavolta a bordo di un taxi. Quattro ore di macchina con la sensazione però che lontano da Bucarest tutto abbia un aspetto più umano: il paesaggio, la gente... L' istituto, poi, dopo quello che abbiamo visto nella hall dell' albergo, sembra un posto idilliaco, voci di bambini, istitutrici in divisa, tanto verde attorno. La direttrice ci tiene a precisare: "Noi siamo ungheresi più che rumeni, preferiamo fare le cose in regola" . L' illusione di avere raggiunto la mèta del nostro viaggio dura solo un attimo: non ci sono neonati per noi, solo piccoli portatori di handicap. Siamo turbati. Lasciamo i giocattoli che avevamo portato e torniamo indietro. "Un altro personaggio compare nel gran "suk" di Bucarest, una straniera conosciuta in albergo, moglie di un uomo d' affari italo-rumeno. Ci promette aiuto. E un drink a casa sua, alle nove di sera. Ci sono i suoi figli e il marito. Dovrebbe venire pure l' ex direttrice di un' orfanotrofio. Ma appena bussano alla porta, l' equivoco nel quale siamo caduti si chiarisce subito. Compare una specie di corteo: capofila, una signora di mezza età, di buon ambiente (si vede dai vestiti), però scorbutica e dai modi odiosi. Al seguito, un' altra donna, dimessa, con in braccio un bambino di due mesi. "Spogliatelo, esaminatelo bene e portatevelo a casa" , ci dice la virago. Quando replico che voglio prima parlare con il mio avvocato, si irrita. "Di legali ho già i miei, non voglio nessun altro tra i piedi. Vi dico, è vostro, potete prenderlo subito" . "Capisce che l' affare può sfumare, vuole convincerci a portarlo via. Tanto, poi, presenterà il conto: ottomila dollari, circa dieci milioni di lire, senza possibilità di restituire la "merce" . Rifiutiamo. A parte ogni scrupolo di ordine morale, da dove arriva quel neonato? Con quali sistemi avranno convinto la famiglia a metterlo in vendita? Mi tornano in mente i volti di quasi tutti i bambini che abbiamo visto: piccoli visi da zingaro, anche se i mediatori giurano che no, non sono nomadi, e giustificano la vendita con storie di ordinaria povertà, famiglie numerose, madri contadine, padri disoccupati... "Tentiamo l' ultima carta. Ci rivolgiamo al direttore di un ospedale vicino a Bucarest, conosciuto da mia moglie durante un congresso medico in Italia. Forse lui conosce la via giusta per arrivare a un' adozione pulita, pensiamo. Invece, ecco la sua proposta: un parto su commissione. "La madre è una studentessa, una ragazza di buona di famiglia, vuole disfarsi del bambino. Se aspettate due mesi..." , dice. Ci spiega che in Romania, nonostante dopo Ceausescu l' aborto sia diventato legale, le donne hanno ancora paura a praticarlo. Non parla di soldi, chiede solo tacitamente la nostra complicità. "In preda alla nausea, decidiamo di ripartire immediatamente. Torniamo in albergo che sono le 11 di sera: all' Hotel Bucarest si stanno concludendo le ultime vendite della giornata. Gli affari si contano sul numero di culle rimaste nella hall. E' il nuovo business degli artigiani del centro, grandi ceste di vimini foderate con stoffa a fiorellini per portar i neonati oltre frontiera. Un cameriere, passandoci accanto, ci vede a mani vuote e ci chiede stupito: "Dov' è il bambino? Come mai non l' avete trovato?" . Già, il bambino. Ci riproveremo, lo troveremo. Però non in Romania. Tra un paio di mesi, io e Ada partiremo per la Colombia". E NON SONO PIU' RITORNATI Santina Renda, Pasquale Porfidia, Benedetta Roccia: sono i casi più conosciuti. Ma dietro di loro, centinaia di minorenni, ogni anno, svaniscono nel nulla. Tutte fughe da casa? Sicuramente no. E tra tante ipotesi, anche quella del racket. Santina, 6 anni, era scesa un attimo a giocare per strada con i bambini del quartiere, tra i casermoni del Cep di Palermo, dove vivono stipate oltre 10 mila persone. Pasquale, 11 anni, l' avevano visto a zonzo per i vicoli di Marcianise, vicino Caserta, felice di godersi una mattina di vacanza da scuola. Benedetta, 2 anni, era rimasta per un attimo sola nel bosco, sulle montagne calabre, mentre i genitori si allontanavano a raccogliere fragole. Spariti, tutti e tre. Da più di un anno, nessuna notizia di loro. Vittime di pazzi o di maniaci? Li avranno portati via gli zingari? C' entrano forse la mafia e la camorra? O c' è qualcuno che si aggira per le nostre città e i sobborghi di provincia a rapire ragazzini da vendere sul mercato delle adozioni clandestine? Mamme e papà d' Italia hanno paura: l' incubo che dietro a queste e altre misteriose sparizioni ci sia un racket dei minori alimenta le ipotesi più orribili. Persino quella del commercio di organi, bimbi fatti a pezzi per togliere loro fegato e reni destinati a ricchi stranieri in attesa di trapianto... Una psicosi che dilaga. Tanto che il capo della Criminalpol di Roma, prefetto Luigi Rossi, si è sentito in obbligo di rassicurare le famiglie: "Da noi non c' è nessun traffico di organi" , ha dichiarato, "ne siamo certi" . Un punto fermo, nelle indagini. Ma anche l' unico, e la gente non si accontenta. Chi l' ha visto?, il programma di RaiTre che dà la caccia agli scomparsi, è assediato dalle richieste di genitori in angoscia. Sulle strade italiane ci sono cartelloni col viso di Santina Renda, nei luna-park distribuiscono cartoline di solidarietà da spedire a Cossiga, sui cartoni del latte si chiedono notizie dei piccoli che hanno fatto perdere le loro tracce. A fine giugno, TeleMontecarlo e le tre reti Fininvest manderanno in onda uno spot per imprimere nella memoria degli spettatori il viso della piccola Renda, di Pasquale Porfidia, di Benedetta Roccia, di Rossella Corasin (sparita nel 1975, a 17 anni, durante una passeggiata in montagna nei pressi di Belluno). Un "wanted" all' incontrario, lanciato da una mezza dozzina di associazioni e comitati: l' Atm, l' Atl, l' Adise, l' Ammi, l' Anais, gruppi di varia natura mobilitati per la difesa e la ricerca dei minori scomparsi. Quanti, in Italia? Altro "giallo" . Secondo il ministero dell' Interno, si sono registrati 231 casi di sparizione nel 1990, 195 l' anno precedente, 215 nel 1988. Ma l' Adise, associazione per la difesa dell' infanzia scomparsa in Europa, contesta. "I minori che cerchiamo sono migliaia, non centinaia" , dice il presidente Vincenzo Toma sulla base delle statistiche Istat, mentre l' Atm, associazione per la tutela del minore, rincara la dose e segnala che nella sola provincia di Milano, nei primi tre mesi di quest' anno, risultano già 80 denunce di scomparsa. NIENTE RACKET, SEMMAI... "Non c' è niente che faccia pensare all' esistenza di un racket" , invita alla calma Federico Palomba, direttore dell' Istituto di giustizia minorile del ministero di Grazia e giustizia. Solo per certe zone del Mezzogiorno, il giudice Palomba è disposto ad ammettere casi di vendette trasversali, "regolamenti di conti tra famiglie mafiose" . Lupara bianca, insomma. Pasquale Porfidia, secondo gli inquirenti, potrebbe forse rientrare tra questi casi. Così Michelangelo Tripodi, 12 anni, sparito il 18 marzo dell' anno scorso a San Ferdinando-Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Frequentava, segnalano i fascicoli, compagnie poco raccomandabili. E poi, il padre ammazzato subito dopo: un pregiudicato vicino alle cosche Bellocco e Piromalli. "Episodi isolati" , insiste Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei minori di Napoli. "Anche al Sud, non è sempre e comunque detto che c' entri la criminalità" . Una prova? "Le scomparse sono per lo più legate alle fasce preadolescenziali, tra i 14 e i 16 anni, un' età in cui si scappa di casa, in cui i litigi e le incompresioni con i genitori sono più forti" . Magistrati, poliziotti, esperti danno tutti l' identica risposta: i "desaparecidos" sono in realtà ribelli in fuga. Ma questo vale per i più grandi. E i piccoli? Tra i 641 minori complessivamente scomparsi dal 1988 ad oggi, ci sono 194 ragazzini che non superano i 14 anni, 60 bambini che hanno meno di 10 anni. Chi sono, in che mani finiscono? "Generalmente sono zingari, che vengono spostati da una tribù all' altra. Oppure figli contesi tra due coniugi separati. Di tanto in tanto, anche vittime di incidenti automobilistici" , spiega il questore della Criminalpol di Roma, Paolo Emilio Comes. Testimoniano le storie documentate nelle questure. Alan Halilovic, 8 anni, si allontana il 1° febbraio dal campo nomadi di via Cesare Lombroso a Roma per comprare il latte. Non è più tornato. Haida Beba Cizmic, 7 anni, una bella zingarella bruna, è sparita dalla Magliana Vecchia a marzo, con il suo giacchetto a fiori. Domenico Sicignano, un ragazzino di Napoli, è stato invece "rapito" davanti a scuola da papà: l' ha scoperto la madre tre giorni dopo. Nessuna traccia di Antonio Mileo, 5 anni, di Roma, portato via dalla mamma il 14 agosto dell' anno scorso. Così come Simone Fachechi, 4 anni, affidato dal giudice ad un istituto di Pavia per la scarsa "moralità" dei genitori: madre prostituta, padre pregiudicato con precedenti per sfruttamento della prostituzione e truffa. La famiglia lo rapisce dall' orfanotrofio, sempre ad agosto. Si ritrova il padre, nessuna notizia del piccolo e della madre. Nomi sconosciuti alla cronaca, diversamente da quelli di Santina Renda e Benedetta Roccia, assurti a casi "nazionali" . Santina, soprattutto, per quell' intreccio di personaggi misteriosi, di confessioni sospette, di speranze e delusioni che hanno accompagnato la sua ricerca: si è parlato di zingari che giravano minacciosi per il Cep di Palermo, si è sussurrato di un "uomo nero" che sarebbe comparso all' improvviso tra i bambini del quartiere, offrendo caramelle proprio a lei. E' entrato nella storia persino un giovane psicopatico che si è autoaccusato, falsamente, di averla uccisa. Poi, la segnalazione di un cadavere nella discarica di Bellolampo, posto orribile a pochi chilometri dal Cep. Nulla. Ma forse Santina è finita davvero lì, vittima di un incidente o di un maniaco, chissà. Per Benedetta Roccia, le cose potrebbero essere drammaticamente più semplici. C' è un' accusa precisa contro i genitori: vendita per adozione illegale. L' ha confessato la sorellina Laura, dicendo di aver sentito qualcosa, frasi in famiglia che accennavano a dar via la piccola. "Indizi insufficienti... Non reggeranno in tribunale" , protesta l' avvocato, Giuseppe Galiardi. "Laura ha già smentito. E' il solito sistema: incriminare le famiglie. Io credo invece che in Italia esista proprio un racket. Spariscono troppi bambini" . Spariscono al Sud. Nel 1990, in Campania se ne danno per dispersi 41, in Sicilia 31, in Puglia 21. Ma scompaiono anche al Nord, nonostante il Tribunale dei minori di Milano ridimensioni il fenomeno. "Sempre lo stesso copione... Sono i genitori che fanno sparire i figli, per sottrarli alla custodia cautelare di un istituto o al coniuge con cui non vanno più d' accordo. L' unico caso che ci ha messo in allarme" , dice il presidente del Tribunale Filiberto Barbarito, "è quello degli argati, zingarelli rapiti da una banda di iugoslavi, che li adoperava per furti e rapine. Ma è una storia vecchia" . A CERTE MADRI STA ANCHE BENE Lupara bianca, divorzi, guerre tra nomadi. E le fughe con cui tanti adolescenti cercano di sottrarsi a situazioni familiari difficili, forse a violenze e minacce. Scappano e vengono qualche volta rintracciati mentre bivaccano nelle stazioni, nelle piazze di Roma o di Milano, o vengono presi in giri di droga e prostituzione. "Non è raro che, quando sono messi alle strette e hanno bisogno di trovare un sistema per sopravvivere, diventino manovali della criminalità organizzata" , conferma Ernesto Caffo, presidente di Telefono azzurro. "A Napoli succede anche" , avverte Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei Minori, "che le famiglie denuncino una scomparsa e poi se ne disinteressino del tutto. Sette, otto, nove figli... Che qualche bocca da sfamare se ne vada, a certe madri sta anche bene" . Povertà, miseria, emarginazione. A Napoli, certo, "ma anche al Nord" , puntualizza Maria Pia Garavaglia, parlamentare Dc. E il ministro per gli Affari sociali, Rosa Russo Jervolino, pure lei democristiana, propone una legge: sussidi alle famiglie indigenti, comunità di accoglienza, centri sociali. Ma soprattutto, un' azione capillare di sorveglianza davanti alle scuole e agli edifici pubblici. "Non credo al traffico degli organi, troppo complicato da realizzare" , spiega il ministro Jervolino, "non mi sembra nemmeno che c' entrino le adozioni illegali (funzionerebbero solo con i neonati). Ma non capisco come si possa giustificare tutto con le fughe da casa. Per andare dove? Nella Legione straniera? Insomma, stiamo attenti a quello che diciamo, e che succede" . Anche il ministro vede il fantasma dell' "uomo nero" ? No, evidentemente. Eppure, l' angoscia di un pericolo che si nasconde dietro la porta di casa rimane. Chi l' ha visto?, la trasmissione di Donatella Raffai, è andata in onda quest' anno 41 volte, con altrettante storie di bambini. Milioni di cartoni del latte a Napoli, e presto anche a Milano, portano un volto, e la scritta "Aiutateci a cercarlo" . Il team di avvocati, psicologi, neuropsichiatri, psicoterapeuti dell' Atm (l' associazione che si è appena fatta sponsor dello spot televisivo), è costantemente sotto pressione. I cittadini si mobilitano. Dice Alma Agata Cappiello, deputato del Psi: "Sono assediata dalle telefonate di genitori che premono perché il governo istituisca un corpo di polizia speciale, un' "intelligence" indirizzata esclusivamente alla ricerca dei bambini. Io sono d' accordo. Di questo passo finisce come in America, dove ogni anno i bambini scompaiono a centinaia di migliaia" . Non è stata forse la polizia di Chicago, nel 1985, a far stampare per prima sulle buste del latte le foto segnaletiche dei ragazzini? Testata Epoca Data pubbl. 29/05/91 Numero 2120 Pagina 72 Titolo IL LEADER DEL PDSESSO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Il sindaco di Cattolica Sommario Il racket delle lucciole lo preoccupa, le finanze comunali lo angustiano. Che fare? Il primo cittadino di una famosa località romagnola ha trovato un rimedio sicuro: riaprire le case d' appuntamento e affidarle a una azienda municipale. Le sue compagne di partito protestano? Lui risponde: è la sola alternativa. "CATTOLICA E' IN RIVA AL MARE. E LA PAROLA BORDELLO NON DERIVA FORSE DAL FRANCESE "AU BORD DE L' EAU"?" Didascalia Gianfranco Micucci, 44 anni, sindaco Pds di Cattolica. Vuole riaprire le case di appuntamento per "sconfiggere il racket che gestisce il mercato delle lucciole" . Testo Sembrava matto il sindaco di Riccione, Terzo Pierani, quello che voleva aprire un Casinò sulla Riviera, e che due anni fa lanciò la crociata contro i saccopelisti e poi la catena umana anti-mucillaggine, con signorine in topless che se lo contendevano sul lungomare... Ma il sindaco di Cattolica, allora? Altro che casa da gioco: Gianfranco Micucci, 44 anni, indipendente eletto nelle liste del Pds, una laurea in sociologia all' università di Trento, ha proposto di fare un casino. Nel senso letterale del termine, casa chiusa a capitale pubblico e privato, "moderna, efficiente e manageriale" . E ha anche trovato uno sponsor: l' Onu, One nation underground, una cooperativa di servizi culturali e discotecari, affiliata all' Arci, che ha immediatamente rilanciato il progetto. Scopo? "Sconfiggere il racket della malavita che gestisce il mercato delle lucciole" . L' invito è per il popolo di Romagna: galli in pensione e pulcini non ancora svezzati, vecchi e bambini. I primi perché "non perdano l' abitudine allo sport più praticato della riviera" , dice il sindaco, i secondi perché possano adeguatamente curare la propria educazione sentimentale. Alla Flaubert, ovviamente, un autore che il colto Micucci, ad uso di chi dubitasse sul valore "culturale e morale" della sua iniziativa, non dimentica di citare, insieme a un' enciclopedica sfilza di nomi che da Epicuro portano dritto ai suoi maestri spirituali: Freud e anche Alberoni, Wilhelm Reich oppure Renato Curcio (suo collega d' università). "Cattolica è in riva al mare. E l' etimologia di "bordello" non è forse "au bord de l' eau" ?" , insiste il primo cittadino del centro balneare. "E poi, cosa ho io di diverso da Kohl o da Bush? In Germania e in America le case di tolleranza esistono e sono autorizzate dallo Stato. Vorrei che anche in Italia si rivedesse la legge Merlin" . In che modo? Trasformando i bordelli in vere e proprie aziende. Con pingui profitti, aggiunge Micucci, per le casse comunali e un indotto ancora più appetitoso: "Con le prostitute che ci sono in Riviera, pensi a quanto guadagnerebbero i medici Usl. E le ditte che fornirebbero i profilattici, quelle che sponsorizzerebbero la "casa" con i loro divani, la lingerie, le lenzuola di seta..." . Un' attività a tutto campo, insomma: secondo le prescrizioni del citatissimo Max Weber. In armonica sospensione tra "luteranesimo e spirito del capitalismo" . Gianfranco Micucci non è infatti solo il sindaco di Cattolica, o il "compagno" indipendente dell' ex Pci. E' in primo luogo un imprenditore, proprietario di una fabbrica di giocattoli, fatturato tre miliardi l' anno, che si chiama "Ci ragiono e gioco" , parafrasi del celebre "Ci ragiono e canto" di Dario Fo. Da ragazzo vendeva scarpe ai mercati rionali: "Mio padre lo diceva sempre, studia pure, ma d' estate si lavora" . Poi ha vinto un concorso al Comune, però era un posto che gli stava stretto, buono fino al 1977, quando si è buttato negli affari, quelli veri. Passione di famiglia, peraltro, testimoniata nell' albero genealogico dalla presenza dello stilista Diego Della Valle, il quale sui progetti erotici del cugino Micucci non ha mancato di dire la sua: "Fai una tariffa a ore" , gli ha suggerito da New York. "L' avventore deve poter dimostrare che ci dà, che ci dà..." Mai come ora che è sindaco, però, Micucci è riuscito a interpretare tanto bene lo "spirito del capitalismo" . Se l' amore profano può dar sostegno alle casse comunali, quello consacrato dal vincolo matrimoniale non è da meno. Lo dimostra la decisione di affittare la sala della Giunta per le cerimonie nuziali: 200 mila lire comprese di tappeto rosso, marcia di Mendelssohn, fiori per la sposa e, dulcis in fundo, sindaco in smoking. Altra idea-business: trasformare Cattolica in un set cinematografico. Con una star d' eccezione: "Madonna ha appena dichiarato che vuol dirigere un film. Potrebbe venir qua. Ho già avviato i contatti telefonici e preparato la sceneggiatura: Il destino si chiama Clotilde di Guareschi" . Le incursioni nel mondo dello spettacolo a Cattolica del resto non mancano. Non è la patria del Mystfest, la rassegna annuale del cinema "giallo" ? E come ha reagito il sindaco l' anno scorso, quando il comitato direttivo del festival ha deciso di trasferirsi a Viareggio? Suggerendo, in un comunicato ufficiale, di riascoltare la canzone Vivere, nell' intepretazione di Pavarotti: "Oggi che magnifica giornata, la mia bella donna se n' è andata, m' ha lasciato alfine la libertà..." Siamo all' operetta? Eh, no. Micucci sa anche essere rigoroso. Sulla gestione del denaro pubblico, è per la "qualità totale" : non ha esitato, ad esempio, a tagliare lo stipendio ai consiglieri comunali colpevoli di assenteismo. Ma rispetta pure le esigenze del personale, tra cui il diritto alle ferie, concesse in massa dal 25 aprile al primo maggio con tanto di chiusura del Municipio. In Rivera capita questo ed altro. Non si sono appena offerti i bagnini di Rimini, galli per vocazione, a versare un' imposta di paternità alle svedesi finite nelle loro reti, con eventuale neonato a carico? Non c' è quindi da stupirsi se un progetto anti-istituzionale come la "Spa del sesso" , trovi pieno consenso presso il vicesindaco, Lando Pritelli, giovanotto di fede "verde" , e presso gli "imprenditori" dell' Onu, capifila due trentenni: Moreno Neri e Pier Pierucci, rispettivamente presidente e vicepresidente della cooperativa della Lega. "In Romagna ci conoscono come quelli che inventano le provocazioni" , spiega Pierucci, citando l' ultima creatura, il Rockhudson' s, discoteca di Rimini, nata nel 1987, a dispetto del nome "sana come il latte" , con distribuzione al bar di latte, appunto, e yogurt. "Assistere però ogni sera alla passerella di prostitute che c' è sul lungomare di Rimini ci sconcerta. E allora, perché non provvedere, fondando un luna park del sesso che nobiliti l' eros?" . I vitelloni romagnoli, capitanati da Valter Giovannetti, presidente del Club dei galli, sono d' accordo. Ma a sentire i soci dell' Onu, anche i ragazzini: "In un sondaggio fatto nel nostro locale è risultato che 43 persone su 51 apprezzerebbero la riapertura delle case d' appuntamento" . Fanno sul serio? Il dubbio tortura molti. Terzo Pierani, ad esempio, sindaco di Riccione: "Figurarsi, una faccenda così complicata, la prostituzione. Non è riuscito neanche il Parlamento a risolverla. Dovrebbe essere un sindaco di provincia a far cambiare la legge?" . Incalza sul giornale locale, l' assessore Nando Piccari: "Caro Micucci, l' hai fatta grossa, tu e quei pirlotti dell' Onu" , allarmato dall' idea che possa essere utilizzata la caserma dei carabinieri per la costituenda casa del piacere. Si infuriano le compagne del Pds: "Dopo anni di lotta per la "differenza sessuale" , dovremmo dar adito adesso a un pugno di nostalgici frustrati?" , dice il neosegretario della federazione di Cattolica, Maria Vittoria Prioli. Ancora più arrabbiate le femministe storiche: guidate dalla leader Elvira Banotti sono sbarcate a Cattolica e hanno tirato uova al sindaco. Lui, il bersaglio, Gianfranco Micucci, si limita a strizzare un occhio: "Mi son messo nei guai, eh?" . Guai seri? Lo si vedrà forse alle prossime amministrative, quando il partito dovrà decidere se l' indipendente Micucci al suo posto ci sta bene oppure no. Per ora, come recitava la canzone-manifesto dell' amor mercenario di Fabrizio De Andrè, Bocca di Rosa, "le contromisure si limitano all' invettiva" . E sono, tra le altre: quelle dei quattro parroci di Cattolica, riunitisi di recente per discutere una strategia antisindaco; quelle del Comitato delle Prostitute di Pordenone che per bocca di Pia Covre ha fatto presente di non gradire affatto l' interessamento del primo cittadino romagnolo; e infine, quelle di alcuni consiglieri di minoranza dell' amministrazione rosso-verde, come il repubblicano Peter Tonti, che pontifica: "Siamo proprio alla frutta" . L' unico che riesce a non farsi bollare dallo scatenato sindaco come un "bacchettone" , è il segretario del Pds di Rimini, Giuseppe Chicchi, ex assessore regionale all' ambiente e al turismo: "Non condivido neanche una virgola della trovata di Micucci" , dice con fare molto serio. "Ma rilancio: sesso libero contro sesso mercenario. Facciamo della Riviera la nuova Ibiza" . Testata Epoca Data pubbl. 22/05/91 Numero 2119 Pagina 88 Titolo E DOPO IL MIO DIARIO DA BADGAD, BASTA CON LA VITA SPERICOLATA Autore Maria Grazia Cutuli Sezione STORIE Occhiello Fabrizio Del Noce Sommario "SONO STANCO DI FARE L' INVIATO. HO 43 ANNI, E' IL MOMENTO GIUSTO PER RICICLARMI" Didascalia Fabrizio Del Noce, inviato del "TgUno" . Sulla sua esperienza di giornalista nel Golfo ha scritto un libro, "Bagdad" , che è il più venduto della settimana. Testo A quando le memorie dal Golfo di Peter Arnett? Nell' attesa, c' è il diario dal fronte di Fabrizio Del Noce, inviato del TgUno: 50 mila copie in un mese con un instant-book, Bagdad (edizioni Eri-Arnoldo Mondadori, 235 pagine, 28 mila lire), che è il più venduto nelle classifiche di maggio. Un premio all' ostinazione di uno dei giornalisti italiani che ha seguito più da vicino le vicende della capitale irachena durante i giorni caldi dei bombardamenti. Se il pubblico è ancora sensibile all' effetto Golfo, Fabrizio Del Noce sembra però già lontano. Da circa un mese, il cronista d' assalto in blazer blu ha lasciato la trincea per diventare il conduttore di Linea notte, spazio quotidiano di approfondimento nella seconda serata di RaiUno. Con sua massima soddisfazione: "Sono stanco di fare l' inviato" , dice, "200 giorni l' anno per il mondo, in situazioni di emergenza, senza dormire, senza mangiare. E nello stesso tempo sempre lucido e perfetto per apparire in tivù. Ho 43 anni, adesso... E' il momento giusto per riciclarmi" . Dodici anni tra il Libano e l' Afghanistan, l' Irak e le Filippine. Poi Bagdad, il 17 gennaio sotto i bombardamenti americani: "Una notte simbolica" , dice Del Noce. "Mi sono imbarcato sull' aereo per raggiungere la capitale irachena imbottito di novocaina contro un dolore alla schiena che mi aveva paralizzato. Dovevo esserci a tutti i costi" . Passione sfrenata per un lavoro che è "droga pura, nevrosi, tensione all' ultimo stadio" . Tutto però molto ben celato. Non ci sono state bombe, sommosse di piazza, cariche dell' esercito che in questi anni Del Noce non abbia raccontato in tivù con il nodo della cravatta perfetto, il doppiopetto che non faceva una piega. In Romania, durante i giorni di Timisoara, mentre la Securitate sparava sulla folla impazzita, si dice che lui, con l' aplomb di un inviato inglese dell' Ottocento, ordinasse salmone e champagne al ristorante dell' albergo. "Bisogna saper sdrammatizzare" , sostiene, "smitizzare il mestiere dell' inviato. Non siamo più ai tempi di Luigi Barzina. Certo, Peter Arnett è proprio bravo, ma non credo sia sempre necessario dare un colpo allo stomaco al pubblico" . Dopo aver fatto da pioniere per una nuova generazione di inviati Rai, come si troverà adesso Del Noce in un lavoro stanziale? "E' la prima volta che passo dietro una scrivania. Non ne ho mai avuta una, sono sempre stato fuori dal giro, dai giochi di potere, dai legami di partito" . Se in politica estera l' inviato del TgUno non fa mistero di una sua scelta filoisraeliana, in politica interna due elementi tradiscono le sue simpatie: la collaborazione al Sabato, "giornale di un movimento amico" , vale a dire Comunione e liberazione, e il rapporto con il padre Augusto, filosofo fortemente cattolico: "Una figura fondamentale per la mia formazione, anche se così diverso da me. Lui ha vissuto sui libri, io amo invece stare tra la gente, non disdegno la mondanità" . Dal padre, anche una lezione di vita, l' impegno sul lavoro: "Quando ho deciso di fare l' inviato, ho subito capito che era una scelta totale, che mi avrebbe portato a sacrificare tutto, i rapporti di coppia, la vita privata" . Già, la vita privata: due storie importanti, entrambe con due annunciatrici Rai. Oggi, Ilaria Moscato. Nel 1982, Roberta Giusti, donna di grande fascino e di condotta irreprensibile, morta di cancro nel 1986. Qualche mese dopo, la sua fotografia stava su un' immaginetta fatta stampare da padre Ventura della parrocchia romana di Maria Causa Nostra Letizia. Si parlò anche, per lei, di un processo di beatificazione. A quell' epoca, gli anni della guerra dimenticata Irak-Iran, la vita dell' inviato Del Noce era già legata a Bagdad. C' era stato la prima volta nel 1977, c' era tornato in seguito all' Afghanistan e al Libano, "tutte circostanze dove il pericolo di vita è stato molto più reale che durante il grande scenario tecnologico della crisi del Golfo" . Infine, la Bagdad "dominata dalla rassegnazione" dell' altro ieri. Una città, la notte delle prime bombe, illuminata a giorno, percorsa dal "traffico impazzito di veicoli colti di sopresa che a velocità pazzesche tentavano di tornare verso casa" . Paura? "Ero certo che non mi sarebbe capitato nulla" . Probabilità di morire? Del Noce ha fatto un calcolo: una su trecento. Per un inviato di guerra, quasi uno scherzo. Testata Epoca Data pubbl. 15/05/91 Numero 2117 Pagina 58 Titolo IL MARE CHE CI ASPETTA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI E GUALTIERO STRANO ha collaborato Furio Domenici Sezione STORIE Occhiello Estate al petrolio? Sommario Bagni proibiti. Turisti disorientati. Sindaci in rivolta. Da Genova a Livorno, l' onda nera sta complicando i progetti per le prossime vacanze. Catastrofe annunciata o falso allarme? La risposta in fondo al Mediterraneo. Didascalia Liguria: primi interventi per asportare dal litorale il greggio fuoriuscito dalla "Haven" , la petroliera cipriota esplosa il 10 aprile. IN LIGURIA E IN TOSCANA E' GIA' POLEMICA SUI DIVIETI DI BALNEAZIONE Cogoleto (Genova): il gozzo di un pescatore alle prese con l' onda nera all' indomani dell' esplosione della "Haven" . Venti giorni dopo, il sindaco di Arenzano ha vietato i bagni. Identico provvedimento su 20 chilometri di spiaggia toscana. Ma le ordinanze dei sindaci sono già state contestate da autorità regionali, capitanerie di porto, albergatori. QUELLA STRANA CONVIVENZA FRA TURISMO E PETROLIERE Nel Mediterraneo, che rappresenta lo 0,7 per cento della superficie marina del pianeta, naviga il 20 per cento del petrolio mondiale. Gli effetti negativi sulle coste, soprattutto quelle italiane, hanno suscitato attenzione e polemiche in Germania, Paese d' origine di un massiccio flusso turistico. La cartina qui sopra, elaborata dal settimanale tedesco "Stern" , riassume i principali incidenti marittimi nel nostro mare ed evidenzia l' impatto petrolifero sui litorali. Testo L' uomo della squadra anti-inquinamento guida il getto d' acqua bollente. Lo dirige sugli scogli, negli anfratti della roccia. I grumi di catrame saltano via, finiscono in mare, subito risucchiati dalle pompe. Il lavoro non è difficile, ma lungo. Ci vogliono settimane per ripulire il litorale, da Livorno alla spiaggia di Castiglioncello: venti chilometri di costa raggiunti dall' onda nera vomitata dall' Agip-Abruzzo, la petroliera speronata il 10 aprile scorso dal traghetto Moby Prince. Poco più a nord, in Liguria, altri uomini, altri battelli stanno lavorando intorno al relitto della Haven, la nave esplosa lo stesso giorno d' aprile con il suo carico di greggio. Ce la faranno le squadre antipetrolio a cancellare la paura che rischia di compromettere la prossima stagione turistica? E soprattutto, si tratta di paura legittima o di falsi allarmi? In Toscana, duemila, forse tremila tonnellate di liquido nero hanno galleggiato per settimane in mare. In Liguria, sono in parte bruciate, in parte perse in acqua almeno 20 mila tonnellate di greggio. Il veleno, ufficialmente, è finito soltanto sulle spiagge dove il primo maggio è comparso il divieto di balneazione su dati dell' Usl. In Toscana: Livorno, Pisa, Vecchiano, Sangiuliano. In Liguria: Arenzano. Secondo i Verdi, però, la zona a rischio è molto più ampia. Tocca la Versilia, si estende sulla riviera ligure fino a Cogoleto, Celle, Finale, Arma di Taggia: "Tutti posti dove abbiamo trovato, in mare e sulla battigia, quantità di idrocarburi dalle 20 alle 60 volte superiori ai limiti consentiti dalla legge" , spiega l' eurodeputato verde Enrico Falqui, presentando i dati raccolti da un laboratorio privato. Cifre attendibili, le sue? Difficile dirlo, anche perché gli stessi dati delle Usl si prestano a diverse interpretazioni. In Liguria, l' assessore regionale all' Ambiente, Renzo Muratore, e il comandante del porto di Genova, Antonio Alati, si sono scagliati contro il sindaco di Arenzano, il democristiano Ferdinando Masella, colpevole di aver proibito i bagni in mare sulla scorta proprio delle analisi delle Unità sanitarie. Anche in Toscana la situazione è controversa. Gli operatori turistici, di fronte alle prime disdette delle agenzie tedesche, sono già partiti al contrattacco. Nelle loro mani, il responso dell' Usl di Lucca che afferma, sulla base di un' indagine eseguita su particolari specie di pesci e mitili, l' opposto di quanto detto dai verdi. E cioè, che nessuna sostanza nociva ha sporcato il mare o intaccato le coste della Versilia. Conferma il comandante della Capitaneria di Livorno, Sergio Albanese: "Non capisco tutta questa preoccupazione. Abbiamo mobilitato battelli e squadre anti-inquinamento dovunque, in acqua e sulla costa. Una settimana ancora di lavoro e tutto sarà risolto. Villeggianti e turisti faranno i loro bagni..." . Ma non si tratta solo di ripulire le chiazze versate. Il problema più grave ha un nome strano, "allibo" , cioè il travaso delle 80 mila tonnellate di greggio iraniano dalle stive dell' Agip-Abruzzo, dove ancora si trova, alle cisterne dell' Agip-Piemonte, la nave gemella già pronta in rada. Sarebbe dovuto cominciare la scorsa settimana, ma il mare grosso non lo ha consentito. Oltretutto, la nave, indebolita dall' urto, potrebbe spezzarsi durante l' operazione. "Una vera bomba ecologica" , è la frase ricorrente. La ripete anche il sindaco di Livorno Roberto Benvenuti, contrario sin dall' inizio alla decisione della Capitaneria di trattenere la petroliera in rada: "Non c' era un altro sistema per mettere la nave in stato di sicurezza?" , si chiede. Secondo i tecnici, no. Un problema di fondali: quelli del porto di Livorno sono profondi al massimo poco più di 11 metri; mentre la chiglia dell' Agip-Abruzzo, appesantita da infiltrazioni d' acqua, affonderebbe per oltre 12 metri. La spiegazione non convince. Ai dubbi del sindaco e del vicesindaco, il socialista Massimo Bianchi, si sommano quelli dall' assessore regionale all' Ambiente Fabrizio Franceschini: "In Capitaneria hanno cambiato idea sulla soluzione da adottare quattro volte in due giorni. Nel frattempo aspettando l' allibo, le onde hanno continuato a spargere petrolio..." . Non che gli interventi siano mancati: nelle squadre anti-inquinamento della Labromare e della Castalia, le due società incaricate dalla Capitaneria di ripulire l' acqua e le spiagge, lavorano quasi duecento uomini. Hanno a disposizione sette battelli Supply-vassel, otto mezzi litoranei, sette autaspiranti da terra, più due disc-oil per il pompaggio meccanico. "Non abbiamo certo perso tempo" , dice Amerigo Cafferata, presidente della Labromare, "purtroppo le forti onde hanno continuato a provocare sversamenti di petrolio..." Ma qualcos' altro deve essere successo dentro la nave: mentre si svuotava la cisterna numero sette, nuove falle hanno aperto un passaggio interno nella cassa-bunker, il serbatoio del carburante utilizzato dalla petroliera per navigare. "E' da lì che continua a venir fuori combustibile" , spiega il capitano della Labromare Giorgio Botti, "finora ne abbiamo aspirate 140 tonnellate" . Su 1.800 contenute dal serbatoio. Il resto? Vaga in mare, va alla deriva, si deposita sulle spiagge. Ma, miracolosamente, la Versilia ne sarebbe rimasta immune, almeno secondo quanto dichiara il sindaco di Viareggio, Antonio Cima: "Ogni mattina sono in contatto con la Capitaneria e non mi sembra che la nostra zona sia minacciata. Una macchia, è vero, è arrivata a tre miglia al largo di Camaiore, ma poi ha deviato verso sud" . Idem anche in provincia di Livorno, come spiega il sindaco di Rosignano, Gianfranco Simoncini: "A Quercetano e a Castiglioncello abbiamo raccolto in tutto un bidone di catrame" . L' unico ad ammettere l' inquinamento è Giancarlo Lunardi, primo cittadino di Vecchiano, una sfilza di divieti affissi su 4 chilometri di costa, vicino al parco di San Rossore, tenuta della presidenza della Repubblica. Allarmista il sindaco Lunardi? "Diciamo che per noi il pericolo di perdere turisti non è certo paragonabile a quello della Versilia. Qui i bagnanti sono per lo più persone del luogo..." . A chi credere? L' assessore regionale all' Ambiente, Fabrizio Franceschini, taglia corto con la guerra dei dati: "Finché c' è petrolio dentro l' Agip-Abruzzo, la nostra costa è tutta sotto minaccia" . E aggiunge: "Spero intanto che il governo, come sta facendo altrove, tenga conto che siamo in emergenza ambientale" . Si riferisce alla Liguria, dove è stato presentato per la bonifica del mare e delle coste un piano Iri-Eni, finanziato per 90 miliardi, che dovrebbe essere completato entro il 15 giungo. In Toscana, invece, ancora nessuna cifra ufficiale: non si sa quanto costino le operazioni anti-inquinamento (si parla di 50 milioni al giorno per il solo noleggio dei battelli), né quali somme stia anticipando la Snam, armatore dell' Agip-Abruzzo, per l' allibo in rada. L' unica rassicurazione da Roma riguarda il risarcimento danni alle famiglie delle 140 vittime del Moby Prince, che, riunitesi in comitato, hanno avviato delle proprie indagini per accertare le cause della disgrazia. Disgrazia che in una città come Livorno, secondo il sindaco Roberto Benvenuti, potrebbe ripetersi: "Qui ci sono industrie chimiche, raffinerie di petrolio, tutte a ridosso di un porto dai fondali troppo bassi e dai corridoi troppo stretti dove si concentrano senza differenza traffici commerciali e passeggeri..." . Il porto, appunto: primo in Europa per movimento di conteiner, secondo in Italia, dopo Genova, per merci smistate. Nel 1990 sono passati dai sui moli, tra partenze e arrivi, oltre tre milioni e mezzo di tonnellate di petrolio, più di cinque milioni di prodotti derivati da oli minerali, e un cospicuo numero di armi e munizioni. Compresa una "bomba ecologica" , l' Agip-Abruzzo, ancora lì, innescata, a oltre un mese dall' incidente e a poche settimane dall' inizio ufficiale della stagione turistica. Testata Epoca Data pubbl. 01/05/91 Numero 2116 Pagina 42 Titolo DI MAMMA NON CE N' E' UNA SOLA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Il caso Wertmuller Sommario L' accusa: la regista e suo marito hanno violato la legge, regalandosi una figlia che non potevano avere. La difesa: la bambina è figlia naturale di Enrico Job, e Lina Wertmuller l' ha riconosciuta per un gesto d' amore. Qual è la verità? E soprattutto, cosa è meglio per la piccola Maria Zulima? Dietro quest' ultimo scandalo della Roma bene, e mentre potrebbe riaprirsi la vicenda di Serena Cruz, un problema di coscienza che l' Italia non riesce o non vuole risolvere: quello delle adozioni. FURIO COLOMBO: "LO STATO HA IL DIRITTO DI PUNIRE IL SORRISO DI UN BIMBO?" Quello di Serena Cruz, la bambina tolta nel 1989 ai primi genitori che l' avevano adottata, fu il primo caso che sollevò intorno alla legge sulle adozioni, ma anche sulle interpretazioni date dalla magistratura, una serie di perplessità e riserve. Da allora l' argomento-adozioni è stato al centro di molte altre polemiche. LA REGISTA: "NON HO NIENTE DA DIRE SU ZULIMA, SU ENRICO, SU DI ME, ASPETTO SOLO CHE PASSI LA BUFERA" . CON 16 MILIONI DI LIRE, UNO PUO' COMPRARSI UN FIGLIO SU MISURA: SESSO, PESO, ETA' , COLORE DEGLI OCCHI... Didascalia Lina Wertmuller, 61 anni, e il marito Enrico Job, 57, il 2 aprile, giorno del battesimo della piccola Maria Zulima (foto per gentile concessione del settimanale "Oggi" ), nella chiesa parrocchiale di Paderno Franciacorta, in provincia di Brescia. Serena Cruz con la prima madre adottiva, Rosanna Giubergia. Christian Zanon con il padre naturale Bruno. Dario Luman. E' stato riaffidato ai genitori naturali. Sebastiano (Hermann) Notarnicola. Rosanna Giubergia, la "prima mamma" di Serena. Testo A vederla in foto, sulla copertina di un rotocalco, Maria Zulima Angelica Antonia sembrerebbe una bambina fortunata. Ha una madre geniale e famosa, la regista Lina Wertmuller. Porta un cognome più che onorato, quello del padre, lo scenografo Enrico Job. Ed è stata appena battezzata, il 2 aprile nella villa della coppia Job-Wertmuller a Padano Franciacorta, in piena campagna bresciana, attorno a sé il fior fiore della mondanità italiana, Marta Marzotto in testa, premurosa e raggiante. Che dietro a tutto ciò si nasconda un' anomalia che ha già allarmato la magistratura, la bambina, tre mesi il 17 aprile, è ancora troppo piccola per intuirlo: una mamma di 61 anni, è questa l' età della Wertmuller, non l' ha mai avuta nessuno. E infatti, secondo la versione uffficiale, Maria Zulima Angelica Antonia sarebbe figlia naturale di Enrico Job. Lina Wertmuller, moglie dello scenografo da oltre vent' anni, l' avrebbe solo accolta in casa e riconosciuta. Storia d' amore e tradimento, dunque: un copione classico. Ma anche, un copione sospetto. Non era la versione raccontata due anni fa dai signori Giubergia, coniugi di Racconigi, ferroviere lui, infermiera lei, per giustificare in famiglia la presenza di una bambina filippina, Serena Cruz? La maternità della Wertmuller, annunciata per la prima volta il mese scorso da Epoca, ripresa e fotografata da vari settimanali, ha sollevato più di una curiosità: da dove arriva Maria Zulima, si son chiesti i soci dell' Anfaa, l' Associazione nazionale delle famiglie adottive e affidatarie? E senza perdere tempo, il 13 aprile, dal loro quartiere generale di Torino, hanno mandato un esposto alla Procura della Repubblica per i minori di Brescia in cui si chiede di indagare su questo che potrebbe essere l' ennesimo caso di adozione illegale. Subito si riapre la polemica che ha accompagnato la disavventura di Serena Cruz: sia o no Enrico Job il vero padre di Maria Zulima, è giusto incriminare una coppia che promette affetto e amore a un nuovo figlio solo perché non è stato rispettato l' iter voluto dallo Stato? C' è una legge, è vero, la 184, una delle più avanzate d' Europa, che sancisce come prioritario l' interesse e il bene del bambino, ma non ha già dimostrato, questa legge, di trascurare le "ragioni del cuore" ? L' Italia si divide, così come è successo nel 1989, anno che in un certo senso ha fatto da spartiacque anche per la magistratura. Mentre infatti a Torino i giudici toglievano Serena alla famiglia adottiva, affidandola a una nuova coppia, a Napoli il caso di Oreste Migliaccio veniva risolto in maniera opposta: nonostante il sospetto di compravendita, il Tribunale dei minori decideva che il piccolo sarebbe rimasto con il padre, un agricoltore di Castelvolturno. Potrebbe esserci veramente un rischio "supermarket" dietro la favola dorata di Maria Zulima? I giornali hanno appena raccontato la storia dei coniugi di Pazzano, paesino della Locride, accusati di aver venduto, con la mediazione di un' infermiera, sei figli a coppie desiderose di un bambino. Ma è un riferimento improponibile per una coppia come quella Job-Wertmuller. La stessa regista al telefono risponde secca: "Non ho niente da dire, aspetto solo che passi la bufera" . E' la prima volta che i riflettori si accendono direttamente dentro casa dell' artista. Non è mai stata una star da "gossip" , da pettegolezzo, la Wertmuller. L' immagine che ha voluto dar di sé è un' altra: fisico mascolino, occhialetti bianchi, capelli cortissimi, e quell' aria da intellettuale impegnata che l' ha messa al riparo dal solito carosello di amori. Lina Wertmuller ha preferito far parlare attraverso i film, le saghe meridionalistiche di Mimì Metallurgico, e Pasqualino Settebellezze, l' epopea antiborghese di Travolti da un insolito destino; nel 1990 ha anche scritto un libro, Volevo uno zio esibizionista, dissacratoria rivisitazione del pedigree di famiglia, passato quasi inosservato. Le occasioni per far scalpore non le sono mancate, ma su altri versanti: l' entrata in pompa magna nell' Assemblea nazionale del Psi e poi, l' anno scorso, contro le stesse compagne socialiste, una filippica a favore della riapertura delle case chiuse. Non certo scandali da camera da letto, né per lei né per il marito, Enrico Job: da troppi anni insieme per poter invogliare chicchessia alla chiacchiera. Si sono incontrati nel 1965, davanti a un ascensore, il periodo in cui lei lavorava con Gianburrasca, e lui era un giovane scenografo, schivo e silenzioso. La regista ha descritto l' incontro in un' intervista di qualche anno fa come una "cosa immediata" , l' evento più fortunato della sua vita, "un amore completo" senza crisi né dissidi. Unico neo, la sterilità di lei. Ma su questo argomento nessuno l' ha mai sentita lamentarsi troppo, anche se qualcuno sostiene che il desiderio di un' adozione era ricorrente e non sembrava sopirsi con il passar del tempo. Ma i sessantuno anni di lei e i cinquantasette del marito escludevano la coppia dalla possibilità di ottenere un bambino per vie legali. La 184 su questo è drastica: non possono esserci più di quarant' anni di differenza tra i genitori adottivi e i figli. L' assenza di prole, comunque, non pare aver influito sulla saldezza del matrimonio Job-Wertmuller. La coppia negli anni è stata a prova di tutto. Anche di tradimento. "Oggi, se una ragazzina si innamora di Enrico, cosa che mi sembra normale" , ha raccontato più di una volta la Wertmuller, "non saprei darle torto. Semplicemente, vado con loro anch' io. Voglio stare con lui, sempre e comunque..." . Sempre e comunque, anche nel caso in cui la ragazzina riesca dove la moglie legittima ha fallito? Che dia cioè un figlio al marito? Sì, anche in questo caso: Maria Zulima, sostiene la coppia, è arrivata proprio così, frutto di una relazione extraconiugale di Enrico Job. Altri particolari? E' nata in Francia a Marsiglia, alle 13,38 del 17 gennaio, in una clinica dell' Ottavo arrondissement. L' estratto di nascita riporta il nome del padre: Maria Zulima Angelica Antonia Job. Della madre, nessuna traccia, non c' è legge in Francia che obblighi una donna a riconoscere la prole. Non dice di più neanche lo stato di famiglia rilasciato a Paderno Franciacorta, comune di residenza di Job, dove Maria Zulima è iscritta come figlia di Enrico e Lina Wertmuller. Ed è proprio in braccio a loro che un fotografo immortala la bimba, ricoperta di trine e di pizzi come una bambola d' epoca, durante la cerimonia del battesimo. Ma il giornale che pubblica il servizio finisce in mano al professor Giorgio Pallavicini, ricercatore universitario a Torino, ma anche presidente dell' Anfaa, l' ente morale nato nel 1962, all' epoca in cui i brefotrofi italiani raccoglievano più di 300 mila bambini in stato d' abbandono. In nome dell' associazione che per anni ha lavorato alla preparazione della legge sull' adozione speciale del 1967, e poi alla 184 del 1983, Pallavicini si è sentito in dovere di segnalare lo strano caso della mamma sessantunenne alla magistratura. "Per vederci chiaro" , dice l' esposto firmato da lui e inviato alla Procura di Brescia. "Per punire il sorriso di un bimbo" , risponde sulla Stampa un editoriale di Furio Colombo che provocatoriamente chiede se l' Anfaa, "lo stesso ente che si è preoccupato di far togliere Serena Cruz a una famiglia di genitori che l' amavano teneramente" , non sia per caso un nuovo "corpo di polizia" . E Natalia Ginzburg, sullo stesso giornale e sempre a proposito dell' Anfaa: "Non c' è di peggio che rassomigliare a un corpo di polizia senza esserlo" . Furio Colombo nei giorni seguenti modera la sua posizione, ma i due partiti, colpevolisti e innocentisti, si sono già mobilitati. La tesi dell' accusa: "Troppa gente usa la falsa paternità per aggirare la legge. Qui sono in ballo i diritti di un neonato: non basta l' affetto di una coppia a garantirli. Il destino della bambina dev' essere deciso dalla collettività" . Falsa paternità: è proprio quella che Pallavicini sospetta esserci dietro il caso Zulima, uno stratagemma che i coniugi potrebbero aver usato grazie alle possibilità offerte in merito dall' articolo 44 della legge sulle adozioni, secondo il quale un coniuge può benissimo riconoscere i figli naturali dell' altro, e senza limiti d' età. Non è una prova, non è neanche un indizio, ma Donato Pianta, il sostituto procuratore del Tribunale dei minori di Brescia incaricato di seguire l' inchiesta, deve tenerne conto. "Non sappiamo ancora nulla" , dice. "Potremmo ordinare il test del Dna per avere informazioni sulla paternità di Job... Ma è davvero competenza nostra? Noi ci occupiamo di riconoscimenti di paternità, i disconoscimenti toccano al Tribunale ordinario" . C' è imbarazzo da parte del magistrato, paura forse che si crei un nuovo caso Serena Cruz. "Ho letto le carte di quel processo. Mi hanno gettato nello sconforto: un ministro della Giustiza che attacca i magistrati di Torino per la decisione di togliere la bambina ai Giubergia..." , ricorda Donato Pianta, citando Giuliano Vassalli. Che tra l' altro non fu il solo a prendere posizione: la polemica contro i giudici vide schierati, a fianco dei coniugi di Racconigi, intellettuali come Natalia Ginzburg, autrice del libro pubblicato con Einaudi Il caso Serena Cruz, ma anche i vertici delle istituzioni, dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a quello della Camera Nilde Iotti. Arrivarono in Parlamento 15 nuove proposte di legge: un vero e proprio movimento trasversale, persino all' interno di quei partiti, come la Dc e il Pci, che nel 1983 avevano tenuto a battesimo la legge. Evidentemente, si disse, qualcosa nella 184 non ha funzionato. La legge, nata per essere dalla "parte del bambino" , si è forse trasformata in un' arma a doppio taglio, in uno schema inflessibile che non dà spazio alle ragioni dei sentimenti? I casi scoppiati dopo Serena Cruz, sono stati la prova ulteriore di quanto ogni decisione in tema di adozioni sia delicata. Prima storia: Christian Zanon, 6 anni. "La legge separa due fratelli" , scrive ad aprile del 1989 la Repubblica. Christian era stato affidato dai genitori naturali, insieme all' altro figlio, Demis di 16 anni, alla Casa del fanciullo di Domodossola. Ma i giudici decidono che dev' essere dato in adozione a una coppia sconosciuta. Gli appelli del padre e del fratello maggiore risultano vani. Altra storia, marzo 1990: una famiglia povera a numerosa di Milano, i Notarnicola, scopre che Sebastiano, il figlio rapito 12 anni prima da una sconosciuta, adesso si chiama Hermann e vive con i coniugi Croci, di Ome, in provincia di Brescia, che finiscono in carcere. In attesa di reinserirlo nella vecchia famiglia, il Tribunale dei minori mette il ragazzo in un istituto di Pavia: è ancora lì. Qualche mese dopo, altra vicenda dolorosa: Dario Luman, 4 anni, conteso pure lui da quattro genitori, quelli naturali, i Cristino, che si rifanno vivi a tre anni dalla nascita, e quelli adottivi, i Luman appunto. Dopo 14 mesi di fuga, questi ultimi si arrendono alla decisione dei giudici di Firenze che impongono di ridare il bambino alla famiglia d' origine. E' adesso il turno di Maria Zulima? L' accusa è agguerrita, ma altrettanto la difesa. Il fronte che si era costituto con Serena Cruz minaccia di rimettersi in armi per sostenere, comunque vada la faccenda, le ragioni di Lina Wertmuller. Un segnale? Ricominciano le pressioni per una modifica della 184. In casa socialista si riaffaccia la proposta della senatrice Elena Marinucci: "Velocizzare i processi, impedire che tra un ricorso e l' altro i bambini contesi finiscano in istituto" . E poi: "Perché non dovremmo concedere, come in America, l' adozione anche a chi non è sposato?" Terzo punto: "La riforma del Tribunale dei minori. Trasformiamolo in una sezione specializzata del Tribunale ordinario" . Altro partito, altro attacco. Il senatore democristiano Antonio Graziani, l' ex direttore del Popolo, schieratissimo ai tempi della vicenda Cruz contro l' "accanimento e la cattiveria dell' Anfaa" , oggi ripete: "Chi si occupa di adozioni deve avere requisiti che i giudici di Torino non hanno dimostrato di possedere. Hanno agito sulla pelle di Serena..." Le "ragioni del cuore" si fanno largo. Le sente persino il ministro agli Affari sociali, Rosa Russo Jervolino, una delle madrine a suo tempo della 184. Sulle critiche alla legge però va cauta: "I principi ispiratori non si toccano. A decidere sullo stato di adottabilità di un bambino e sull' idoneità della famiglia non può che essere il Tribunale dei minori. Certo, bisogna velocizzare i tempi, ma soprattutto modificare l' istituto dell' affidamento: non è un caso che in Lombardia, dove i servizi funzionano, sia decollato subito, e al Sud invece no" . In quanto alla bambina della Wertmuller, neanche il ministro vuol far delle previsioni. Commenta solamente: "Sono d' accordo anch' io con Furio Colombo... Ma non attaccherei l' Anfaa. I suoi soci agiscono in buona fede, vogliono combattere il mercato dei bambini" . Un mercato in espansione. Lo dimostra il caso calabrese di Pazzano (Pasquale Russo e la moglie, Anna Corasaniti, che svendono i figli per duecentomila lire l' uno), lo confermano i dati ufficiali. Come il dossier pubblicato dall' Ispes, nel 1989: un giro d' affari spaventoso, quello dei bambini venduti, soprattutto nei Paesi del Terzo mondo, dove con 10 mila dollari (neanche 12 milioni di lire) è possibile scegliersi il figlio e con 15 mila averlo proprio come lo si vuole: sesso, peso, età, colore degli occhi e della pelle. Secondo il quotidiano israeliano Yedioth Aharonot, citato dalla ricerca, esisterebbe addirittura un servizio a domicilio. Trovare il bambino sulla porta di casa costerebbe però un po' di più: 25 mila dollari. Una volta comprato, il figlio deve comparire come proprio. Gli espedienti per aggirare la legge non mancano. Uno potrebbe essere appunto la falsa paternità di cui sono sospettati Enrico Job e Lina Wertmuller. Ma ce ne sono altri. A Palermo nel 1987 viene scoperto un giro di falsi affidamenti usati come contropartita elettorale: l' accordo stilato tra i genitori naturali e quelli acquisiti, con la complicità di alcuni funzionari dell' amministrazione locale, garantiva in cambio di un certo numero di voti l' affidamento a lungo termine. Episodi più recenti? Racconta Gabriella Merguici, direttrice del Ciai, Centro italiano per le adozioni internazionali, uno dei sette organismi autorizzati ad occuparsi delle pratiche all' estero: "Proprio in Brasile abbiamo appena bloccato un' italiana arrivata con un falso certificato di gravidanza e una falsa ecografia. Dovevano servire a legittimare una maternità sicuramente comprata" . Lo scorso autunno è stato scoperto un traffico di bambini brasiliani, gestito da un sacerdote, padre Lucas, al secolo Luca Di Nuzzo, che avrebbe avuto come vivaio un orfanatrofio vicino a Bahia. Un commercio di migliaia di ragazzini, ceduti a 30 milioni di lire l' uno. Una tratta che dovrebbe scomparire: se fino al 12 ottobre gli acquisti nelle favelas potevano essere favoriti da una legge che chiudeva un occhio sulle "cessioni private" dei bambini, adesso il Brasile si è uniformato al criterio "legittimante" proprio della legge italiana e nuovi vincoli hanno messo un freno alla compravendita. All' estero, comunque, continuano a guardare molti genitori italiani desiderosi di un figlio che non hanno, e la legge 184 incoraggia questa scelta internazionale. Lo dimostrano le cifre sulle adozioni: solo 6.497 coppie, su 27.438 giudicate idonee, sono riuscite ad avere un bambino italiano, mentre 10.381, su 12.205 che avevano fatto domanda, ne hanno ottenuto uno straniero. Un libro però, di recentissima pubblicazione, Lettera a un figlio peruviano, scritto in prima persona da un neuropsichiatra infantile, Piero Giorgi (edizioni Marietti, lire 18 mila), racconta dell' altro: attese, speranze deluse, incubi e sogni, un groviglio di cavilli burocratici e giuridici in cui l' autore si è trovato invischiato nel tentativo di adottare un piccolo meticcio. Anche Maria Zulima arriva dall' estero. E' solo un caso? La Francia non è certo un Paese sospetto di far mercato dei propri figli. Le sue leggi permettono però, e la storia raccontata da Enrico Job ne è una prova, che le madri naturali spariscano senza obbligo di riconoscere le proprie creature. In quello che è già diventato il "caso Wertmuller" , la difesa può giocare su un pezzo di carta, un estratto di nascita che non lascia dubbi. Nome: Maria Zulima Angelica Antonia. Cognome: Job. Basterà a proteggere la piccola? BOX RIDATECI SERENA I coniugi Giubergia all' attacco per riavere la "loro" bambina. "Serena deve tornare a casa. Non la lasceremo ai nuovi genitori. Loro hanno scritto in una lettera alla Stampa di averle ridato il sorriso, ma perché, noi per caso la facevamo piangere?" . I coniugi Giubergia non si arrendono. Due anni fa i giudici di Torino hanno tolto loro la piccola filippina Serena Cruz, accusandoli di averla adottata tramite un espediente illegale. Ora Rosanna Giubergia annuncia che lei e il marito Francesco daranno nuovamente battaglia per riavere la bambina, che nel frattempo è stata affidata ad una coppia tuttora nascosta dietro l' anonimato. Cosa fa pensare ai Giubergia di riuscire a ribaltare a proprio favore le 7 decisioni contrarie della magistratura? "Con un nuovo documento rilasciato dalle autorità di Manila" , spiega il loro avvocato Nino Marazzita. Si tratterebbe di un certificato in cui si attesta, stavolta in modo definitivo, che Francesco Giubergia è il padre della bambina. Non è la prima volta che i coniugi di Racconigi tentano di dimostrare che Serena non è arrivata in Italia violando la legge 184 sulle adozioni. Ci avevano provato anche due anni fa, presentando attestati di nascita e di paternità, che i giudici della Corte d' appello di Torino avevano però dichiarato falsi. Ma adesso che la polemica sulla legge del cuore contrapposta a quello dello Stato si è riaperta con il caso Wertmuller, i Giubergia hanno ripreso coraggio. Tanto che non esitano a schierarsi al fianco della regista: "Maria Zulima, la figlia adottiva della Wertmuller, non dev' essere portata via. Che importanza ha che i suoi genitori siano vecchi? Sono in condizioni di volerle bene" . Testata Epoca Data pubbl. 20/03/91 Numero 2110 Pagina 46 Titolo LE CIFRE DELLA VERGOGNA Autore Maria Grazia Cutuli Sezione STORIE Occhiello EMILIA CUCCAGNA Sommario Dal record nazionale degli atti osceni a quello del consumo di caviale, tutta l' Emilia peccato per peccato. Testo BOX Suicidi, aborti, droga, divorzi, eccessi in discoteca, stragi del sabato sera. Ma soprattutto l' amoralità del benessere, che segna l' Emilia Romagna con "stigmate di morte e di malattia" . Fin qui le accuse papali. E le prove? Cifre alla mano, fino a che punto questa regione, la seconda in Italia dopo la Lombardia per reddito pro-capite, può essere considerata una specie di taverna dei sette peccati? Sesso e atti impuri. Una prima risposta viene dalle statistiche giudiziarie dell' Istat, anno 1988: denunciati 396 delitti contro la moralità pubblica e il buon costume a fronte di una media nazionale di 248. Ugual "primato" l' Emilia vanta anche per gli atti osceni e le violenze sessuali: 208 episodi nel primo caso, 73 nel secondo (ma nessuna denuncia, a parte una a Modena, per sfruttamento della prostituzione). Conferme al "rifiuto della vita" lamentato da Wojtyla? Le interruzioni di gravidanza sono 15 ogni 1000 donne, un tasso inferiore in Italia solo a quello della Puglia. C' è un contro-dato però: negli ultimi dieci anni, cosa che non è successa nel resto del Paese, gli aborti si sono ridotti del 40 per cento. Ancora molte le separazioni coniugali, 114 ogni 100 mila abitanti, cifra inferiore solo a quella della Liguria, e i suicidi, 13 ogni 100 mila abitanti, più che in ogni altra regione. La buona tavola. L' Emilia grassa e opulenta spende in cibi e bevande 6 mila miliardi l' anno: 190 mila lire al mese per abitante contro una media italiana di 182 mila lire (fonte Genesis). Il piacere della gola spinge spesso gli emiliani a pranzare fuori casa nei 1289 ristoranti della regione, dove lasciano in media 49 mila lire al mese, 16 mila in più di qualsiasi altro italiano. E abbondano in libagioni: ogni anno, oltre un milione di bottiglie di champagne e spumante. Sono inoltre i maggiori consumatori nazionali di caviale. Lusso e status symbol. Sorpresa: forse dipenderà dal reddito pro-capite (19 milioni e qualcosa per l' Emilia, 20 abbondanti per la Lombardia), fatto sta che nei consumi lussuosi i "peccaminosi" romagnoli vengono sempre battuti dai "severi" lombardi. Si prenda la voce automobile. Nella regione dello "scandalo" ne girano 2 milioni e centomila, cioè 52 vetture ogni 100 abitanti. Ma le più ambite sono le grosse cilindrate, Ferrari, Maserati, Lamborghini che tra l' altro si producono qui. Secondo l' ultima stima Aci, anno 1987, l' Emilia si trovererebbe però, con le sue 9700 vetture di lusso, al terzo posto, dopo Lombardia e Piemonte. Seconda alla Lombardia anche per il consumo di elettrodomestici, televisori e apparecchi telefonici, compresi i portatili. E non solo. Dicono alla Imec, azienda leader della biancheria intima: "Le maggiori consumatrici di guepière, giarrettiere e merletti? Le lombarde, e subito dopo le emiliane" . Stessa storia con le pellicce: al primo posto nei consumi nazionali la Lombardia (49 per cento), poi (36 per cento) l' Emilia Romagna. Quelli della notte. La "strada della perdizione" denunciata dal Papa ha un percorso obbligato, quello che da Bologna porta alle mille luci della Riviera: con i suoi 554 locali disseminati lungo la costa e nelle varie città, Parma e Bologna in testa, l' Emilia Romagna realizza ogni anno oltre 115 miliardi (sommando poi le spese per lo sport, il cinema e lo spettacolo si arriva a 380). Ma anche stavolta la Lombardia viene prima: 720 discoteche e più di 123 miliardi di guadagno. Morale: che sia lì, a Milano e dintorni, la vera residenza italiana del demonio? Testata Epoca Data pubbl. 13/03/91 Numero 2109 Pagina 68 Titolo VOGLIO UNA FESTA ESAGERATA Autore DI MARCO CORRIAS E MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Sommario Si chiamano rave party, feste del delirio, e sono nate in Inghilterra. Misteriose, ossessive, imbottite di alcol e di extasy adesso sono arrivate anche in Italia. Perché fanno impazzire i giovanissimi? Dalla tragedia sulle colline di Firenze alla maxiretata di Como, viaggio tra i segreti di un "movimento" ancora tutto da capire. Didascalia Un gruppo di partecipanti al "rave" di Monterotondo, Roma, del 16 febbraio. Ospite d' onore Adamsky, il re dei dee-jay internazionali. FINCHE' L' ALBA VERRA' A fianco: fans dell' house music a Monterotondo. Sotto: perquisizioni del servizio d' ordine all' ingresso del teatro-tenda. I rave party durano quasi sempre fino a mattino inoltrato. SACRO E PROFANO A fianco: la villa di Fino Mornasco, Como, dove la mattina del 17 febbraio un rave fu interrotto dalla polizia. Sotto: il "santino" d' invito e un biglietto per la festa di Fino Mornasco. Testo Il primo choc arriva il 15 settembre dell' anno scorso: in una villa alle porte di Firenze, dove ottomila giovani provenienti da tutta Italia ballano sotto la pioggia spinti da un ritmo assordante e ossessivo, scoppia una rissa e un ragazzo romano, per sbaglio, viene ucciso a coltellate da un amico. I giornali vanno sui toni forti e titolano: "Bolgia infernale" . Le cronache raccontano una notte fuori misura, condita di alcol e droghe di tutti i tipi. L' Italia ufficiale per la prima volta sente parlare di "rave party" , letteralmente "feste del delirio" . Il secondo choc cinque mesi dopo, il 16 febbraio. In una villa di Fino Mornasco, presso Como, al termine di una notte imbottita di musica e extasy, la droga in pillole degli anni Novanta, la polizia ferma 300 ragazzi: molti sono figli della buona borghesia brianzola e milanese, altri arrivano da Roma, Firenze, Novara, persino dalla Francia. Anche questa volta i giornali parlano di droga party. E rispunta la parola "rave" . Anzi, si parla di warehouse (dai magazzini che in Inghilterra spesso ospitano questi party). Gli italiani - non tutti frequentano discoteche - capiscono poco leggendo le cronache: ma cos' è il rave? Chi l' ha importato? Come è arrivato a contagiare migliaia di ragazzi diventando il nuovo movimento di "tendenza" ? La carica trasgressiva dei mega raduni allarma. La polizia li tiene discretamente d' occhio, tanto che il 16 febbraio la questura di Como manda due agenti a comprare i biglietti di Fino Mornasco, perché si infiltrino alla festa e scoprano se si fa davvero uso di droga. Il "movimento" nasce in Inghilterra quattro anni fa sull' onda del proibizionismo thatcheriano. All' inizio si chiamavano "acid party" : tante pastiglie di extasy, la droga sintetica più efficace e più economica della cocaina, la certezza della trasgressione senza limiti e lo stordimento di un ritmo ripetitivo e ossessionante (acid music) ballato fino a tarda mattina. Poi, Margaret Thatcher decise di vietarli, e così i giovani inglesi aggirarono l' ostacolo organizzando le feste in luoghi tenuti segreti fino all' ultimo. Unico riferimento, stampato sui biglietti d' invito, un numero di telefono: la traccia per arrivare al gran finale, quasi sempre in un capannone abbandonato (warehouse, appunto) delle periferie metropolitane. Sono, più o meno, gli ingredienti usati per la festa di Fino Mornasco: il biglietto d' invito è un "santino" della madonna di Lourdes, su cui sono stampati cinque numeri di telefono per avere le informazioni giuste e tre aggettivi della sacralità cristiana: gaudiosi, dolorosi, gloriosi; il mistero di un appuntamento notturno sotto le mura del cimitero monumentale di Milano; una decina di "pierre" sguinzagliati per l' Italia a vendere una notte di musica e follia guidata da cinque dee-jay; una villa, di proprietà di Augusto Rossi, industriale di Fino Mornasco, persa nella nebbia del lago di Como. Cinquecento ospiti (età media 20 anni) pronti a tutto, dopo aver sborsato 60 mila lire per l' ingresso. Quando, alle otto del mattino di domenica 17 febbraio, la polizia è intervenuta, ha trovato i segni di una grande baldoria: una decina di grammi di stupefacenti e 300 ragazzi ancora in sovraeccitazione. Una festa privata di rampolli della ricca borghesia lombarda? Qualcuno, a giudicare da un elenco dei partecipanti mai reso noto dalla magistratura di Como, sostiene di sì. Ed era un droga party, come annunciavano certi titoli? "Macché" , dice uno degli organizzatori, Cristiano Ronconi, milanese, 25 anni, capelli biondo platino e il segno della pace stampato sulla nuca, "era una warehouse in piena regola, una festa che di segreto aveva solo il luogo. L' occasione per stare insieme e fare il pieno di musica forte" . In Italia questi raduni, capaci di spostare masse enormi di giovani da una regione all' altra, arrivano un anno fa e fanno subito migliaia di proseliti, diventando fenomeno collettivo e trasversale. Hanno nomi che suonano come slogan: The rose rave, il delirio della rosa, The first real warehouse, il primo vero warehouse, Catch the world, afferra il mondo, Stop the violence, ferma la violenza. E anche, con uno stravolgimento voluto dell' ortografia, Back to the Phuture, ritorno al futuro. Si tengono ad Aprilia, provincia di Latina, a Peschiera sul Garda, a Borgo Sabotino, nella periferia milanese, sulle colline di Firenze. Un business mica male per gli organizzatori, anche al netto delle spese: migliaia di ospiti, ciascuno dei quali paga dalle 40 alle 70 mila lire. I primi tempi le warehouse non hanno vita facile. Un esempio: il Doing, una discoteca di Aprilia che il primo giugno del 1990 ospita il Rose rave (tremila persone), viene chiuso per sette mesi. La polizia sospettava che vi si fosse spacciata droga. "Nessuna persecuzione verso queste feste" , dicono al ministero degli Interni, "il fenomeno non ci preoccupa. A noi basta che siano in regola con i permessi della questura" . Il tam-tam che annuncia un party arriva attraverso la rete delle radio private e delle discoteche. A diffondere la notizia sono spesso i dee-jay: "Attenti ragazzi, si prepara qualcosa di grosso. Trovate i biglietti e tenetevi pronti. Sarà una festa grandiosa" . La risposta è immediata. Migliaia di appassionati della musica più hard si mettono in caccia, dai negozi di dischi ai bar di periferia, ovunque siano in vendita i preziosi ticket. Sono i maratoneti del ballo, al suono di "acid house" , erede della musica psichedelica degli anni Sessanta, di "ambient house" , genere più morbido che si alimenta con le nuove filosofie americane della New Age, della "tecno" e della "garage music" , ricca di infiltrazioni jazz. Pronti ad affrontare un viaggio di centinaia di chilometri pur di esserci, contarsi, stordirsi con questi sound "casalinghi" (da cui il nome "house" ), fatti solo di tastiere, di infernali aggeggi elettronici, di sintetizzatori. Il tutto spesso condito dalla "cala" , come in gergo tutto italiano viene chiamata l' extasy. "Divertente?" , dice Aldino, dee-jay milanese, "no, non è per niente divertente; è esasperato" . Le feste di Firenze e di Fino Mornasco hanno però dei precedenti: la prima volta del rave in Italia è stata il 5 maggio dell' anno scorso, a Pantigliate, hinterland milanese, in un capannone preso in affitto da Sergio Cagnazzo, uno degli organizzatori di Fino Mornasco. In onore di Alessandro Manzoni (e della sua ode Cinque Maggio 1821) il party si chiamava Ei fu siccome immobile. Ma di immobile, a quella festa, c' era ben poco: 500 ragazzi scatenati restarono in pista fino a mattino inoltrato. Alcuni giorni dopo la polizia perquisì le case dei promotori. Tra questi anche Ruggero Daghini, 33 anni, per sei anni animatore delle notti di Ibiza e oggi direttore artistico della discoteca Le Cinema di Milano. "Dissero che cercavano armi e terroristi, ma era solo una scusa" . In realtà, fa capire Daghini, la polizia cercava droga, collegandola all' organizzazione delle warehouse. Tutt' altro che intimorito, Daghini con altri soci, un mese dopo, organizzò un altro party a sorpresa. Questa volta l' appuntamento era a bordo di un battello ormeggiato a Peschiera, sul lago di Garda. Per raggiungere lo "Space Boat" l' organizzazione mise a disposizione dei millequattrocento ospiti alcuni pullman da Milano. Solo le cronache dei quotidiani locali diedero notizia dell' avvenimento. Ma il boom di queste nottate, alimentato anche dalla segretezza, era già scoppiato. "Macché segretezza. E' solo un sistema per selezionare la gente" . Gianluca Polese, titolare di un negozio fotografico di Roma che è stato tra i cinque punti di prevendita dei biglietti di Fino Mornasco, è uno che questo mondo lo conosce bene. "Qui non siamo in Inghilterra. E le warehouse nostrane hanno tutti i timbri della legalità: permessi della questura, percentuale Siae, servizi d' ordine. Il mistero sul luogo della festa serve a impedire che arrivi gente non desiderata: borgatari e sottoproletari, o fanatici ultrà degli stadi. Quelli che noi chiamiamo non borghesi" . Ed è proprio un gruppo di ultrà della Fiorentina, la notte del 15 settembre 1990, a scatenare il putiferio a Cafaggiolo, in una villa medicea nella valle del Mugello. Quella notte ci scappa il morto: Angelo Fedele, 19 anni, romano, viene accoltellato per errore, durante una rissa, da un suo amico. Altri quattro ragazzi restano feriti. Luca De Gennaro, speaker di Rai Stereo Uno e giornalista specializzato in musica, quella sera c' era. "E' stato come a Woodstock" , dice, "ma mancava l' organizzazione giusta. Ottomila persone si sono riversate in uno spazio che ne poteva a malapena contenere la metà. Eravamo praticamente al buio. A mezzanotte, quando la festa è cominciata, pioveva a dirotto. C' era gente dappertutto. Il bar è stato travolto in pochi minuti. Alla fine era inevitabile che accadesse il fattaccio" . Anche a Cafaggiolo si è parlato di droga. Ancora extasy. "Droga? Forse" , dice prudente De Gennaro, "ma non più di quanta ne circoli in una qualsiasi discoteca romana a fine settimana. D' altra parte la house-music sta all' extasy come il rock psichedelico stava all' Lsd, il punk rock all' anfetamina, e il reggae alla marjiuana" . Quella di Cafaggiolo non era però una vera warehouse. Gli organizzatori (The Phuture di Roma, Cecilia Deconstruktion di Firenze, Pussy Galore' s di Milano), si sono inseriti in un nuovo filone: i rave party, le feste del delirio, non necessariamente segrete, frequentate da migliaia di fans della house-music. "In pratica" , dice De Gennaro, "sono la continuazione dei grandi concerti degli anni Settanta. Solo che qui, invece dei gruppi musicali, si esibiscono i dee-jay" . Sono loro, i dee-jay, professionisti del sintetizzatore, i nuovi idoli delle notti italiane. Corteggiati, imitati, strapagati. Come Frankie Bones, un newyorchese di Brooklyn, tra i più quotati del momento, che in dicembre, alla discoteca il Cannetto, di Borgo Sabotino, ha incassato 5 milioni (con lui c' era anche Leo Marras, un sardo che anima le notti di Ibiza) per una serata cui erano presenti tremilacinquecento persone. Con lui, ma pagati meno della metà, gli italiani Daniele Davoli (produttore dei Black Box, un gruppo di Reggio Emilia che ha venduto in tutto il mondo quattro milioni di copie dell' ellepì Dreamland), e Andrea Gemolotto, un udinese che si definisce "dee-jay da afterhours" . Cioè uno che lavora nelle discoteche aperte dalle sei del mattino a mezzogiorno. "All' alba lo stato di trance o di estasi è stato raggiunto" , dice Giacomo Mojetta, nome di battaglia Spazio, manager di alcuni gruppi house a Milano, "grazie ai ritmi che per tutta la notte oscillano tra le 98 e le 130 battute al minuto. Il segreto è proprio qui: iniziare la serata a tutta velocità per poi scendere di tempo gradatamente" . La conferma che a quel punto del party la musica è solo un sottofondo viene da Luca De Gennaro: "Al Doing di Aprilia, alle 7,30 del mattino del 10 febbraio, al termine di una festa cui hanno partecipato 3500 persone, ho messo su persino Singin' in the rain, e la gente ballava ancora" . Segreti del mestiere. Un buon dee-jay deve conoscere alla perfezione il suo pubblico. Per questo, gli organizzatori (Dynamic Grooves e The Phuture di Roma) del grande rave che si è tenuto il 16 febbraio al teatro tenda di Monterotondo, vicino a Roma, hanno reclutato sei tra i più quotati specialisti italiani. Ospite d' onore era il re dei dee-jay internazionali: Adamsky, 20 anni, che al sound sincopato della Tecno-House unisce personali esibizioni alla tastiera. Adamsky è rimasto sul palco appena tre ore, ma i suoi fans sono restati in pista fino alle otto del mattino. Infaticabili, trasgressivi e, soprattutto, innamorati dell' estetica. Il popolo del rave e della warehouse ha una sua filosofia. La sintetizza Cristiano Ronconi, uno dei "pierre" di Fino Mornasco che non a caso fa capo a un' organizzazione che si chiama "Aestethica Pulcherrima" : "Siamo gente di tendenza, borghesi innamorati della forma, della bellezza. Siamo il meglio della massa" . Una massa che ha persino i suoi sacerdoti. Uno di questi è un ragazzo biondo, alto, sempre curatissimo nell' abbigliamento. E' di Roma, ma compare a tutte le feste. Lo chiamano il Profeta. Testata Epoca Data pubbl. 27/02/91 Numero 2107 Pagina 32 Titolo CHE NOTTE QUELLA NOTTE Autore Maria Grazia Cutuli Sezione STORIE Sommario Verona, dicembre 1988, un party molto particolare. E il calciatore Caniggia fa un nome: "Diego" . Testo BOX Da Napoli a Verona per una storia di notti brave e sniffate di coca dove ricompare, sia pure molto sullo sfondo, l' ombra di Maradona. Due anni fa, la magistratura mette sotto inchiesta un calciatore, Claudio Paul Caniggia, 24 anni, oggi in forza all' Atalanta. Argentino pure lui, amico intimo del capitano del Napoli, il giovane campione tra dicembre 1988 e gennaio 1989, al suo debutto italiano nella squadra del Verona, viene incastrato con una serie di intercettazioni telefoniche nelle quali si fa anche il nome di Maradona. Caniggia, in quelle telefonate, si lamenta per l' assenza della "firula" . Poche frasi, che bastano però a portarlo in tribunale con il sospetto di traffico e consumo di stupefacenti, e a far scoppiare a Verona quello che ancor oggi viene ricordato come lo scandalo della "droga per vip" . Finiscono davanti al giudice, tra gli altri, Pietro Bologna, all' epoca 38 anni, pregiudicato di origini palermitane, Dario Mora, suo cognato, 31 anni, parrucchiere personale di cantanti e calciatori nonché organizzatore di festini audaci, più Nicoletta Strambelli, 41 anni, in arte Patty Pravo. Il processo si conclude con la condanna di Bologna e di Mora e l' assoluzione di Caniggia e Patty Pravo, entrambi prosciolti con l' articolo 80, quello che nella vecchia legge sanciva la non punibilità di chi fa uso personale di stupefacenti. Maradona resta fuori. Il suo week-end veneto (l' occasione è la partita di calcio Verona-Napoli), proprio nei giorni in cui scattano i primi controlli su Caniggia, semina però più di un sospetto. Sono solo piaceri d' alcova quelli che accomunano i due argentini o c' è dell' altro? Mora, "Lele" per gli amici, l' ex parrucchiere oggi addetto alle "pierre" di una discoteca di Piacenza, da più di un anno in libertà con la condizionale, ripete la versione già offerta durante gli interrogatori: "Che Maradona pippi o no, non è affare che mi riguarda. Io a lui ho procurato sempre e solo donne" . Anche quel sabato sera a Verona, 10 dicembre 1988? "Maradona era alloggiato all' Hotel Due Torri, in ritiro per la partita del giorno dopo. Gli avevo presentato due ragazze... Poi, verso mezzanotte ero andato a trovarlo" . Vladimiro De Marco, proprietario di un negozio d' abbigliamento al centro di Verona, rivela un altro particolare: "In albergo era venuto anche Pietro Bologna, il cognato di Lele. Voleva a tutti i costi avvicinare Maradona, ma lo bloccarono alla reception" . Perché? "Bologna era un tipo poco raccomandabile, conosciuto come spacciatore di cocaina..." . Mora ovviamente difende il cognato. L' ha fatto al processo, continua a farlo anche ora: "Bologna è un fan di Maradona" , ribatte, "voleva solo conoscerlo..." . E ci riesce, l' indomani, durante una cena al "Cenacolo" , che Mora ricorda così: "Mio cognato si fece fotografare con Diego, poi andò via. Non ci raggiunse nemmeno alla festa che ci fu dopo a casa mia" . Alla festa c' è invece Claudio Paul Caniggia. Un giro di telefonate collega lui e un altro calciatore argentino, Gustavo Delgado, a Dario Mora e Pietro Bologna. Si parla di "vino" , "pellicce" , "roba" , messaggi in codice che secondo gli inquirenti non lasciano dubbi: cocaina. Non manca però il sesso. Durante una di queste chiamate Caniggia racconta all' amico Delgado le imprese erotiche di "Diego, che si sta dando da fare" con una diciottenne in minigonna. Qualche giorno dopo, sull' auto di Delgado, la polizia trova una cannuccia con tracce di coca. A marzo arrivano sei mandati di cattura e due di comparizione, inviati dal sostituto procuratore Guido Papalia. Tra gli accusati per spaccio e detenzione di stupefacenti compaiono Dario Mora, Pietro Bologna, Gustavo Delgado, Claudio Caniggia. E Patty Pravo, finita nel giro dopo il Capodanno 1988 a casa di "Lele" . Maradona, quel 31 dicembre, è già lontano. Testata Epoca Data pubbl. 13/02/91 Numero 2105 Pagina 14 Titolo COME SE NIENTE FOSSE Autore DI RAFFAELA CARRETTA E MARIA GRAZIA CUTULI ha collaborato Mara Accettura Sezione EVENTO Occhiello EFFETTO GOLFO Sommario L' elezione in discoteca di Miss Kuwait. Le barzellette sconce su Saddam. Il tutto esaurito sulla costiera amalfitana, sulle piste da sci e anche per vedere a teatro "Troppa trippa" di Oreste Lionello. Dopo il coinvolgimento emotivo dei primi giorni, e nonostante il conflitto stia entrando nella fase più drammatica, l' Italia ha già cancellato la guerra. Aiutata da un grande alleato: la televisione. E la vita continua... Didascalia NOTTI FOLLI TIVU' D' EVASIONE GUERRA PER RIDERE SATIRA BALLANDO BALLANDO Appena un 20 per cento in meno di presenze nelle discoteche italiane dall' inizio della guerra. Alla Hollywood di Milano è stato lanciato con successo un mix musicale dal titolo "Desert Storm" . Testo "Il momento per debuttare è ottimo. La vera satira è l' altra faccia della tragedia" . "Gli italiani sembrano più preoccupati del campionato di calcio che del massacro quotidiano in Irak" , scrive il 31 gennaio il quotidiano giordano Al Ra' i. E il Jordan Times: "Malgrado una guerra universale stia sconvolgendo i popoli dell' Islam, in Italia sono cominciate le sfilate di moda" . Cosa direbbero questi giornali di fronte all' assalto ai botteghini per Troppa trippa, lo spettacolo serale del Salone Margherita di Roma con Oreste Lionello e il suo Bagaglino? Che penserebbero del mix musicale appena lanciato alla discoteca Hollywood di Milano dal titolo Desert Storm, e dell' elezione di Miss Kuwait? O dell' ultima sulla guerra in circolazione tra gli appassionati della barzelletta: "Sai che vuol dire saddamizzare? Metterglielo nel Kuwait" ? Un estremismo verbale, certo, che però ben sintetizza la voglia di sfogo popolare contro l' incubo. Altro sfogo, questo più redditizio: a Napoli, vincite milionarie al Lotto con il 41 e il 56, rispettivamente il "dittatore" e il "conflitto" . A tre settimane dall' inizio della guerra, il paesaggio italiano registra una normalizzazione perfino troppo rapida rispetto al coinvolgimento iniziale. E' vero che si assiste a un calo secco del 30 per cento nell' affluenza ai voli Alitalia, ma dove la paura di attentati viene meno, per esempio negli spostamenti con mezzi propri, il turismo continua come prima già dalla seconda domenica di guerra. Identico il traffico verso i laghi e verso Aosta, strapiena Capri e la costiera amalfitana, nessuna flessione sulle piste di sci. Ormai anche la tivù si ritira: il 31 gennaio appena il 37,98 per cento dell' edizione serale del TgUno è dedicata alle notizie del Golfo, contro l' oltre 90 per cento dei primi giorni, secondo le analisi di Valeria Ferro del Centro d' ascolto radicale. In Francia, per mancanza di spettatori (meno 50 per cento), chiude per tre settimane il simbolo del divertimento notturno, le Folies-Bergères. In Italia, chiude il Parlamento, in omaggio alla consuetudine che vuole i lavori fermi durante i congressi di partito. Qui si tratta di quello storico che vede la morte e la rinascita del Pci-Pds. Ma non è un po' troppo, s' interroga Lietta Tornabuoni sulla Stampa, privilegiare le esigenze dei partiti in un momento come questo? "Più le notizie di guerra diventano atroci, meno la gente pare interessarsene" , osserva ancora la Tornabuoni il 3 febbraio. E il giorno dopo il sociologo Luigi Manconi sull' Unità, a commento di un sondaggio demoscopico che dà in crescita il fronte degli interventisti (dal 32 per cento di inizio gennaio al 48 di inizio febbraio): "La guerra già ci appare familiare" . E' una normalità gridata da segnali che relegano al paleolitico del primo spavento l' immagine degli assalti ai supermercati, oggi infatti trabocchevoli proprio di quelle merci allora scomparse, pomodori pelati e pannolini per neonati, ma scontate secondo il criterio del "paghi due e prendi tre" , pur di smerciare il sovrappiù creato dalla previsione dell' assalto di lunga durata. "Il passo che dobbiamo tutti compiere, al più presto, è di accettare questa guerra come nuovo ordine del quotidiano" , invita positivamente Francesco Alberoni sul Corriere della Sera di lunedì scorso: già fatto, professore. Fino ad assumere un surreale effetto "dopoguerra" a conflitto in pieno svolgimento. Una sindrome ovvia e psicologicamente prevedibile? Oppure una conseguenza al troppo offerto da giornali e tivù? Sta di fatto che, proprio guardando la tivù, la sensazione di un ritorno all' antico è evidente. Dopo una piccola erosione iniziale, trionfano come sempre Crème Caramel (attestata su 9 milioni e 300 mila) e Beautiful (che addirittura nella puntata del 17 gennaio raggiunge il suo massimo con 7 milioni). E' quasi ritornato ai suoi orari canonici anche il servizio del Televideo (nei primi 5 giorni di guerra era in onda full time). Ma è soprattutto nell' informazione che il senso di normalità domina sovrano. In caduta libera le edizioni straordinarie dei tiggì: secondo i dati dello studio Frasi di Milano, dal 17 al 21 gennaio ci sono state 15 edizioni straordinarie per il TgUno, 28 per il TgDue e 34 per il TgTre. Dieci giorni dopo, dal 27 al 31 gennaio, le "straordinarie" del TgUno erano scese a 7 e quelle del TgDue addirittura azzerate (tenuta invece del TgTre con 26 edizioni speciali). Commenta Enrico Ghezzi, responsabile dei palinsesti di RaiTre: "Lo spettacolo della guerra continua. Ma ormai con i suoi orari. E con un piccolo paradosso: la saturazione emotiva è avvenuta su cose che non si vedevano. Adesso che cominciano a circolare i filmati sulle distruzioni di Bagdad e sui bambini feriti..." . Saturazione delle emozioni o primo sintomo di quel richiamo all' ordine diramato dal direttore generale della Rai Gianni Pasquarelli e dal presidente Enrico Manca? Per Luigi Mattucci, che della Rai è uno dei vice direttori generali, la spiegazione è più articolata: "All' inizio tutti hanno copiato il modello Cnn. Ma non avendo le notizie del network americano e nemmeno l' organizzazione, finiva che giornalisti e operatori raccontavano se stessi. Da ciò la confusione, il parlarsi addosso. Poi si è scoperto che persino la Cnn doveva fare i conti con la carenza d' informazione dovuta alla censura. Insomma, la guerra in diretta, ormai è chiaro, è la guerra meno conosciuta" . Sulla stessa linea, il direttore di RaiDue Giampaolo Sodano: "Ci sembra scarsamente professionale l' atteggiamento di chi ha provocato ansia nel pubblico, interrompendo la normale programmazione per dare a volte notizie già note. E a volte nessuna notizia. O di chi tenta di utilizzare strumentalmente la guerra per conquistare nuove collocazioni orarie" . A chi si riferisce Sodano? Forse al TgTre, che ancora il 26 gennaio dedica più dell' 87 per cento del suo tempo alle notizie del Golfo, e che proprio grazie al Golfo in alcuni giorni ha addirittura scavalcato l' avversario della Seconda rete (8 milioni di spettatori contro i 7 del TgDue, il 17 gennaio). O forse ai concorrenti Fininvest che non nascondono l' orgoglio per aver inventato dal nulla una sponda ben protetta d' informazione. Di fronte a un solo appuntamento giornaliero con Canale 5 News, prima del conflitto, giganteggia il totale di 120 interruzioni della normale programmazione per i notiziari Fininvest (da Studio aperto alle News), con punte di 5 milioni e 400 mila telespettatori nell' edizione delle 21,45. Dichiara Emilio Fede, direttore dell' impresa: "Berlusconi ci ha dato carta bianca. Per esempio, il diritto di interrompere i programmi con un preavviso di 5 minuti per segnalare con il massimo della tempestività le notizie" . Un' esperienza destinata a proseguire. Proprio in questi giorni è allo studio di Giorgio Gori, responsabile dei palinsesti, una nuova ricomposizione dei programmi che tenga conto delle esigenze informative. Un altro dei fronti su cui l' effetto Golfo prometteva di lasciare segni indelebili è quello della pubblicità. Nei primi giorni del conflitto, il mondo delle agenzie è stato percorso da brividi freddi. Causa: notizie in arrivo dall' America su disdette di grandi multinazionali come Coca Cola o Pepsi, decise a ritirare in tutto o in parte le proprie campagne per la paura di un devastante effetto controproducente tra l' effimero della way of life dello spot e l' immagine di morte in arrivo dal deserto. I brividi si sono fatti raggelanti con la diffusione dei dati Upa (l' associazione degli utenti pubblicitari italiani): un calo del 22 per cento sui quotidiani, del 10 sui periodici, del 7 sulla tivù (salvata dai tempi lunghi, almeno 60 giorni, occorrenti per la disdetta degli spot). In realtà anche in pubblicità la grande paura sembra rientrata. Dichiara Gavino Sanna, direttore creativo della Young and Rubicam: "A parte la preoccupazione di alcune aziende di far slittare lontano dai telegiornali i propri messaggi, nessuna ha mai veramente pensato a un ritiro. Ma a ridimensionare le cose è stata soprattutto l' invisibilità di questo conflitto. Non sembra la guerra. Sembra il trailer della guerra, lo spot della guerra. Con, in mancanza di notizie, le figurine Panini degli inviati" . Anche per Angelo Usai, 60 anni, ex direttore della McCann Erickson, il futuro della pubblicità si annuncia senza scosse. "Da quanto ne so, le agenzie che oggi impostano le campagne stanno lavorando senza cercare a tutti i costi variazioni significative di stile. Del resto chi l' ha detto che la guerra aumenti il bisogno di penitenzialità? Durante il secondo conflitto mondiale, il fascismo aveva proibito i balli. Ebbene, io c' ero e me lo ricordo: non si è mai ballato tanto tra le pareti domestiche" . La differenza è che adesso si balla anche pubblicamente (appena un calo del 20 per cento nelle discoteche); magari, come suggerisce Roberto Galli della discoteca Hollywood di Milano, "esibendo l' edizione del mattino del quotidiano con le ultime sulla guerra, per abbordare le ragazze in pista" . Nei cinema, a essere penalizzate sono state soprattutto le pellicole uscite a Natale (meno 7 per cento secondo le cifre dell' Agis), mentre vanno benissimo i nuovi film, Papà ho perso l' aereo e Uno sconosciuto alla porta. Addirittura in crescita il pubblico dei teatri: a Milano, nella settimana dal 21 al 27 gennaio, si è registrato un incremento di quasi l' 8 per cento rispetto alla precedente. E al Sistina di Roma trionfa con il tutto esaurito il trio comico Lopez-Marchesini-Solenghi. Invece butta male, anzi malissimo, per l' allestimento previsto al Carignano di Torino di La vita offesa, storia e memoria dei lager nazisti nel ricordo dei sopravvisuti, a cura di Luca Ronconi. "Abbiamo enormi difficoltà" , ammette in un soffio il responsabile della programmazione Angelo Pastore. Testata Epoca Data pubbl. 13/02/91 Numero 2105 Pagina 19 Titolo RIDIAMOCI SOPRA Autore Maria Grazia Cutuli Sezione EVENTO Occhiello EFFETTO GOLFO Sommario Le vignette di Forattini, il nuovo "Cuore" di Serra, gli sberleffi di Greggio... La satira va al fronte con un dubbio: si può ridere con la guerra? Didascalia PAMELA CI DISTRAE Pamela Prati, soubrette di "Crème Caramel" . Dice Pier Francesco Pingitore, ideatore del programma: "La gente non può pensare alla guerra 24 ore su 24. Ha voglia di distrarsi..." DI STRISCIO Ezio Greggio, conduttore di "Striscia la notizia" , tra due vallette della trasmissione: "Ridicolizziamo gli inviati al fronte con le maschere antigas ma anche Emilio Fede che esulta perché è il primo ad annunciare l' inizio del conflitto" . TRAGEDIE DI CUORE Sopra: Michele Serra, direttore del nuovo "Cuore" . A sinistra: la locandina del primo numero autonomo dall' "Unità" . Testo Martedì 15 gennaio, giorno dell' ultimatum, a radio Gerusalemme risuonavano le note di una canzoncina: "Oh Saddam, questi non sono gli iraniani, sono gli americani. Esci da là prima del bum bum" . Nello stesso momento, per le strade della città un gruppo di giovani annunciava per la serata "l' ultima festa prima della fine del mondo" . La guerra insomma non era ancora cominciata, che già circolava il primo antidoto alla paura: la satira. Non solo in Israele. In Italia, il 16 gennaio Giorgio Forattini si è presentato su Repubblica con una vignetta "en noir" (un teschio con la maschera antigas), ultima di una serie che aveva già raffigurato le spiagge del Kuwait brulicanti di scheletri e Shamir "saddamizzato" dal dittatore iracheno. C' è poco da ridere? "Al contrario" , dice Forattini, "è proprio il momento di dimostrare che non abbiamo tabù, che anche la guerra con le sue assurdità dev' essere oggetto di satira" . In che modo, però? In America, alcuni giornali, dall' Herald Tribune al Washington Post, hanno dato spazio alle "strisce" antimilitariste di Garry Trudeau e a quelle di "Zorro" , pseudonimo usato da un soldato che invia direttamente dal Golfo storie di marines che si impiccano, truppe cotte allo spiedo, sergenti disperati. Una macabra rappresentazione, che presto arriverà anche in Italia sulle pagine di Linus. Qui da noi però la satira di guerra è ben altra cosa. "E' la prima volta che tocca quelli della mia generazione. Siamo attratti, ma anche impreparati" , dice Michele Mozzati, quarantenne autore di testi satirici in coppia con Gino Vignali. E giustifica così il disorientamento di cabarettisti, fumettisti, umoristi che, è il caso di dirlo, si trovano tra due fuochi, anzi tre: ridicolizzare la guerra, farlo possibilmente senza irritare la sensibilità già scossa della gente (proprio per questo, il dissacrante WarBlob di RaiTre ha avuto vita brevissima), e infine tener conto del fatto che il pubblico, a tre settimane dal conflitto, comincia a stancarsi di bombe e disastri. Dalla tivù, un esempio piccolo ma significativo: Un pesce di nome Wanda che batte 6 milioni a 4 la puntata bellica di Mixer. E proprio la tivù è uno dei terreni dove meglio si misurano i diversi atteggiamenti della satira, o presunta tale, rispetto ai venti di guerra. Se la Rai con Crème Caramel, il programma di alleggerimento del sabato sera, ha preferito parlar di Golfo il meno possibile, Canale 5 l' ha invece preso di petto. "All' inizio" , racconta Antonio Ricci, ideatore di Striscia la notizia, il tiggì satirico della Fininvest, "avevo pensato di sospendere la trasmissione. Poi abbiamo deciso altrimenti: andare contro la retorica trionfalistica degli altri telegiornali" . Risultato? Dando al generale Schwarzkopf la voce di Ollio, Striscia la notizia è tornato in quota: 5 milioni di spettatori a sera contro i 3 delle puntate trasmesse subito dopo l' ultimatum. Ezio Greggio, conduttore della trasmissione insieme a Raffaele Pisu, il vecchio simbolo pacifista bene in vista sul risvolto della giacca, spiega: "Ridicolizziamo i cronisti con le maschere antigas, ma ci prendiamo gioco anche del "nostro" Emilio Fede che la notte del primo attacco si è presentato in tivù gridando: pensate che fortuna, siamo noi di Canale 5 i primi ad annunciare l' inizio del conflitto" . Se con Striscia la notizia l' ironia si ferma sulle trincee del gusto nazional popolare, altri militi occupano fronti più avanzati. Sono le reclute di Michele Serra, direttore del nuovo Cuore, settimanale da 265 mila copie di tiratura che ha avuto la sventura di debuttare, separato dall' Unità, proprio in piena guerra. "Ma quale sventura, il momento è ottimo" , obietta Serra. "Non siamo qui a far barzellette, ma satira. E la satira nasce sempre da cattivo umore, da disagio, da indignazione. E' l' altra faccia della tragedia" . Se il titolo di copertina invita a una risata aperta, "Usa in ginocchio, è arrivato il conto dell' albergo di Peter Arnett" , lo strillo di locandina dell' ultimo Cuore, "Dio o Allah, chi ce l' ha più grosso?" , echeggia toni da Il Male, settimanale di battaglia degli anni Settanta. Toni di un' altra epoca, che si possono ritrovare anche in teatro, con Dario Fo che presenta in questi giorni una nuova edizione di Mistero buffo riscritta proprio a misura di guerra: "Questo conflitto è di per sé una barzelletta" , dice, "l' idiozia dei generali, i carri armati falsi, le missioni che falliscono, migliaia di preservativi usati per le canne dei fucili e le soldatesse che invece restano incinte..." Dall' altra parte della barricata, in ogni senso, Pier Francesco Pingitore, mente di Crème Caramel: "Il pensiero della guerra non può occupare la testa degli italiani 24 ore su 24. La nostra vita è al 90 per cento quella di prima: la gente ha voglia di fare dell' altro, di divertirsi, di distrarsi" . E la banda di Pippo Franco è lì apposta. Non c' è invece Piero Chiambretti, non tanto perché già impegnato in Goodbye Cortina, dedicato ai Paesi dell' Est, quanto per una scelta quasi politica: "Io faccio satira sul posto e farlo da Bagdad, con le bombe in testa, non è il massimo. Poi ho un odio antico per tutto quello che è militare, la naja ho persino pagato per non farla. Insomma, questa guerra non mi avrà" . Risate strappate per dimenticare, risate amare, risate demenziali e persino, come nel caso di Chiambretti, risate negate. E la guerra un po' si allontana. Ancora un anno fa, la tormentata Beirut continuava ogni sera, tra il sibilo delle bombe e lo scoppio dei mortai, a dare feste da ballo nei suoi locali notturni. Con il pubblico che schiamazzava ebbro e urlava al disc-jockey: "Chiudi la porta, Joe, e alza il volume, così non sentiamo più nulla" . Testata Epoca Data pubbl. 06/02/91 Numero 2104 Pagina 38 Titolo MA PAPA' MI MANDA SOLO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello SUPERBAMBINO Sommario Dieci anni appena. Ma grintoso, freddo, sicuro di sé come neanche un adulto. Dopo quattro mesi di prigionia in una grotta, le dichiarazioni in tivù di Augusto De Megni hanno stupito l' Italia. Un bambino fenomeno? Andando a parlare con i suoi compagni di classe si scopre che... Didascalia Augusto De Megni, 10 anni, al commissariato di Volterra subito dopo essere stato liberato dai reparti speciali della Polizia, il 22 gennaio. Il bambino era stato rapito il 3 ottobre a Perugia. Il riscatto richiesto: 20 miliardi. Sopra: Augusto De Megni appena disceso dall' elicottero che da Volterra lo ha riaccompagnato a casa. A fianco: il bambino mentre risponde alle domande dei giornalisti sulla sua prigionia, durata 110 giorni. "Sapevo che papà avrebbe fatto di tutto per pagare il riscatto. Il denaro non è importante: i soldi vanno e vengono. Quello che conta è che tutto è finito bene" . Sopra: l' ingresso del cunicolo scavato nel monte Voltraio, presso Volterra, dove Augusto era tenuto sequestrato. Sotto: l' interno della prigione due metri sotto terra. Testo Prima storia, finta. E' la trama di un film, Mamma ho perso l' aereo, che nelle sale americane ha incassato la cifra record di 120 milioni di dollari. Racconta le avventure di un ragazzino di otto anni, Kevin, che, dimenticato in casa dai genitori, si trasforma in un super bambino e sgomina una banda di rapinatori. Seconda storia, vera. E' il fatto di cronaca che la scorsa settimana ha riempito le pagine dei giornali: la liberazione di Augusto De Megni, dieci anni, rapito il 3 ottobre nella sua casa di Perugia e strappato all' Anonima sarda il 22 gennaio, nella campagna di Volterra. Cosa lega il bambino italiano al piccolo protagonista del film di Chris Columbus? Senz' altro la grinta. L' incredibile maturità con cui Augusto ha reagito alla drammatica esperienza ha lasciato tutti sbalorditi, compreso il padre, quel Dino De Megni che sembrava lui il rapito, con la barba lunga e il viso segnato dall' ansia. Che ci si trovasse davanti a una specie di fenomeno lo si è capito sin dal momento della liberazione, la mattina del 22 gennaio, quando 350 poliziotti si sono riversati nel Volterrano per strappare "Augustino" alla banda che lo teneva prigioniero. Lucido, aggressivo, deciso, il bambino, racconta adesso il padre, ha condotto da solo l' ultima trattativa con i rapitori, la più difficile. Con la pistola del suo carceriere puntata alla tempia e gli uomini dei Nocs che gridavano a pochi metri dalla grotta-prigione, Augusto ha convinto il suo aguzzino ad arrendersi. Ha piegato il più ostinato del gruppo, Antonio Staffa, il superlatitante che lo teneva sotto tiro e ai poliziotti urlava che avrebbe ammazzato l' ostaggio. Quando è uscito allo scoperto, circondato dalle mimetiche e dai mitra della Criminalpol, la testa rasata e lo sguardo accecato dalla luce del giorno, "Augustino" ha pianto. Ma è stato un attimo. Mentre i quattro rapitori (Graziano Delogu, Marcello Mele, Giorgio Ortu, Antonio Staffa) venivano portati via in manette, lui, disinvolto, si è messo addosso la giacca e il berretto blu della Polizia. La telecamera l' ha ripreso con il passo incerto per la lunga immobilità, ma in faccia una strana indifferenza, un piglio da uomo sorprendente vista l' età. "No, non ho avuto paura" , ha detto ai cronisti. "Lo sapevo che quello faceva finta, che non mi avrebbe sparato. Non sono criminali come si pensa. Mi hanno trattato bene, sono sempre stato sereno" . Poi, sui venti miliardi di riscatto chiesti alla famiglia: "I soldi vanno e vengono. Sì, ho saputo che la magistratura non voleva che mio padre pagasse. Una vera buffonata..." . Da dove viene la freddezza di Augusto? Dallo choc probabilmente, dall' adrenalina prodotta da quel pandemonio che si è scatenato attorno a lui. Già l' indomani il padre, Dino De Megni, che lo ha visto di notte agitato, insonne, girare per casa con la torcia datagli dai rapitori, si è preoccupato: sindrome di Stoccolma. "Continua a interessarsi dei suoi rapitori" , racconta, seduto nel salotto della grande villa alla periferia di Perugia. "Mi chiede che fine faranno, chi penserà alle loro famiglie. Non vuole che vengano condannati" . E d' altra parte i De Megni, secondo alcune voci per non infierire sul bambino, secondo altre per un accordo tra rapitori e polizia al momento del rilascio, hanno deciso che non si costituiranno parte civile. Vogliono sottrarsi ai riflettori. Vogliono anche far dimenticare quell' immagine di Augusto data dalla tivù. "Mio figlio" , dice Dino De Megni, "è sempre stato molto sicuro di sé, ma in maniera diversa da come è apparso dopo la liberazione. E' abituato a riflettere, a pensare. Adesso recita. La voce, il tono, l' accento non sono i suoi. E' come se avesse preso l' aggressività, le movenze, le espressioni di quegli uomini..." . Ma qualche dimostrazione della sua non comune forza d' animo, il bambino l' aveva già data. Per esempio, il giorno del rapimento, 3 ottobre, quando i banditi sono entrati in casa e l' hanno portato via, legando e imbavagliando il padre. Sdraiato sul sedile posteriore dell' auto dei rapitori, Augusto ha tentato una mossa da professionista: si è sfilato l' orologio, sperando di riuscire a nasconderlo nella tasca laterale della macchina, come traccia per la polizia. Chi gliel' aveva insegnato? Prima di questa avventura, in casa De Megni si parlava di sequestri come in tutte le altre case d' Italia, a commento del telegiornale che ne annunciava uno nuovo. Eppure, hanno rivelato gli investigatori, il padre di Augusto era da tempo nel mirino, almeno dal 1983. Qualche timore in famiglia doveva pur esserci. Lo stesso nonno, Augusto senior, 68 anni, capo massone del Rito Scozzese, da tempo non faceva un passo senza la scorta. Ex avvocato civilista specializzato in recupero crediti, Augusto senior è titolare della Giru, una finanziaria di cui il figlio Dino è l' amministratore delegato, con uno stipendio tutt' altro che faraonico: 100 milioni l' anno. L' avvocato, che una volta era padrone del Banco De Megni poi diventato Banco di Perugia, oggi proprietà della Banca Toscana, possiede anche un' azienda di commercializzazione e trasformazione del legname. Il patrimonio e il potere che esercita negli ambienti della Perugia-bene spiegano molte cose. Tanto per cominciare, il sequestro: i rapitori avevano fatto i conti con attenzione, venti miliardi chiesti per il riscatto del nipote, il bersaglio più facile della famiglia. Il capo massone li avrebbe anche pagati, se il 31 dicembre non fosse intervenuto il giudice delle indagini preliminari, Vladimiro De Nunzio, con il blocco dei beni. Una prova di forza con l' Anonima, autorizzata dal decreto approvato a fine anno dal governo, che ad Augusto senior non era piaciuta per niente. Nelle ultime settimane, infatti, si era lanciato anima e corpo in una battaglia legale contro il provvedimento del tribunale. Ma spiegano anche, questa ricchezza e questo potere, il carattere di Augusto junior, altrimenti detto "Puscio" , erede amatissimo di una vera e propria dynasty all' italiana. Il bambino è cresciuto con la consapevolezza di essere un De Megni, di dovere un domani prendere in mano la fortuna e la posizione del vecchio. C' è un' immagine che ricorre nella sua infanzia: la stanza da pranzo dei nonni con il posto riservatogli a capo tavola. Ma l' educazione di "Puscio" ha avuto anche un' impronta spartana. Se il nonno lo viziava, i genitori al contrario sono sempre stati piuttosto rigidi. La madre in particolare, Paola Rossetti. Separata da quattro anni dal marito, segnata da una malattia che le ha colpito i muscoli e distrutte le forze, la donna ha tenuto il bambino con sé fino a giugno, fino a quando il tribunale non ha aggiudicato al padre l' affidamento del figlio. Dicono che sia stato lo stesso Augusto a orientare la scelta del giudice. Chiedeva da tempo di andare a vivere con il papà, 42 anni, bell' uomo, appassionato di sport e dei piaceri della vita. Con lui faceva coppia fissa, al Tennis club per una partita o per l' aperitivo, nei ristoranti dove Dino la sera lo portava con i suoi amici. Ricordandogli sempre: "Augusto, comportati come sai" . A Perugia però non si ama ostentare. Il potere e la ricchezza sono passioni preferibilmente da nascondere. Così nessuna meraviglia se "Puscio" , prima del rapimento, frequentava la Venti Giugno, la scuola elementare del suo distretto, unico rampollo di buon nome e ottime sostanze in una classe formata da figli di impiegati, piccoli professionisti, operai. "Un leader" , dice la maestra Maria Elisa Sisani, "Augusto è sempre stato più maturo degli altri, più grande della sua età" . Coordinava le "bande" , dettava legge tra i più giovani. Già in prima elementare aveva deciso che non avrebbe portato il grembiule e fino all' ultimo non si è stancato di protestare quando la madre lo costringeva a pranzare in mensa con i compagni. "A noi bambine piace molto" , racconta una brunetta della sua classe, "ma a lui delle femmine non gliene frega niente... Un giorno quelle della quarta sono andate a dirglielo, stava giocando a pallone, ha risposto con un vaff..." . Un piccolo uomo di carattere. Quando è stato rapito, una bambina della Venti Giugno ha esclamato: "Non è possibile, lui è il più forte di tutti" . Poi, com' era già successo per Patrizia Tacchella, sono cominciate le manifestazioni, i cortei, le lotte con il provveditore per ottenere il permesso di sfilare per le strade in segno di solidarietà. A scuola si sono mobilitati tutti: bambini e genitori hanno formato un comitato per la liberazione di Augusto. L' hanno aspettato per centodieci giorni. Quando la scorsa settimana i compagni l' hanno rivisto, "Puscio" scampato ai sequestratori, sono rimasti però come intimoriti, incapaci di aprire bocca. Augusto, con i tendini infiammati dal lungo periodo passato dentro la grotta di Volterra, faceva fatica a muoversi. Si è accorto che loro lo guardavano. E anche stavolta, fedele al suo copione di piccolo eroe cresciuto, ha detto spavaldo: "Non è niente, sono solo scivolato" . Testata Epoca Data pubbl. 30/01/91 Numero 2103 Pagina 66 Titolo UN' ATTRICE IN CATTEDRA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Mariangela Melato Sommario Una donna borghese che ridà senso alla vita andando a insegnare in borgata. Come il suo ultimo personaggio televisivo, anche l' interprete più amata dalla Wertmu' ller ha deciso di ricominciare daccapo. Per questo, forse, lascerà il cinema. Per dare lezioni in teatro. Didascalia Mariangela Melato, 48 anni, protagonista dello sceneggiato tivù "Una vita in gioco" , andato in onda la scorsa settimana su RaiDue con un' audience di quasi cinque milioni di spettatori. Testo Mariangela Melato contro Gilda? Il problema con cui la protagonista di tanti film della Wertmu' ller e il sindacato autonomo degli insegnanti si misurano è lo stesso: la scuola. Ma mentre Gilda, che è alle prese con un difficile rinnovo del contratto di lavoro della categoria, teme lo scadimento del ruolo dei docenti a quello di semplici "custodi" degli alunni, la Melato giunge, nel suo mestiere di attrice, a conclusioni assai diverse. Infatti nello sceneggiato Una vita in gioco, regia di Franco Giraldi, trasmesso da RaiDue il 15 e il 17 gennaio, ha raccontato tutt' altra storia rispetto a quella dei sindacalisti: l' insegnamento come riscatto, sfida ultima di una donna che, delusa da se stessa e dalla propria esistenza, decide di far la supplente in un istituto tecnico di Torbellamonaca, borgata della periferia romana. Come dire: la cattedra non è una condanna alla frustrazione. Può anzi davvero essere, come un tempo voleva la retorica, sinonimo di "missione" . La versione italiana dell' Attimo fuggente, il film di Peter Weir, record di incassi lo scorso anno? Una vita in gioco fa piuttosto pensare al filone neorealistico inaugurato da Marco Risi con Mery per sempre. Con attori-ragazzi presi in maggior parte dalla strada, con una Melato rigorosa, essenziale, lontana da artifici o sdolcinature. Perfetta in questo ruolo di quarantenne divisa tra gli agi e le frustrazioni della buona borghesia, e il coraggio di rimettere tutto in discussione, di tentare, per dare un senso alla sua vita, l' avventura in mezzo a un gruppo di adolescenti apatici, né drogati, né violenti, né delinquenti, semplicemente senza interessi e senza speranze. La sensibilità della donna automaticamente segna la sua condanna: viene accusata di omosessualità e radiata dalla scuola. Ma alla fine può anche cantare vittoria. La bella signora alto borghese professoressa improvvisata riesce a interrompere il gioco di omertà che regola questa scolaresca di periferia cinica e disincantata. La critica ne è restata affascinata. Beniamino Placido su Repubblica ha definito la Melato attrice "splendida" , cogliendo l' occasione per parlare dell' insegnamento in termini di "segreta follia" , causa di "ipocondrie tenaci e striscianti schizofrenie" . "Un mestiere" , scrive il critico, avvicinandosi forse più alle posizioni sindacali che non agli ardori della Melato, "che ha sempre meno senso, che dà sempre meno senso alla vita" , e che, nonostante tutto, come dimostra lo sceneggiato Rai, riesce ancora ad essere circondato da una patina di eroismo. Alessandra Comazzi, su La Stampa, non fa mistero del suo entusiasmo. Confermano il successo anche i dati d' ascolto: 4 milioni e 800 mila spettatori per la prima puntata. Ha scritto ancora La Stampa: Marianna, la donna interpretata dalla Melato, "è simile all' immagine che il pubblico ha dell' attrice: decisa, simpatica, pragmatica" . Lo ha ammesso qualche tempo fa anche il produttore, Carlo Tuzii: "E' un personaggio scritto e pensato proprio per lei" . Per la Melato, milanese trapiantata a Roma, con i suoi 48 anni, le sue insoddisfazioni e i suoi ripensamenti? Sembrerebbe di sì, a sentir quanto ha detto lei stessa qualche settimana fa, confessando, in un momento di sincerità, di aver bisogno di fermarsi un attimo. "In questi anni dominati dall' ansia della produttività" , ha dichiarato, "mi è ritornato in testa il vecchio rovello sulla qualità della vita. Forse è il caso di riflettere un momento" . Forse è il caso di rinunciare al cinema? "Chissà, continuo a chiedermi se si tratta di un rapporto ormai compromesso o se titoli e firme nuovi mi concederanno uno spazio per ricominciare" . Una decisione, intanto, la Melato l' ha presa: per un anno resterà lontano dal palcoscenico. O meglio, lavorerà ancora su testi teatrali, ma non in teatro: i dirigenti Rai la vogliono, ancora, per gli schermi della Rete Due, dove ha già debuttato con Anna dei miracoli, in una nuova edizione de L' amica delle mogli di Pirandello, con la regia di Giancarlo Sepe. E non è finita: gli impegni in tivù continueranno ancora per un po' , probabilmente per tutto il 1991. RaiDue infatti ha già comprato i diritti di una produzione francese, Il cinese, serial a metà tra il poliziesco e il genere brillante, che vedrà la Melato a fianco del cantante Charles Aznavour. Lei sarà una snob nullafacente con il gusto del thrilling, lui un investigatore privato a caccia di misteri. Altra storia, altra latitudine, non siamo certo nelle borgate della periferia di Roma. Ci saranno salotti eleganti, tanto lusso finto e pacchiano, molta ironia. E questa, si sa, all' attrice non è mancata mai. Testata Epoca Data pubbl. 23/01/91 Numero 2102 Pagina 58 Titolo COSA FAI TUTTA SOLA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI hanno collaborato Mara Accettura e Marzia Mayer Sezione STORIE Occhiello Donne da sposare Sommario Vedove ricchissime, divorziate pimpanti, nubili blasonate, debuttanti impazienti... Ognuna di loro è in attesa dell' uomo del destino. Da Carmen Llera a Carolina di Monaco, dalla figlia di Gardini a quella di Falck, identikit delle "belle e possibili" del 1991. Didascalia SANDRA MONTELEONI 37 anni. Ex moglie di Luca di Montezemolo, ex fidanzata di Gianni De Michelis. CARMEN LLERA 37 anni, scrittrice, da tre mesi vedova di Alberto Moravia. CAROLINA DI MONACO 34 anni, vedova di Stefano Casiraghi, ex moglie di Philippe Junot, madre di tre figli. ANTONIA DE MITA 23 anni, figlia di Ciriaco, non le viene attribuito nessun fidanzato ufficiale. MARIA SPERANZA GARDINI 20 anni, figlia di Raul (qui con il fratello Ivan), studentessa, prossima azionista della Serafino Ferruzzi. JONELLA LIGRESTI 24 anni, figlia di Salvatore, siede nel consiglio d' amministrazione della cassaforte di famiglia. GIACARANDA FALCK 18 anni, figlia di Giorgio, studentessa, vive da sola a Brera, nel centro di Milano. MARINA BERLUSCONI 23 anni, primogenita di Silvio, studentessa, uno dei più quotati "partiti" italiani. IVANA TRUMP 40 anni, neo-divorziata da Donald, ex miliardario americano. Donna d' affari, presidente dell' hotel Plaza di New York. YOKO ONO 58 anni, giapponese, artista, vedova ed erede universale di John Lennon. JACQUELINE ONASSIS 60 anni, vedova di John Kennedy e di Aristotele Onassis. Vive a New York. GLORIA THURN UND TAXIS 30 anni, la vedova più ricca di Germania. TATIANA VON FU' RSTENBERG 18 anni, figlia di Egon e Diana Fu' rstenberg, studentessa. DRUSIANA SFORZA CESARINI 19 anni, figlia di Ascanio, studentessa, grande frequentatrice di occasioni mondane. ANNA CHIGI 30 anni, cantante rock, figlia del principe Mario Chigi. HORTENSIA CHIGI 28 anni, sorella di Anna, titolare di una catena di negozi di cibi naturali. ALESSANDRA BORGHESE 28 anni, figlia dei principi Tinti e Fabrizia, ex moglie di Costantino Niarchos, erede dell' armatore greco. CHIARA MASTROIANNI 16 anni, figlia di Marcello e Catherine Deneuve. Vive a Parigi, non vuole fare l' attrice. Testo Possiamo fidarci di Cesare Musatti, grande vecchio della psicoanalisi? Prima di morire definì la vedovanza come status istituzionale più che sentimentale. Estremizzando l' intuizione, si può arrivare a dire che, circa lo stato della vedova, molto dipende dalla portata del testamento. In questo contesto, assai poco sentimentale ma molto pragmatico, donne come Carmen Llera, Carolina di Monaco e Gloria Thurn und Taxis hanno tutti i requisiti per consolarsi al più presto. La prematura scomparsa dei loro consorti stimola automaticamente la caccia grossa nei loro confronti. Accomunate nell' arco di tre mesi dallo stesso destino, la morte del marito, le tre signore dividono altre cose: charme personale, consistenza di patrimonio, celebrità. Cinico ma realista immaginarle idealmente in cima ai desideri di un altissimo numero di pretendenti. Ma dagli spalti del jet set internazionale preme un' eletta schiera di altre concorrenti, ragazze da marito giovani o meno giovani, tutte però di grandi aspirazioni e notevoli ricchezze. In America, in Europa. E anche in Italia. Ecco chi sposare nel 1991. LE SUPER VEDOVE Carmen e Carolina entrambe sole, quasi negli stessi giorni. La prima, bermuda a righe, gambe abbronzate, occhiali scuri, è arrivata al funerale di Moravia in ritardo, direttamente dal Marocco. La seconda ha visto invece l' incidente in diretta, Stefano Casiraghi travolto dal mare. Si è chiusa nel lutto, pallida e schiva, addosso nero integrale. Dicono che vada avanti a tranquillanti. Tre mesi dopo i rispettivi lutti, Carmen Llera, 37 anni, continua la vita di sempre, mentre la principessa di Montecarlo è come scomparsa. Il dolore e il rispetto dell' ortodossia dinastica le impongono il silenzio. L' ultimo suo sorriso l' ha immortalato la tivù, per il gran circo di Montecarlo, a pochi giorni dalla morte di Stefano Casiraghi: lei, in abito da gran soirée, appariva smagliante. Ma era solo un errore di programmazione. La trasmissione era stata filmata prima della scomparsa del marito. Da allora, come detto, lutto stretto. Per quanto ancora? Qualche giorno fa Carolina, 34 anni, è stata fotografata in Giamaica con i bambini e il fratello. I tempi degli scandali, delle avventure, degli amori ricominceranno? Per ora è già uno scoop riprenderla in bikini. Carmen Llera è invece appena tornata da New York. "Non mi sento sola" , ha detto, "ma avverto molto la mancanza di Alberto, come se fosse fuori per qualche tempo e poi dovesse tornare" . Nuovi viaggi temperano la solitudine della bella spagnola, mentre la soddisfazione di aver pubblicato un altro libro, Dall' atlantico al Negev, editore Bompiani, bilancia il fastidio del solito carosello di maldicenze e malignità su amanti passati, probabili o futuri. E poi c' è l' eredità. La ricchezza di cui Carmen dispone adesso non è certo quella dei principi di Monaco, ma è comunque di tutto rispetto: Moravia le ha lasciato cinque case, depositi bancari per un totale di venti miliardi (da dividere con Dacia Maraini). Più i diritti d' autore, un lasciapassare che la consacra erede non solo materiale dello scrittore, di cui comunque era già stata l' ultima musa ispiratrice. Saprà, la turbolenta Carmen Llera, imitare altre vedove celeberrime come Yoko Ono o Eliette von Karajan, entrambe angeli custodi implacabili della memoria dei propri uomini, nonché sacerdotesse ostinate di cospicue eredità? Ottimi partiti anche loro: Yoko Ono, 58 anni, certamente non bella e forse neanche troppo simpatica, dispone oggi, a dieci anni dalla morte di John Lennon, di un patrimonio di 170 miliardi di lire, che riesce ad amministrare sapientemente. Eliette von Karajan, moglie di Herbert, il direttore d' orchestra morto nel 1989, gestisce un tesoro fatto di ville, dischi, azioni, conti bancari, diritti d' autore e un jet personale, per un totale di 350 miliardi di lire. Una somma che rende appetibile l' ex modella di Christian Dior, anche adesso che ha 53 anni. Con vent' anni di meno e qualche miliardo in più, c' è Gloria Thurn und Taxis, diventata il 28 dicembre scorso una delle vedove più ricche del mondo. La moglie del fu principe Johannes, magnate di rango della finanza tedesca, vestirà ormai solo di nero, sarà costretta a disertare le serate mondane e soprattutto, stando alla legge di successione dinastica, dovrà fare attenzione a non risposarsi, pena la perdita dell' intera eredità. In ogni caso, tra undici anni, il patrimonio dei Thurn und Taxis toccherà di diritto al figlio Albert, classe 1983, dodicesimo principe della casata Thurn und Taxis. Al momento Gloria, ex ragazzina dall' aspetto androgino, diventata principessa grazie a un colpo di fulmine (il principe Johannes l' ha conosciuta in un bar di Monaco), resta in ogni caso la donna più ricca della Germania: nelle sue mani un patrimonio di 3 mila miliardi di lire e la gestione diretta di tutte le attività della famiglia. Abbastanza per garantirsi undici anni in prima pagina. Abbastanza, anche, per competere con vedove illustrissime come Jacqueline Onassis, 60 anni, la quale, nonostante l' età, è sempre alla ribalta. Il vitalizio di 300 miliardi l' anno lasciatole dal secondo marito Aristotele Onassis mette al riparo la donna che fu al fianco di John Kennedy dai colpi e dai contraccolpi dell' età. In che modo? Tanto per cominciare, Jacqueline si è fatta il lifting. Come seconda cosa, ha lasciato intendere che presto potrebbe convolare a terze nozze. Con chi? Il suo più recente flirt si chiama Maurice Templesman. Commercia in metalli preziosi. LE SEMPREVERDI Domenica 11 febbraio, il giorno in cui hannno liberato Nelson Mandela, il New York Post non aveva spazio in prima pagina per la scarcerazione del leader nero. C' era in ballo una notizia strepitosa, l' esito di una storia che da mesi appassionava l' America: la separazione definitiva tra Donald e Ivana Trump, un vero e proprio match a colpi di miliardi, fallimenti e tradimenti. Una bagarre non ancora risolta: Ivana, 40 anni, sostiene che la fine del suo matrimonio equivale a una separazioni d' interessi. In altre parole, un danno risarcibile con 10 miliardi di dollari. Donald, miliardario in disgrazia, ha dichiarato che darà alla moglie non più di 10 milioni di dollari, una villa in campagna e una casa in città. Passato comunque il primo momento di scoraggiamento, e con l' aiuto di chirurgo e parrucchiere, l' ex sciatrice cecoslovacca è come rinata, pronta a lanciarsi negli affari, nelle feste e negli amori. Ma la sua vera riscossa di donna si giocherà tra cavilli legali e lotte da tribunale. Più o meno come è successo l' anno scorso alla principessa Alessandra Borghese, italiana di nascita ma americana di formazione e professione. Splendida erede della più nera e aristocratica delle grandi famiglie romane, 28 anni, un divorzio alle spalle, diverse esperienze di manager a New York e un tentativo di carriera giornalistica a Italia uno, Alessandra nel 1987 aveva sposato di nascosto dei genitori Costantino Niarchos, il figlio dell' armatore Stavros Niarchos. Quattordici mesi di difficile menage poi, nell' aprile 1990, la sentenza del tribunale di Manhattan. Lei aveva chiesto 23 miliardi di liquidazione. Lui le ha dato 150 milioni di lire. Spiccioli, che l' altera principessa ha immediatamente devoluto in beneficenza. Con ben altri capitali l' ha cresciuta la mamma Fabrizia Citterio, sposata Borghese. Adesso comunque Alessandra è sola: in giro la si vede con l' amica del cuore, Anna Chigi della Rovere, 30 anni, aspirante cantante rock, figlia del principe Mario Chigi e di Ismene dei conti Larussa. A proposito dei Chigi della Rovere. Ecco un' altra single d' oro, la sorella di Anna, principessa Hortensia, 28 anni, imprenditrice molto creativa e molto "business oriented" . In un paio di anni ha impiantato una holding, la FinEuropa, che nel 1989 fatturava 4 miliardi di lire, e nel 1990 dovrebbe essere arrivata a 12. Due le società legate alla finanziaria: la "Principessa Hortensia Chigi della Rovere" e "la Dinner & Lunch" , specializzate in prodotti alimentari di alta qualità, con centri vendita disseminati nel mondo e un ristorantino monomarca in Via Solferino a Milano. Affari dunque, tranne che di cuore. O almeno così preferisce far credere Hortensia, anche se poi tutti in realtà sanno di un legame sentimental-professionale con Paolo Berni, suo braccio destro in cucina. Tornando alle reduci della vita a due, anche in Italia molte divorziate sono dello stampo di Ivana Trump, e altrettanto autonome, agguerrite. Due nomi: la blasonatissima Imara Ruffo di Calabria e l' affascinante Sandra Monteleoni. La prima, mamma di una bambina di 4 anni, ha studiato marmorizzazione a Bruxelles e adesso, dopo la separazione dal marito Uberto Gasche, fa l' arredatrice a Roma. La seconda, 37 anni, ex moglie di Luca di Montezemolo, è stata fidanzata, tra gli altri, con Gianni De Michelis. Attualmente vive a Milano. Amori nuovi? Panorama a dicembre aveva annunciato le nozze con Alex Ponti, 40 anni, secondogenito di Carlo Ponti. L' interessata, però, non conferma. LE SUPER VERDI Ha studiato il cielo per mesi. Poi è arrivato il momento: il 14 luglio, lo stesso giorno della finale dei Mondiali, una notte di luna piena ha consacrato con un gran ballo in campagna nel parco di famiglia il debutto in società di uno dei più giovani e affascinanti partiti d' Italia, Beatrice Visconti di Modrone. Il diciottessimo compleanno della figlia del conte Leonardo e di Anna Felice di Monforte dei duchi di Bagnoli è stato celebrato come tradizione comanda: un abito da sera ispirato a quello della quadrisnonna, Mathilde de Pange, cartoncini d' invito incisi a mano, ospiti illustri, una processione di fiaccole e per colonna sonora il valzer del Gattopardo. "Ma non dovevo certo aspettare i 18 anni per mettere il naso in società" , ha detto Beatrice a chi l' accusava di anacronismo. Raffinata, con un profilo che sembra un cammeo, la piccola del ramo "diplomatico" dei Visconti di Modrone è in effetti una diciottenne espertissima del mondo. Se non altro per abitudini di famiglia. Nata a Roma, ha vissuto tra New York, il Cairo e Londra, seguendo sempre il padre, il conte Leonardo, che è appunto primo consigliere d' ambasciata nella capitale inglese. Risultato? La ragazzina a cinque anni parlava correttamente italiano, inglese e arabo. Oggi vive a Londra, ma assicura che la sua vera patria è l' Italia: Napoli e Milano. Sud e Nord. O, se si preferisce, i duchi di Bagnoli, storica casata partenopea con origini normanne di cui fa parte la madre, e Visconti di Modrone, famiglia del padre. Con un albero genealogico di questo tipo, perché stupirsi di un gran ballo con il vestito della quadrisavola? E poi, per i rampolli d' alto lignaggio, le feste di questo tipo sono un obbligo sociale, con i papà che si divertono a curare la regia delle luci e le mamme affaccendate in caratteri gotici e svolazzi sui cartoncini d' invito. Qualche mese prima, ad esempio, la migliore nobiltà romana si era giusto incontrata a un altro debutto, quello organizzato da Ascanio Sforza Cesarini per presentare le due figliole, Drusiana e Vittoria, 19 e 18 anni, per la verità già molto mondane. Lo ammette la stessa Vittoria: "Esco, frequento le feste, vedo gli amici" . Progetti per la vita: "Vorrei viaggiare tanto, il più possibile" . Matrimonio: "No, è ancora troppo presto" . La festa si era svolta in primavera nella tenuta di famiglia vicino Fiumicino, con gran clamore, il solito sfoggio e una ricca passerella di nobildonne aitanti. Ma non si pensi che le signorine di buona famiglia facciano solo questo... Drusiana, ad esempio, a luglio ha accettato di indossare, insieme ad altre sedici "colleghe" dell' aristocrazia romana, gli abiti da sera creati da Giovanni Torlonia. Ed è stata una faticaccia: le modelle per caso, che dovevano fingersi "tableaux vivants" , hanno rischiato di svenire per la stanchezza. Altra storia, altro tipo di nobiltà: Allegra Antinori. Suo padre è il marchese fiorentino Piero Antinori, proprietario della vitivinicola "Marchesi Antinori" , 50 miliardi di fatturato l' anno. Allegra ha solo vent' anni, ma nutre da sempre una passione per l' azienda di famiglia. A 18 anni, liberatasi finalmente dal collegio svizzero, ha deciso che l' università non faceva per lei. Voleva lavorare. Dopo un corso di cucina a Parigi e uno sul vino a Bordeaux, ha trovato posto in azienda nelle relazioni con l' estero. Il suo compito? Trattare con i clienti giapponesi, australiani, americani. Per il resto, vita in famiglia, cioè vita a palazzo Antinori a Firenze, e fine settimana con mamma e papà in Maremma. Nessun fidanzato ufficiale. Pochi anche gli svaghi mondani. "La mattina" , racconta sua madre, la marchesa Antinori, "Allegra si alza alle sette" . Altrettanto volonterosa, ma per ora meno impegnata, un' altra figlia degli affari, Giacaranda Falck, erede del Giorgio delle acciaierie. La ragazza, 18 anni, una bella bionda stile meneghino, reduce da un collegio svizzero quale il St. George, frequenta il primo anno di giurisprudenza alla Statale di Milano. Ma ha già tentato di lavorare come giornalista alla Provincia pavese, poi a Milano alla Rizzoli e infine a Roma come addetto stampa di Pier Quinto Carriaggi. Nel frattempo, dopo la solita crociera estiva in barca con il padre e la seconda moglie Rosanna Schiaffino, ha deciso di andar a vivere da sola e ha preso casa a Brera. I suoi obiettivi: "Diventare giornalista" , dice, "e poi, con la sindrome tipica di tutti i figli di divorziati, sposarmi e fare tanti bambini" . E le acciaierie Falck? "No, bisognerebbe avere proprio la vocazione. Lo fa già mio fratello. Io non lo reggerei. Lavorare nell' impresa di famiglia mi sembrerebbe di star sotto esame tutta la vita" . Esame che momentaneamente rifiutano i due migliori partiti d' Italia: Marina Berlusconi, 23 anni, primogenita di Silvio, e Maria Speranza Gardini, 20 anni, la piccola di Raul e Idina Ferruzzi. La prima, cioè Marina Berlusconi, preferisce studiare, lasciando al fratello, Piersilvio, 20 anni, la possibilità di cominciare a seguire non tanto gli affari Finivest quanto quelli del Milan. La seconda, Maria Speranza, adora l' equitazione, frequenta il secondo anno di scienze politiche a Bologna, ma vive a Ravenna con i genitori. Prima e unica apparizione pubblica, l' 11 marzo a Venezia, dove ha fatto da madrina al "Moro" , la barca ad alta tecnologia del padre, costruita per vincere la Coppa America. Grazie al nuovo assetto finanziario del gruppo di Ravenna, Maria Speranza diventerà presto azionista della Serafino Ferruzzi. Secondo la schema che sta mettendo a punto Raul Gardini per tenere unito il patrimonio di famiglia, a lei e agli altri nove eredi della "terza generazione" andrà a testa una quota del 5 per cento della finanziaria di controllo. E' invece entrata alla grande nel gruppo di famiglia Jonella Ligresti, 24 anni, figlia maggiore del costruttore siciliano: prima dell' estate ha ricevuto la nomina di consigliere d' amministrazione della Premafin, un utile netto nel 1989 di 72 miliardi (ma il gruppo per intero vale più o meno 3 mila miliardi). Non è la sua prima esperienza di lavoro. Se dal punto di vista mondano Jonella è uscita allo scoperto solo di recente con qualche apparizione alla Scala, al ballo delle debuttanti alla Villa reale di Monza e sui campi d' equitazione lombardi, dal lato professionale la ragazza seguiva già dall' inizio dello scorso anno gli affari di Telelombardia. L' erede del signore dei mattoni è senza dubbio un ottimo partito; affrettarsi però. Pare abbia già un fidanzato fisso. Liberissima e sempre mondanissima è invece Antonia De Mita, 23 anni generosi di pubbliche esibizioni, a fianco del padre, nelle feste notturne, nei locali più in di Roma. Ha fatto coppia fissa per un periodo con Giampiero Ruzzetti, immobiliarista, ed è stata ripresa con Vittorio Sgarbi, ma nessuno dei due in verità è mai stato dipinto come fidanzato. Le sue microgonne, i suoi tacchi a spillo fanno furore tanto d' inverno al Gilda, il night romano, quanto d' estate sulla piazzetta di Portocervo. Non c' è passerella che Antonia abbia voglia di disertare: dai viaggi ufficiali con Ciriaco alle feste di compleanno, di matrimonio e persino di laurea. A luglio era al megaricevimento, 600 invitati, organizzato al Casale di Roma Vecchia da tre laureandi in architettura, tre rampolli della Roma bene ovviamente. Stessa festa, tra l' altro, dove ha debuttato una splendida diciottenne, Tatiana von Fu' rstenberg, figlia delle prime nozze del principe Egon con Diana von Fu' rstenberg, la stilista americana protagonista immancabile dei "gossip" di Variety. Più defilate altre due "figlie di" , giovani e nubili: Cristina e Maria Rognoni, rispettivamente 27 e 23 anni, padre il ministro della Difesa. La grande lavora nell' editoria, settore libri d' arte, e ha preso un appartamentino a Milano. La minore vive a Firenze da sola, si laurea quest' anno in scienze politiche ma vuole fare l' attrice. Di tutt' altro avviso, la giovanissima Chiara Mastroianni, nata 16 anni fa da Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve. Lei, di recitare, non ne vuol sapere, anche se l' anno scorso a Parigi ha letto i tre racconti di Clarice Lispector (Liens de famille) ai microfoni del programma radiofonico "Biblioteca delle voci" . Testata Epoca Data pubbl. 02/01/91 Numero 2098 Pagina 36 Titolo IL MALE OSCURO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione SPECIALE - FINE SECOLO Occhiello LE SFIDE Sommario Si chiude un anno di convegni, liti tra ricercatori ma anche di progressi che permettono di sperare. Battere l' Aids è la scommessa per il Duemila. Malgrado il pessimismo di un padre della scienza: Sabin. Didascalia Un malato di Aids a San Francisco. Nei Paesi industrializzati la diffusione del virus è rallentata, ma è aumentato il contagio tra eterosessuali. Testo Maggio 199O, sesto convegno internazionale di San Francisco. John L. Ziegler, docente all' Università di California: "Sono ottimista: tutto quanto è andato molto in fretta, in meno di dieci anni abbiamo acquisito informazioni preziose che consentiranno, prima o poi, di trovare il vaccino capace di cancellare l' Aids" . Settembre 1990, seminario di Erice. Robert Gallo, responsabile del laboratorio di biologia molecolare dell' Istituto nazionale della salute di Bethesda, Maryland: "La ricerca ha compiuto progressi tali da farci sperare che il traguardo non sia molto lontano, forse non oltre i prossimi cinque anni" . Dicembre 1990, convegno sulle "strategie vaccinali" all' Università di Chieti. Alberto Sabin, padre dell' antipolio: "Sarà molto difficile, per non dire impossibile che si possa trovare un vaccino contro l' Aids" . San Francisco, Erice, Chieti... Un anno di convegni, discussioni e anche litigi si chiude con la cupa previsione dello scienziato che quarant' anni fa scoprì il vaccino per sconfiggere la poliomelite e che oggi alza le braccia in segno di resa di fronte al dilagare dell' Aids. Ha ragione lui o c' è da credere a chi, invece, non si rassegna? L' Organizzazione mondiale della Sanità, massima istituzione medica a livello internazionale, non aiuta a rispondere. Fornisce però cifre e tendenze sull' epidemia di fine secolo: il numero degli ammalati è salito quest' anno rispetto al 1989 di alcune decine di migliaia, da 266 mila a 307 mila; la sieropositività ha raggiunto la cifra record di 11 milioni di casi accertati, di cui tre milioni di donne. E ancora: mentre nel Nord del pianeta, Italia compresa, si registra un rallentamento della diffusione, crescono le occasioni di contagio per via eterosessuale, e l' allarme è aggravato dalle notizie secondo cui l' epidemia continua a colpire sempre più pesantemente i Paesi in via di sviluppo. Con una previsione degli esperti dell' Oms: nel 1992 la sola Africa conterà 10 milioni di sieropositivi (quasi la cifra mondiale attuale), destinati a diventare 20-25 milioni fra dieci anni. Il Duemila è vicinissimo. Ma Robert Gallo, come Ziegler, segnala la rapidità dei progressi compiuti dalla scienza nell' ultimo decennio e ricorda: nel 1981 sembrava impossibile conoscere la causa dell' epidemia, eppure tre anni dopo il virus responsabile veniva scoperto; nel 1984 si proclamava l' inutilità di qualsiasi terapia farmacologica, e invece già due anni dopo si sperimentavano i primi farmaci; nel 1986 grandi immunologi disperavano di trovare il rimedio, mentre oggi si lavora su due farmaci, l' Azt e il Ddi, non risolutivi ma in grado di rallentare l' aggressione del virus. E un altro illustre ricercatore, Luc Montagnier, del Pasteur di Parigi, ha di recente individuato nella patologia dell' Aids dei batteri microscopici, i micoplasmi, sensibili agli antibiotici. La corsa per battere sul tempo il Duemila affronta l' ultimo tratto. Ma intanto il 1990 si chiude con una immagine simbolica: il grande blackout che per un quarto d' ora ha lasciato al buio New York e San Francisco, l' 1 dicembre, nella giornata di lotta mondiale all' Aids. Testata Epoca Data pubbl. 19/12/90 Numero 2097 Pagina 56 Titolo LA COMPAGNA DI RUSSIA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI - FOTO DI MANUEL DEL GRANDE ha collaborato Mara Accettura Sezione STORIE Occhiello Donne dell' Est Sommario Semplice, fedele, laureata. Le agenzie per cuori solitari lanciano sul mercato la ragazza sovietica. Il prezzo: quattro milioni per conoscersi, dieci a nozze avvenute. E se va male? Tatiana, sposa promessa a Pesaro, finita ad Ancona, racconta... Didascalia Luciano Peverati, 47 anni, ferrarese, titolare di "Focolare 2000" , la prima agenzia matrimoniale specializzata nella importazione di donne sovietiche. Tre ragazze russe del catalogo di "Focolare 2000" , l' agenzia matrimoniale di Ferrara. Il suo titolare, Luciano Peverati, ha avviato l' attività pubblicando annunci sui giornali di Mosca, dove ha anche aperto una filiale, la Simbad. In poco tempo oltre seimila donne hanno mandato le loro foto, candidandosi in questo modo alla ricerca di un marito italiano. Sopra: Tatiana, la giovane russa che da due mesi vive ad Ancona con un ingegnere conosciuto attraverso "Focolare 2000" . Dovrebbero sposarsi presto, ma lei dice: "Sognavo la Scala, invece ad Ancona niente teatro, amici..." . A destra: una delle ragazze del catalogo di Luciano Peverati. Testo Il primo contatto è quasi sempre telefonico: "Avrei una decina di russe a disposizione. Due milioni, due milioni e mezzo l' una..." . Quelli delle agenzie matrimoniali generalmente si mostrano titubanti, ma l' anonimo mediatore non desiste. Tenta un secondo approccio facendosi vivo di persona e intanto il prezzo è già salito, cinque, sei, sette milioni. Se l' affare si concluderà, l' agenzia si rifarà a sua volta sul cliente, al quale l' opportunità di sposare una donna sovietica verrebbe così a costare dagli otto ai dieci milioni. "Una follia, eppure molta gente che traffica con i Paesi dell' Est sta cercando di mettere le mani su questo commercio. Chi sono? Mah... dicono di essere uomini d' affari, agenti immobiliari... Ci propongono le donne a stock, come fosse un' importazione di bestiame" . Giovanni Pozzi, titolare a Milano dello studio matrimoniale "L' incontro" , è indignato. Così come in passato gli è sembrata una forma di sfruttamento combinare matrimoni con filippine, thailandesi, brasiliane, adesso si rifiuta di assecondare l' ultima tendenza: nozze italiane in odor di perestrojka. Eppure la richiesta esiste. Ci sono clienti in Emilia Romagna, nelle Marche, in Piemonte, operai, contadini, ma anche impiegati e piccoli professionisti, delusi dalla proprie conterranee e desiderosi di provare la sposa d' oltre cortina. E ci sono poi centinaia, migliaia di ragazze russe, rumene, polacche impazienti di scavalcare il Muro privato, trovare cioè un marito europeo che le mantenga e le tiri fuori dal loro tran-tran di miseria. Aspirazioni da non sottovalutare, per chi lavora con l' amore su commissione, sogni che promettono ottimi profitti. E' già successo con le filippine, un mercato di profughe barattate dalle agenzie a una paio di milioni l' una. Ma adesso che Corazon Aquino sta tentando di fermare "il commercio delle donne" , meglio cambiare aria. E all' Est nessuno fa problemi: basta qualcuno che scovi le "anime gemelle" , un annuncio, un catalogo e il gioco è fatto. L' ex impero comunista, complice lo spirito imprenditoriale d' Occidente, ha già spedito dalla Russia, ma anche dalla Polonia, la Romania, la Cecoslovacchia i Postal Market della vita a due. Destinatari: l' agenzia "Ancs" di Milano, il "Focolare 2000" di Ferrara, il "Quadrifoglio" di Modena, lo studio "E' amore" di Cuneo. Chi però tra tutti ha fatto più scalpore, tanto da suscitare la protesta di un gruppo di giovani sovietici su un giornale della catena della Pravda, è Luciano Peverati, 47 anni, di mattina impiegato all' università di Ferrara, nel pomeriggio gestore del "Focolare 2000" . Ad ottobre ha annunciato l' imminente arrivo di un battaglione di belle russe a caccia di marito italico "serio, onesto e lavoratore" . Donne dalle molteplici virtù, al contrario delle italiane: semplici, fedeli, attaccate alla famiglia, età tra i 18 e i 58 anni, di tutti i ceti sociali, operaie, impiegate, ma soprattutto, il signor Peverati ci tiene a dirlo, diplomate e laureate. Trovate come? "Semplice" , spiega lui. "Sono stato aiutato da un amico che fa il professore a Mosca. Ha messo degli annunci sui giornali ed è poi riuscito a creare, con contatti suoi, un' agenzia sul posto, la "Simbad" " . Risultato? Oltre seimila richieste di iscrizione. "Che soddisfazione! Con le italiane in quattro anni ero riuscito a combinare appena qualche matrimonio e un paio di convivenze..." E profetico annuncia: "Come vede, il futuro delle agenzie matrimoniali è con le straniere dell' Est" . Che nel suo piccolo Peverati abbia ragione? Altre fonti, altri dati confermano la previsione di un massiccio sbarco femminile dai Paesi dell' ex blocco comunista: "L' Urss sta per liberalizzare i passaporti" , ha detto il 27 novembre al vertice parigino della Cee il rappresentante tedesco Staven Hagen, "non meno di dieci milioni di sovietici potrebbero chiedere l' espatrio" . E ha drammatizzato l' annuncio, anche se con cifre più basse, Vladimir Cervakov, ministro del Lavoro di una Russia sempre più esasperata e affamata: "Tre milioni di profughi entro il 1991 passeranno la frontiera, alcuni con visto regolare, altri clandestinamente, attraverso la Polonia, la Cecoslovacchia, la Romania, la Finlandia" . Meta agognata, oltre la Germania e l' Austria, l' Italia, appunto, il Paese che i sondaggi sovietici descrivono "così caldo e ospitale" . Ci saranno matrimoni, mescolanze, contaminazioni tra razze. Niente da stupirsi quindi se abili mediatori stanno preparando il mercato. Lo stesso Peverati, che ne ha intuito le potenzialità, riannuncia in questi giorni per la terza (o quarta) volta l' arrivo delle prime sette russe (non cinquanta come era stato riportato dalla Komsolmoskaja Pravda), fissando un' ultima data: il 16 dicembre. I promessi sposi le andranno a prendere all' aeroporto di Linate, a Milano, impegnandosi a mantenerle, formula vitto, alloggio, e qualche regalino, per almeno un mese, il tempo che dura il visto turistico. Il resto è affidato alla sorte: matrimonio o ritorno in patria della russa. Nell' un caso o nell' altro, identica formula di pagamento: il "Focolare 2000" chiede tre milioni per la mediazione, uno per il biglietto aereo, per un totale di quattro milioni, pagabili anche a rate. Ma chi vuole sposarsi non si preoccupa certo della spesa. "Quello che importa è che questa sia la volta buona" , dice Giovanni S. di Ferrara, 48 anni, il quale spera che la signorina russa di 38 anni, di nome Natascia, una morettina che in foto gli sorride con le gambe accavallate, sia veramente la donna giusta, "diversa da quelle che ho conosciuto..." . Perché, signor Giovanni, come sono le donne che ha conosciuto? "Sono... sono... delle stronze! Quando ci si incontra sembrano tutte rose e viole, poi invece pretese a non finire, litigi, incomprensioni... meglio una straniera" . Meglio una straniera che capisce poco, non parla, non protesta? Parlando con i clienti del "Focolare" , l' idea è proprio questa. Non a tutti però i quattro milioni versati garantiscono lo stesso risultato. L' ingegnere Carlo R. di Ancona, ad esempio, ha parecchi dubbi. Lui ha avuto indubbiamente fortuna perché la prima ed unica russa importata da Peverati, giovane carina e laureata, è toccata a lui. Però la ragazza in un mese di convivenza a tre (l' ingegnere, 43 anni, vive con la madre), ha mostrato "un caratterino degno di un generale dell' Armata rossa" . Dura, autoritaria, mai contenta, ha obbligato l' ingegnere a farsi crescere la barba, fumare meno, rifarsi il guardaroba. "Ma cosa posso fare di più?" , si domanda lui preoccupato: "Le ho comprato dei vestiti, e vuole la pelliccia... d' accordo, quando ci sposiamo... Più di questo..." . Ma perché l' ha scelta? "Io vivo con mia madre, nessuna italiana sarebbe disposta a stare con lei. Mi sarei presa anche una brasiliana, ma "lei" non vuole donne con la pelle scura" . Tatiana la pelle ce l' ha bianchissima. Parla un italiano un po' elementare, ma capisce tutto. Capisce anche questa storia familiare di dipendenze e sottomissioni. Ha paura. L' idea che si era fatta dell' Italia era un' altra: "L' opera, la Scala, Verdi, un maestro italiano per il canto..." Alla "Simbad" di Mosca le avevano promesso un marito, un signore di Pesaro, simpatico, piacente. Ma quando è arrivata a Milano, a Linate non c' era nessuno: "Io non sapevo cosa fare... niente soldi, tutti per il viaggio, niente amici... chiesto agli impiegati, ma quando io dicevo "agenzia matrimoniale" impiegati ridevano. Allora ricordo nome, cognome, indirizzo dell' uomo di Pesaro. Io telefono, ma uomo di Pesaro non sapeva niente di matrimonio con me" . Interviene Peverati, le propone un' altra persona. "E io: prego, foto. No, niente foto, dice Peverati, tranquilla Tatiana, l' ingegnere bravo uomo... E poi, ho visto Carlo, sì intelligente, bravo, ma... altre abitudini... altra vita" . Sospira: "Cosa faccio ora? Mia madre dice non tornare, niente casa, niente lavoro a Leningrado... Io trent' anni, troppo vecchia per marito in Russia" . In Urss ci si sposa giovani, la media va dai 14 ai 18 anni. Ma oltre a questo, il matrimonio è un' istituzione in crisi. Non a caso nel 1985, due anni prima che a Riga nascesse la prima agenzia matrimoniale, il Soviet supremo aveva autorizzato l' apertura di una sezione famiglia. Le cifre dell' ultimo periodo erano infatti allarmanti: 636 mila divorzi nel 1970, destinati a salire a 943 mila nel giro di dieci anni. E un numero sempre crescente di "single" , tutte donne tra i trenta e i quarant' anni. Colpa della guerra in Afghanistan, come racconta la stessa Tatiana, che ha decimato la popolazione maschile riducendo (10 a 7) il rapporto tra donne e uomini. Ma basta questo per abbandonare tutto e spingersi ad Occidente? Qualcuno a Mosca ha dei dubbi: la Komsolmoskaja Pravda, il giornale sul quale il "Focolare" di Ravenna tramite la "Simbad" pubblica i suoi annunci, ha lanciato il sospetto di una nuova forma di colonialismo, realizzata attraverso incontri "tra professoresse universitarie e anziani contadini calabrasi" . No, replica Luciano Peverati, un' accoppiata del genere non si verificherà mai. Però Adriana Quattrino, grande manager delle 14 agenzie sparse per l' Italia sotto il marchio "E' amore" , ammette: "Le donne italiane non vogliono più sposare gli agricoltori. Abbiamo provato l' anno scorso con le brasiliane, quando abbiamo organizzato a Carrù, in provincia di Cuneo, il Gran galà dell' amore. Ma quelle figurarsi se si adattavano a vivere nei campi..." La signora Quattrino guarda quindi all' Est, alla Romania, dove le donne sono veramente "più semplici delle italiane" e dove negli ultimi tempi la richiesta si è fatta pressante: se ne sono accorti a Parigi i redattori di Liberation che hanno creato un' apposita rubrica per cuori solitari rumeni. Se ne è accorta lei che ha già intravisto un affare di tutto rispetto: "Sono in trattativa con il governo di Bucarest" , dice. E annuncia, senza dare altre spiegazioni: "C' è un gruppo tessile italiano che mi ha chiesto di creare lì una sede dello studio "E' Amore" " . Se andrà bene, il prossimo passo sarà in Albania, "dove le ragazze sono abituate a lavorare la terra e faticare in campagna" . Russia, Romania, Albania... L' ex comunismo insomma manda allo scoperto le sue schiere di reduci, aggiungendo, alla lista degli Stati da cui si emigra scopo-matrimonio, la Cecoslovacchia, la Bulgaria e soprattutto la Polonia. A tenere i contatti con il Paese di Wojtyla, c' è lo studio "Futura" di Milano, ma c' è anche una bionda signora di Modena, Ewa Stawicka, Maserati parcheggiata sotto casa e amicizie "importanti" in città, che su questo genere d' affari lavora da quattro anni. Nel curriculum della sua agenzia, "Quadrifoglio" , oltre sessanta matrimoni, tutti ben riusciti. Ottimi affari. Così Ewa ha osato di più: se funziona l' accoppiata maschio italiano-femmina polacca, perché non tentare il contrario, e cioè uomo polacco-donna italiana? La domanda non manca: nubili in cerca di anima gemella, divorziate stanche di amanti latini. "L' unica difficoltà" , ammette, "è il lavoro. Non sempre le italiane sono disposte a mantenere i loro mariti" . E perché no? All' Ancs (Agency national center style) di Milano, questo sembra l' ultimo dei problemi, visto il gran numero di donne che ogni giorno sfogliano il catalogo maschile. Il titolare, Salvatore Cro, è un esperto di incroci razziali. Da anni piazza italiani con extracomunitarie di ogni parte del mondo: filippine, honduregne, messicane, cecoslovacche, rumene, ungheresi. Adesso ostenta la sua rassegna di belle speranze: baffi alla mongola, barbe, colbacchi, pose da culturista, ma anche chitarre in mano, sorrisi accattivanti o espressioni allampanate da foto tessera. In altre parole, un centinaio di aspiranti mariti decisi ad abbandonare l' Est. E non sa, forse, che altri ancora ne potrebbero arrivare. Da dove? Da Cuba. All' ambasciata di Fidel Castro temono già l' esodo: ogni mille italiane-italiani che arrivano, ci scappano sempre un paio di matrimoni. Non era stata Sandra Milo, con il suo finto colonnello, a lanciare l' idea? Testata Epoca Data pubbl. 12/12/90 Numero 2096 Pagina 78 Titolo VIAGGI DI PIACERE Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI hanno collaborato Andrea Di Quarto e Ivan Sirtori Sezione NUMERO UNO Occhiello I sexy tour Sommario Il Vaticano è sceso in campo contro il turismo erotico. Ma anche quest' anno l' industria delle vacanze a luci rosse promette follie. A Natale partiranno in 700 mila. Molti verso i paradisi del sesso. Destinazione? Rio, Bangkok, Manila. E persino Lourdes... Didascalia Un turista in una casa di piacere a Manila, nelle Filippine. Qui l' età media delle prostitute è sui 12-13 anni. Sopra: monsignor Ersilio Tonini, arcivescovo di Ravenna, che ha denunciato episodi di "sexy-tour" persino nei viaggi turistici a sfondo religioso. Nella pagina accanto: turisti in un locale notturno di Rio de Janeiro. Un locale di Bangkok dove si pratica il "body massage" : le ragazze sono esposte come in una vetrina e scelte dai turisti in base al prezzo. Testo Alta, magra, severissima nella sua divisa blu, suor Lea Ackermann, una religiosa tedesca di Boppard, si alza in piedi tra vescovi e prelati. Tiene in mano gli appunti, ma non ha bisogno di leggere. Le rotte del sesso sull' asse Manila-Bangkok, le nuove Sodoma e Gomorra dei mari caraibici, le notti erotiche del Kenya o delle Baleari, sono argomenti che conosce bene, dal 1978, quando ha cominciato ad occuparsi di un' attività certamente insolita per un' ecclesiastica: il turismo sessuale. "Attenzione signori" , annuncia nella sala della Domus Mariae di Roma, dove il 16 novembre si è aperto il primo congresso internazionale sul turismo organizzato dal Vaticano, "ci sono Paesi come la Thailandia e le Filippine in cui gli occidentali giungono carichi di soldi per approfittare della povertà e della miseria delle ragazze del luogo. Le sfruttano, le spingono alla prostituzione, le illudono, senza che i governi o le ambasciate facciano niente. Anzi..." . A uno a uno, dopo suor Ackermann, parlano i delegati ecclesiastici del Terzo Mondo. Denunciano la compravendita di donne e bambini, i diritti civili calpestati, un mercato del piacere che umilia la persona e la riduce a oggetto sessuale. Risultato? Alla vigilia della tornata natalizia che preannuncia in Italia almeno 700 mila partenze, la Chiesa cattolica, riunita in questo primo congresso del Ministero pontificio per le emigrazioni e il turismo, si schiera per una nuova crociata. Sotto accusa sono i nuovi "mercanti di schiavi" , i tour operator che sponsorizzano i viaggi del sesso facile. E soprattutto alcuni governi, come quello thailandese o kenyota, che pur vietando la prostituzione hanno in realtà fatto del turismo erotico una voce del bilancio statale. Un esempio? Nella sola Bangkok, dove lo scorso Natale sono arrivati più di 11 mila italiani, lavorano oltre 700 mila prostitute, a fronte delle 100 mila ufficialmente dichiarate. Sono professioniste dell' eros che presidiano gli alberghi, i bar, i club dove il sesso si pratica all' orientale, ma soprattutto a buon mercato, con tariffe che variano dalle 25 alle 250 mila lire a prestazione. Qui, come a Pattaya, altro centro per soggiorni erotici, ogni anno passano, via charter, un milione e 200 mila turisti, europei, ma anche americani, giapponesi, mediorientali. Un traffico colossale che non si ferma certo alla Thailandia, ma che dilaga, perpetuando la miseria attraverso l' edonismo, dalle terre del Triangolo d' oro alle isole dei Caraibi, dalle spiagge del Brasile alle nebbie dell' Est. Un traffico che in Germania il ministero federale per la Gioventù e la Famiglia ha cercato di quantificare: in Kenya, in Sud Corea, nelle Filippine, un turista su due, è stato detto, viaggia alla ricerca di sesso, così come in Thailandia, dove il 70 per cento dei visitatori sono avventurieri dell' eros. Niente di strano quindi se poi da qui partono ogni anno per Berlino duemila "cameriere dell' amore" , tutte importate illegalmente con false promesse di lavoro. Anche le cifre italiane confermano l' allarme. Per citare sempre la Thailandia, dichiara Adriano Biella, presidente della Fiavet: "Negli ultimi anni c' è stato un incremento delle partenze del 35 per cento" . Prova che le delizie del "body massage" , massaggio corpo contro corpo praticato dalla geishe d' Estremo oriente, non sono un mito d' altri tempi? "Prova" , hanno risposto i vescovi thailandesi in un appello pubblicato ad ottobre, ancor prima del congresso vaticano, sul settimanale dei padri Dehoiani di Bologna, "che il turismo ci distrugge, che esiste un' industria dove ragazzi e ragazze vengono attirati per essere trattati da meri oggetti sessuali" . Una battaglia dunque per la Chiesa cattolica, ma anche un fenomeno difficile da stroncare. In un momento in cui la Curia sta comunque cercando di rivalutare il turismo "ai fini degli scambi umani e culturali tra i popoli" , questo collegamento tra vacanze, sesso e affari crea un certo imbarazzo. E non solo per le prostitute d' Oriente. A ottobre, alla prima Borsa mondiale organizzata dalla diocesi di Ravenna, è esploso un altro caso: il turismo religioso. Pellegrinaggi, santuari, luoghi di culto e miracoli sono spesso venduti dalle agenzie di viaggio con la promessa di optional assai poco spirituali. Come il giro organizzato dalla Viloratour di Napoli, Costa Azzurra-Lourdes-Parigi. Sul dépliant: l' interno del Lido, locale hard core della capitale francese, con ballerine seminude e spogliarello in programma. "E' vero" , conferma l' arcivescovo di Ravenna, Ersilio Tonini, capofila la scorsa primavera della protesta contro le stragi da discoteca sulla riviera romagnola, "l' ho visto con i miei occhi. Persino alla Borsa organizzata da noi c' era uno stand che pubblicizzava immagini non proprio di gusto...Purtroppo, il commercio ci avvelena" . Un commercio che anche nel caso del turismo religioso rivela cifre di tutto rispetto: nella sola Italia un fatturato di cinque mila miliardi, su un totale di 1800 santuari. Manager del sacro o avventurieri del profano, gli operatori turistici cercano comunque di difendersi dalle accuse. In Germania, soprattutto, dove i porno-viaggi vengono reclamizzati senza troppi pudori (fino a poco tempo fa, la Exotic Travel Service prometteva su un giornale popolare "un programma notturno intensivo a Bangkok con soggiorno unicamente in camera doppia" ). Il cristiano democratico Anton Pfeifer ha lanciato nel maggio scorso una campagna moralizzatrice, ma è servita a poco. E quando poi la Spd, il partito socialdemocratico, ha chiesto l' incriminazione per sfruttamento della prostituzione degli organizzatori di tour erotici nel Terzo Mondo, gli operatori si sono immediatamente rivolti agli avvocati. Qualcuno ha accettato di moderare il tono del proprio catalogo, senza però rinunciare alle indicazioni utili ai vacanzieri del sesso. In Italia, invece, lo scontro è stato finora evitato: ufficialmente, infatti, questo tipo di turismo non esiste. Afferma indignato Sergio Lezzoche della Thai di Milano, le linee aeree thailandesi: "Macché viaggi del sesso! Abbiamo ben altri itinerari da proporre: si provi ad andare a Patpong, luogo culto dei sexy-shop: è piena di bancarelle di souvenir, altro che prostitute!" . E la stessa Going di Torino, che nel 1987 aveva offerto a prezzo speciale, 380 mila lire tutto compreso, una "one-night" di follie a Ibiza, meta dell' amore non platonico, adesso si tira indietro. Propone come nuova meta del turismo giovanile Miami Beach. Eppure l' affare, mascherato sotto altre forme, esiste. Se un giovanotto si presenta al banco di un' agenzia chiedendo "un posto dove andare con un amico, beh, sa, siamo giovani, vogliamo divertirci..." , le riposte non lasciano dubbi. "Due maschi soli?" , ammicca l' impiegato della Cocktail di Milano, "la Thailandia è il massimo. Garantito. Nove su dieci tornano raccontando cose mirabolanti" . A Monza, fanno addirittura capire che al momento della partenza c' è sempre una guida specializzata, delegata, appena giunti sul posto (è il caso di Bangkok, Rio de Janerio, Malindi), a fornire al viaggiatore "tutto quello di cui avrà bisogno" . Ma c' è anche chi si spinge più in là. La Farè Viaggi di Milano, ad esempio, non ostenta falsi pudori. Nelle scorse settimane, in vista del Natale, ha riempito i giornali di pubblicità per lanciare uno sconto-promozione del 15 per cento per coppie omosessuali. "Una provocazione? No" , dice il titolare Antonio Acunso, "un affare come un altro" . E conferma: "Ibiza, Mikonos sono ancora le mete preferite dai gay. Ma il vero paradiso per questo genere di incontri è la Tunisia" . Qui ogni luogo è un' occasione, lo racconta anche Massimo Mariotti dell' Arci gay lombarda. Basta una chioma bionda, un orecchino per attirare nugoli di maghrebini premurosi, pronti, in cambio di un regalino, a soddisfare le richieste tanto dei signori quanto delle signore. A queste ultime, però, operatori del settore suggeriscono all' orecchio le Maldive. O anche, se si amano le esperienze saffiche, le spiagge del Kenya. Tutto ovviamente in maniera molto discreta. Niente a che vedere infatti con quanto succede negli Stati Uniti, dove una ricca ereditiera newyorkese organizza spedizioni senza frontiera con caccia grossa al latin lover. Le clienti, previo appuntamento, vengono spedite a Roma e a Parigi. Con la stessa tranquillità con cui parlano degli sconti per gay, alla Farè raccontano degli "incentive" , i viaggi premio regalati dalle aziende per i propri venditori: "Un gruppo molto importante ci ha chiesto tempo fa di preparare una spedizione per 200 dipendenti, alcuni single, altri sposati. Li abbiamo mandati in Giamaica: ottimi alberghi per coppie tradizionali e, a poca distanza, club speciali per chi aveva voglia di avventure osé" . Una formula, questa del viaggio-incentivo, di cui gli operatori conoscono perfettamente i meccanismi: i direttori marketing delle aziende si rivolgono a un' agenzia specializzata (in Italia lavorano con gli "incentive" Visitando il mondo, la Hea, la Promo viaggi, la Falcon Travel, la Franco Rosso), affidandosi alla "sensibilità" di chi organizza. Le richieste spesso sono esplicite. Ma nessuno si compromette: l' agenzia si limita a spedire i turisti in posti come Bangkok, al resto pensano gli albergatori e i ruffiani locali. "Stiamo provando a pubblicizzare tour di altro tipo" , spiega Renato Piccolo della Mon itinéraire di Bergamo, "ma è dura. C' è sempre il rischio di sentirsi dire dai clienti: ma come, ci portate fino in Perù a vedere quattro sassi?" Insomma, niente riesce a fermare i saraceni dell' eros fuori porta. Neanche la paura dell' Aids: scarsi gli effetti in Kenya (6 mila casi di malattia dichiarati due mesi fa dall' Organizzazione mondiale della sanità) e in Brasile (11 mila casi), quasi nessuna eco sul commercio sessuale in Thailandia. Opera del governo che dopo una prima campagna di sensibilizzazione, ha fatto una clamorosa marcia indietro. L' allarme avrebbe infatti potuto danneggiare il turismo. Risultato? Solo 45 casi denunciati quest' anno all' Oms su una popolazione di oltre 2 milioni di prostitute. E Santo Domingo? Alla Fiavet sostengono che il terrore della malattia ha provocato un crollo delle presenze del 50 per cento. Sisto Gungui, presidente della Flamingo di Milano, grande sponsor dell' isola caraibica, ribatte invece che è tutto falso: "La Repubblica dominicana non è quello che si pensa. Basta entrare in un albergo: non c' è banco di reception che non esponga il cartello con il divieto di portare prostitute in camera" . Propaganda anti-sesso per ripulire l' immagine del proprio prodotto? E' probabile. Fatto sta però che in Europa l' emergenza si sente. E' arrivata nelle sale ovattate del Vaticano con suor Ackermann. E' partita da tempo da Berlino, dove a maggio gruppi di solidarietà per il Terzo Mondo hanno organizzato un convegno proprio su Aids, turismo e prostituzione: "Paura? Sì, c' è un sintomo" , ha detto provocatoria la thailandese Sudarat Srisang, collaboratrice dell' Ecumenical Coalition on Third World Tourism, "i clienti ora preferiscono i bambini" . Si abbassa insomma l' età dello sfruttamento: schiere di lolite a Bangkok come a Manila o in Kenya si concedono ai clienti europei, ma anche agli asiatici. Soprattutto i discendenti dei cinesi, provenienti da Hong Kong, Taiwan, Singapore, disposti per tradizione a pagare qualsiasi cifra pur di trovare una "vergine" . Sono convinti che allunghi la vita. BOX TUTTO COMPRESO, ANCHE IL SESSO Da Bangkok a Budapest: guida alle capitali del divertimento proibito. Thailandia. Tre i santuari dell' eros: la capitale Bangkok, l' isola di Pattaya e quella di Phuket. La messinscena del piacere segue dappertutto, al Cleopatra come al Darling, lo stesso rituale: il cliente sceglie una delle ragazze sedute in cerchio, ed eccolo pronto per il "body massage" , un bagno con una geisha che insapona l' uomo e lo asciuga coi movimenti del corpo. Con 150 dollari al giorno, tutto è possibile. Si dice a Bangkok che il quartiere di Patpong, creato da Udom Patpong, origine cinese, sostenga da solo l' intera economia thailandese: i suoi edifici, tutti trasformati in bordelli, valgono 650 milioni di dollari. Rio de Janeiro. Si può volare a Rio con la Toureuropa, essere alloggiati in uno degli hotel sull' Avenida Atlantica o l' Avenida Copa Cabana. Non c' è bisogno di andare troppo lontano, l' occasione è sotto casa: lungo queste strade, le ragazze che procurano sesso passeggiano a tutte le ore del giorno, pronte per cinquanta dollari a una "quickly" , in gergo una sveltina. Ma il vero piacere, a Rio, è soprattutto quello di scoprire che il sesso si sente nell' aria, è dappertutto, pronto a essere colto e consumato, sulle spiagge, negli alberghi, nei bar, ad ogni angolo di strada, senza bisogno di troppe formalità né di mediatori. Kenya. Quando in Europa comincia a far freddo e le spiagge di Mombasa e Malindi si riempiono di turisti, compaiono anche, insieme alle indigene, le prostitute stagionali. Vengono dall' Uganda, Tanzania, Somalia, si vendono per un paio di dollari. Nonostante in Kenya la prostituzione sia vietata, il mercato è straordinariamente florido: ragazzine di 13, 14 anni vengono vendute al mercatino di Malindi dalle madri, pronte ad offrire anche due o tre figlie alla volta. Non a caso gli alberghi ostentano grandi letti a tre piazze... Per strada provvedono i tassisti, invogliando i clienti con la rassicurazione di rito: "No Aids" . Santo Domingo. Gli "aficionados" dell' isola la descrivono come un vero paradiso terrestre. Straordinario, fin dal primo impatto, all' aeroporto: "La caccia comincia subito. Ti vengono incontro ragazze stupende, come resistere?" . Ottenere un appuntamento è quanto di più facile si possa immaginare: nelle hall dei grandi alberghi, sulle spiagge, per strada, centinaia di donne, tutte provenienti dal ceto medio dominicano, sono già in attesa. Grande spiaggia dell' amore: Boca Chica, dove il rimorchio è assicurato secondo il criterio minimo impegno-massimo rendimento. Isole Filippine. E' il paradiso delle vergini. Qui l' età media delle prostitute si aggira sui 12-13 anni. I prezzi però sono più alti rispetto alla Thailandia: arrivano a superare anche le 200 mila lire a prestazione. Luogo elettivo, il quartiere di Ermita, a Manila, la cosiddetta "tourist belt" , come dire, serraglio per turisti. Primi tra tutti i giapponesi che imperversano, così come gli italiani in Thailandia, con i sexy-tour aziendali. Ha tentato di fare qualcosa contro questo commercio Cory Aquino, quando è salita al potere. Risultato? E' riuscita a cacciare dal Paese una trentina di persone. Niente di più. Ungheria. Budapest, con la perestrojka, si è guadagnata il titolo di Bangkok d' Europa. Ma sono lontani i tempi in cui le ragazze si offrivano per un paio di jeans. Oggi valgono criteri manageriali: di Laszlo Antas Voros, per esempio, è l' idea di far girare in taxi splendide crocerossine dell' amore. Numerosi sono anche i saloni per massaggi, che le ungheresi praticano seguendo gli insegnamenti delle thailandesi. Ma l' iniziativa più originale si deve a Palmai Ferenc, un ex tassista che ha spedito in giro i suoi "agenti" col compito di abbordare gli stranieri e trasportarli, alla modica cifra di 100 mila lire, in una villetta a luci rosse. Testata Epoca Data pubbl. 28/11/90 Numero 2094 Pagina 64 Titolo QUESTIONE MORALE Autore DI RAFFAELA CARRETTA ha collaborato Maria Grazia Cutuli Sezione STORIE Occhiello Ai confini della scienza Sommario Un bambino senza difese immunitarie. E una nuova tecnica di trapianto che potrebbe salvarlo. Eppure... Mentre in America un intervento del genere ha già avuto successo, in Italia infuria la polemica. Da una parte chi teme manipolazioni genetiche e chiede di vietare l' operazione. Dall' altra, premi Nobel, medici, filosofi. In mezzo: una vita in attesa di giudizio. Claudio Bordignon: "Ci stiamo preparando al trapianto. Tecnicamente. E moralmente" Didascalia A sinistra: Claudio Bordignon, 40 anni, l' ematologo dell' Ospedale San Raffaele di Milano che ha proposto un trapianto genico su un bambino di tre anni per tentare di guarirlo dalla Scid, immunodeficienza severa combinata. Se si arriverà all' intervento, sarà il primo in Europa. A destra: un esame endoscopico eseguito su un bambino in anestesia totale. Testo Sulla sua vita di bambino malato, si sono chinati all' improvviso tutti: il ministro della Sanità, un monsignore, filosofi della Morale, giuristi, premi Nobel, medici e scienziati. A scatenare la veglia preoccupata, e un' interrogazione parlamentare firmata da 15 deputati di area soprattutto democristiana e verde, sono state due parole: "trapianto genico" . L' ha proposto l' ematologo Claudio Bordignon del San Raffaele di Milano proprio per cercare di salvare la vita del bambino. Dopo quello americano di settembre, sarebbe il secondo trapianto del genere al mondo. Intervenire sul Dna, la carta d' identità biologica dell' uomo, è moralmente giusto? O si apre la strada al peggio? E chi deve decidere, oltre al paziente: il medico, lo Stato? E ancora: è consigliabile tecnicamente permettere un' operazione di cui si conoscono solo le incognite? Domande complesse, ciclicamente riproposte soprattutto in due ambiti: l' ingegneria genetica applicata alla fecondazione artificiale e la manipolazione indiscriminata sugli animali. Ma questa volta dalla pe-capra (un ibrido genetico tra capra e pecora), o dal maxi-topo, la domanda sui confini, i metodi, la liceità si sposta all' uomo. Nei suoi tre anni di vita, almeno metà il bambino l' ha passata in una stanza sterile, isolata. Da un paese in provincia di Salerno è arrivato a Brescia, dove lo ha curato Alberto Ugazio, direttore della clinica pediatrica dell' Università. Contatti ridotti al minimo: dentro non più di una persona alla volta, coperta dalla testa ai piedi (camice, mascherina, guanti...). Anche il papà e la mamma, con i sei fratelli, che sono tutti più grandi di lui. La sua malattia è rara e terribile, in tutto il mondo ha colpito soltanto 70 bambini. "Scid" è la sigla tecnica, che sta per "immunodeficienza severa combinata" . Vuol dire che per un difetto genetico l' organismo non è in grado di difendersi contro le infezioni. La causa è dovuta a un gene alterato che non produce l' enzima detto "Ada" , che ha la funzione di filtro chimico ed elimina i prodotti tossici del metabolismo. Così viene a mancare qualunque difesa immunitaria e l' organismo è completamente paralizzato di fronte alle infezioni: dal raffreddore alla setticemia, dall' influenza alla polmonite. Il mondo tutto, per chi nasce con questa malattia, è un gigantesco pulviscolo di pericolo. Dunque isolamento. A turno i parenti stanno con il piccolo paziente. A fare che? A giocare un po' , a guardare la televisione. A parlare anche o almeno a tentare, perché un bambino così sottratto alle carezze fisiche, così privato della possibilità di toccare il mondo, non può che scontare un ritardo nelle cose che sa, conosce e dice. Ma finalmente c' è la prima svolta: da un anno e mezzo il bambino vive a casa sua. Sta bene, con certe cautele può giocare con gli amici e persino, in condizioni ottimali, uscire all' aria aperta. Questo grazie a un farmaco sperimentale, il Peg-Ada, prodotto negli Stati Uniti, che gli permette di avere un' esistenza quasi normale. Di che si tratta? Di un enzima bovino, l' analogo di quello che a lui manca. Dunque perché non continuare così, con la terapia farmacologica? Qui entra in scena Claudio Bordignon, l' ematologo del San Raffaele, che spiega: "Prima o poi si assiste a un paradosso: tutti i bambini trattati con il Peg-Ada cominciano a sviluppare un sistema immunitario. E quindi a produrre anticorpi contro l' enzima bovino. Così, lo fanno fuori. Questo bambino salernitano ha già formato anticorpi, ma non sono ancora tanto forti da uccidere il farmaco. Potrebbe però succedere. Per questo ci siamo sentiti in dovere di proporre la terapia genica senza dire: è urgente. Ci stiamo preparando. Tecnicamente. E moralmente, poiché abbiamo chiesto una valutazione al comitato per la bioetica del nostro ospedale, che dovrebbe pronunciarsi entro il 15 dicembre" . Scusi, ma chi diffida di questo tipo di intervento sottolinea che i rischi sono ancora enormi, compreso quello di attivare i meccanismi del cancro... Risposta: "Posso solo dire che non è mai successo con gli animali. Però, certo, non si può escludere. Il problema è un altro: tutti gli esperimenti possibili su animali sono stati sfruttati. Adesso siamo arrivati al punto di sbattere in faccia alla realtà. Solo se lo facciamo, sapremo se funziona" . Quarant' anni, laurea a Milano, un' esperienza di ricerca all' Istituto Mario Negri, Bordignon è stato 7 anni in America, dove ha lavorato al trapianto dei geni su animali presso il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York. In quel periodo è entrato in contatto con l' équipe che nel settembre di quest' anno ha realizzato il primo intervento di trapianto genico, su una bambina affetta da "Scid" . E proprio gli esperimenti condotti da Bordignon sui topi, una volta tornato in Italia, al San Raffaele, sono serviti a sciogliere l' ultima di una serie lunghissima di riserve avanzate dalla Food and Drug Administration, l' unica istituzione americana che può autorizzare gli esperimenti sull' uomo. Così dopo dieci anni dalla prima richiesta di trapianto genico, l' équipe di French Anderson, Michael Blaese e Kenneth Culver, a Bethesda nel Maryland, ha potuto operare. La tecnica è la stessa che dovrebbe adottare Bordignon. Prelevare i linfociti, cioè le cellule bianche del sangue, e attraverso un retrovirus inserire in essi il gene sano di cui sono mancanti, appunto quello che produce l' enzima "Ada" . Al momento dell' operazione, un miliardo di linfociti viene trasfuso nel sangue del bambino, che può così contare dall' interno su un sistema immunitario efficace. "Abbiamo compiuto un piccolo passo verso quella che tra dieci anni sarà una rivoluzione scientifica assodata" , ha dichiarato Anderson, dopo l' operazione. E i fatti sembrano dargli ragione. Mentre in America è stato dato il benestare per altri quattro interventi su bambini affetti da "Scid" , si comincia a esplorare la possibilità di medicina genica per il cancro, malattie ereditarie come talassemia e emofilia e addirittura per curare le malattie cardiovascolari. Spiega Bordignon: "In tutti questi casi, l' intervento non comporta nessuna modifica del patrimonio genetico, nessun rischio di dare il via a una nuova "specie" umana. Per il semplice fatto che a essere interessate non sono cellule germinali, come l' uovo, ma cellule somatiche" . Sulla stessa linea si sono pronunciati i premi Nobel Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. E il ministro della Sanità Francesco De Lorenzo è intervenuto con una lettera aperta a La Stampa per ribadire che nel caso del bambino salernitano "non sarebbe giusto imporre dei limiti" . Più appassionata ancora la difesa della socialista Elena Marinucci, sottosegretario alla Sanità, che dice: "Ma quale dissidio etico? Su una cosa che fa del bene alla gente?" . Perfino monsignor Elio Sgreccia, ordinario di bioetica alla Cattolica di Roma, si dichiara a favore: "Siamo contrari a manipolazioni genetiche che comportino modifiche ereditarie, permanenti sulla specie. Ma non ci sembra questo il caso" . Tutti d' accordo allora? E se è così, perché i toni di questi giorni? I motivi sono diversi. Ci sono per esempio discordie mediche sulle alternative ancora possibili prima di tentare il trapianto genico. Secondo Alberto Ugazio, il pediatra che ha seguito il bambino salernitano in questi anni, è ancora utile pensare a un altro tipo di operazione prevista per i malati di "Scid" , il trapianto di midollo osseo, che però presenta il 20 per cento di rischio di mortalità. Diatribe tra medici? A complicare la materia, le voci che si sono levate contro il progetto di Bordignon sul versante "politico" , come l' interrogazione dei 15 deputati. Oggetto: il vuoto legislativo in materia. Al fondo un timore: che senza controlli, senza regole, si parta dal trapianto genico per arrivare chissà dove, alla manipolazione selvaggia, allo sperimentalismo fine a se stesso. Già c' è un precedente. Grazie all' assenza di leggi e controlli, dieci anni fa a Napoli approdò il ricercatore californiano Martin Cline, proprio per tentare il primo trapianto genico, proibito negli Stati Uniti, e poi conclusosi malamente. Spiega Fabio Terragni, fondatore del "Gruppo di attenzione per le biotecnologie" : "Con l' intervento proposto al San Raffaele, non siamo nel campo dell' ordinaria amministrazione. Non si può lasciare che l' arbitro assoluto della situazione sia il medico. Per definire le regole di un gioco che può essere pericolosissimo, in America hanno cominciato nel 1969, e oggi c' è un sistema molto sofisticato di filtro. Anche il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 16 marzo 1989 che proprio di trapianto genico si occupava, ha raccomandato una ponderazione dei rischi e di vantaggi" . In Francia è stato creato un comitato etico nazionale che fa capo direttamente a Francois Mitterrand. In Gran Bretagna è stato dato l' avvio a una serie di leggi che regolamentano il settore con l' Embryo Bill, che si occupa di esperimenti sugli embrioni. In Germania due settimane fa si è arrivati alla prima legge restrittiva sullo stesso argomento. Qui in Italia? Il vuoto, o quasi. L' anno scorso è stato creato il primo comitato bioetico presso la presidenza del Consiglio, diretto dal democristiano Andrea Bompiani. Dovrebbe definire gli indirizzi fondamentali, le idee guida di fronte ai grandi problemi posti dalla scienza. E infatti una riunione urgente è prevista per il 14 dicembre proprio sul caso del San Raffaele. Però siamo appena agli inizi. Ma è proprio una legge quello che occorre? Il fronte dei bioetici e degli scienziati propende piuttosto per un' altra ipotesi. Spiega Paolo Martelli, presidente di Politeia, il centro di studi e ricerche che a marzo ha organizzato un convegno sulla bioetica: "Una legge rigidamente intesa può essere di continuo superata da una materia come questa. Allora una strategia intelligente può essere quella di creare strumenti istituzionali flessibili, come i comitati etici a base territoriale, che facciano capo al Parlamento" . Concorda Maurizio Mori, filosofo del diritto e segretario della Consulta di bioetica fondata a Milano con il professor Renato Boeri: "Sono d' accordo sulla necessità di riflessioni approfondite in materia, non con lo scandalismo delle interrogazioni parlamentari" . Se per i cattolici il confine tra lecito e illecito è più sicuramente fissato dalle proprie convinzioni dottrinarie (l' Istruzione "Donum Vitae" del cardinale Ratzinger in materia di fecondazione artificiale risale al 1986 e contiene una casistica molto articolata), quali sono i principi fondanti di una bioetica laica? Spiega il filosofo Salvatore Veca: "Innanzitutto la dignità e l' autonomia della persona. E dall' altra parte il criterio della "minimizzazione della sofferenza evitabile" . Allora, se c' è una probabilità molto alta che attraverso un certo intervento il paziente arrivi a una condizione normale di vita, noi riduciamo le sue sofferenze. E dunque l' intervento è approvabile nonostante i rischi. Che però vanno attentamente valutati. Ma non ci sono certezze definitive. E anzi molto spesso la bilancia dei pro e dei contro rimane tragicamente ferma" . Una vita sulla bilancia, quella del bambino salernitano? L' augurio è che non rimanga in bilico. Testata Epoca Data pubbl. 21/11/90 Numero 2093 Pagina 74 Titolo STRARIPA LA MEANA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione STORIE Occhiello Marina Sommario Andreotti è il ministro Malfatto. Sgarbi il critico Arcangeli. Moravia lo scultore Stamira. Dando un nome a ogni pseudonimo, "Epoca" racconta segreti, retroscena e malignità del libro più pettegolo della stagione. Scritto dalla più maliziosa e chiacchierata signora dei salotti italiani. Didascalia Marina Ripa di Meana: il suo "Vizi, veleni e velette" (Mondadori) sarà il libreria il 20 novembre. A fianco: Marina Ripa di Meana e il marito Carlo, grande assente nel romanzo "Vizi, veleni e velette" . Un' assenza che fa pensare a una possibile collaborazione dell' europarlamentare alla stesura delle memorie mondane della moglie. A fianco, da sinistra: Donata Pecci Blunt, suo marito Dino, Vittorio Sgarbi e Marina Ripa di Meana. Sgarbi (Giannetto Arcangeli) è il protagonista di "Vizi, veleni e velette" : viene ucciso all' inizio del romanzo per una storia di ricatti. A fianco: Marina Ripa di Meana con Alberto Moravia. Lo scrittore nel romanzo è uno scultore, Antonello Stamira, marito settantenne di Dolores Ibanez (Carmen Llera), che viene descritto come "il grande artista che dominava la scultura italiana" . Testo Perfida Marina Stra-ripa di Meana, l' hanno soprannominata. Anche stavolta ha trovato il modo di dire a tutti il fatto loro, di seminare scandali e suscitare rancori. Il suo terzo libro, Vizi, veleni e velette, complice l' editore Arnoldo Mondadori che lo porterà in libreria il 20 novembre al prezzo di 28 mila lire, lancia un gioco piccante: quello dell' identikit mondano. Non farà nomi come in I miei primi quarant' anni e La più bella del reame, ma tutti sono autorizzati a scoprire chi si nasconde dietro persone e fatti "puramente immaginari" . E così ecco apparire in filigrana dietro i vari Malfatto e Valmontone, Dolores e Antonello, Arcangeli e Loulou, i veri Carmen Llera, Vittorio Sgarbi, Francesca Dellera, Stephanie di Monaco, Donatella Pecci Blunt. E persino Silvio Berlusconi, e forse, chissà, anche Giulio Andreotti... Risparmiato solo il marito, Carlo Ripa di Meana, da lei stessa ribattezzato nel primo libro "Orgasmo da Rotterdam" . Per i palati più esigenti si può riferire l' insinuazione che l' europarlamentare socialista collabori di mano propria alla redazione dei best seller della moglie. La storia? Un delitto: "il critico d' arte più sexy d' italia" , rinomato nel bel mondo oltre che per le virtù professionali per la sua indomita attività di sciupafemmine, muore assassinato. Ma mentre la polizia indaga tra le numerose amanti, altre tre vittime colorano di rosso sangue alcove e salotti. Chi è il colpevole? Ecco un elenco ragionato di probabili presunti assassini. Giulio Andreotti. Nel romamzo Vizi, veleni e velette, il ministro Manfredo Malfatto potrebbe essere lui. "Insolente con le sue freddure, un uomo imprendibile" . Finora, però, nessuno era riuscito ad attribuire delle amanti al presidente del Consiglio. Marina Ripa di Meana lo fa: Manfredo Malfatto viene sedotto con pratiche sadiche dalla contessa Teresina di Valmontone (vedi Donatella Pecci Blunt). Silvio Berlusconi. Nel romanzo, potrebbe essere il cavalier Borletti. Le sue caratteristiche lasciano pochi dubbi: residente a Milano, traffica in tivù e grandi magazzini, sempre circondato dai suoi dipendenti. Marina lo segue con un occhio di riguardo. Lascia invece scatenarsi tra le pagine l' attrice Maddalena Malavì (vedi Francesca Dellera), che piantata dal Borletti, si dedica a una frenetica caccia all' uomo tra i dipendenti del cavaliere. "Li lusingava, raccontando a ognuno di loro che come amanti erano veri talenti, e loro erano pienamente soddisfatti di essere almeno in un campo superiori al loro capo" . Francesca Dellera. Le quotazioni dell' interprete della Romana, si mormora a Roma, sono in ribasso. Il suo presunto alter ego, Maddalena Malavì, protagonista della Parmigiana, una diva rifatta dal lifting, che nel romanzo parla solo romanaccio, non se la passa meglio. E' ormai ridotta "a essere la scopata extra-matrimoniale di macellai e bottegai" . Marina Ripa di Meana, memore forse del premio parigino "The Best" in cui è apparsa a fianco di Vittorio Sgarbi, la mette tra le vittime di Giannetto Arcangeli (vedi, appunto, Sgarbi): "Solo lui mi ha amata, solo lui mi ha trattato da donna" , mormora Maddalena Malavì tra i guanciali del suo letto a forma di conchiglia, vagheggiando cene afrodisiache e scandalosi piaceri. Il suo ruolo? Quello della scema, ovviamente, destinata a perdere in pubblico, oltre che la faccia e la vita, tutte le sue imbottiture al silicone. Carmen Llera. Le origini spagnole di Dolores Ibanez Stamira, il carattere fiero, un marito-padre ultrasettantenne e grande artista, sembrano messi lì apposta a ricordare la vedova di Moravia. L' incipit del giallo è suo: notte gotica, lampi e bufera, lei alla guida della Mercedes. In mente, spietato, un proposito: far fuori Giovannetto Arcangeli. "Lui aveva distrutto il suo matrimonio" , si diverte a immaginare Marina Ripa di Meana, "e soprattutto l' aveva distrutta come donna" . Tra finzione e realtà, l' autrice del romanzo insinua, semina sospetti. Che il passato spagnolo di Dolores, con il suo corredo di amori saffici in bilico tra il sado e il maso, contestazioni studentesche e fumate di marijuana, riveli davvero quello di Carmen? Le similitudini sono tante. Una a caso: Dolores, trasferita a Roma, sposa il suo professore di italiano; Carmen quando era ancora in Spagna, quello di filosofia. Ma anche: Dolores scrive un romanzo. Titolo, Baalbek. Perché la città libanese? Il riferimento a Georgette, il libro dove Carmen Llera racconta la sua storia d' amore con il leader druso Walid Jumblatt, è ovviamente tutt' altro che casuale. Alberto Moravia. Marina straripa, non la frena neanche la sua antica amicizia con lo scrittore, che però nel libro è uno scultore e si chiama Antonello Stamira. "Il grande artista che dominava la scultura italiana" , per Dolores è un "amante scadente" se paragonato all' aitante professore Arcangeli (vedi sempre Vittorio Sgarbi). In compenso il grande vecchio, che nel libro gode fama di ex libertino, si mantiene lucido e imperturbabile. Esattamente come è successo in vita ad Alberto Moravia, lo scultore Stamira conosce nei dettagli le scappatelle della moglie, è pronto a sostenerla nei momenti di crisi. Donatella Pecci Blunt. In arte contessa Teresina Bacci di Valmontone, titolo acquisito nel libro grazie al matrimonio con Uberto di Valmontone (nella realtà conte Dino Pecci Blunt). Brava negli intrallazzi, maneggia senza molti scrupoli amicizie e denaro. Manager di se stessa, ha pubblicato un romanzo, La vendetta della contessa, e ha lanciato con una fantasmagorica festa un profumo, dal nome gravido di tristi presagi, Buio. L' identikit è perfetto. Donatella Pecci Blunt, animatrice instancabile del bel mondo di Roma, amica intima di politici come Andreotti e Spadolini, è guarda caso autrice di un libro, La contessa in rosso, e di un profumo, Le diable au corps. Fra le analogie una licenza romanzesca: a pagina 239 Teresina Bacci di Valmontone seduce il riottoso ministro Manfredo Malfatto, cioè Andreotti. Vittorio Sgarbi. I tratti somatici di Giannetto Arcangeli non lasciano dubbi: la vittima numero uno, il critico d' arte è lui. "Un metro e ottantadue ben distribuiti..., gli occhi dal bagliore arzillo nonostante la miopia che lo costringeva a portare un paio di occhiali dalla montatura di tartaruga... quel labbro inferiore molto più pronunciato del superiore che gli conferiva un' aria da sensualone" , scrive Marina Ripa di Meana. Altrettanto inequivocabile l' affresco caratteriale: "Una celebrità nazionale. Idolo di massaie e teen-agers che i mass media avevano trasformato contro ogni logica in una star" . Sgarbi conferma la somiglianza con l' Arcangeli: "Marina ha pensato al suo pubblico. Chi meglio di me poteva offrirle spunto? Ogni giorno un colpo di scena, una lite, una polemica. Attorno a me le situazioni eclatanti si creano spontaneamente, senza bisogno di costruirle a tavolino..." . Dà senza remore il suo beneplacito: "La Ripa di Meana" afferma, "è bravissima a mischiare arte e vita. Quasi un Oscar Wilde al femminile" . Principessa Stephanie di Monaco. "La prego, una minchia! Faccio il cazzo che voglio" , i modi della principessa Céline de Castoza lasciano a desiderare, ma i sentimenti sono autentici. Nel romanzo è una principessa cocainomane, in costante crisi d' astinenza, anche sessuale. Nonostante il veto del padre principe di Castoza, è decisa a sposare Giovannetto Arcangeli (vedi Vittorio Sgarbi). Cosa fa supporre che si parli di Stephanie di Monaco? Praticamente tutto: "fascino androgino" , gambe lunghe, sedere alto da brasiliana; il cucchiaino d' argento che si porta al collo; i modi appunto. Quelli della principessa Grimaldi non sono mai stati troppo ortodossi. Federico Zeri. Il critico d' arte si nasconde sotto le sembianze di Renzino Quattroventi. Si segue alla lettera la biografia di Vittorio Sgarbi. Atto primo: debutto in società. Il professore Quattroventi fa da mecenate al giovane Giannetto Arcangeli. Nel romanzo l' amicizia tra i due nasce durante un party in cui Renzino sfoggia una mise alla Peggy Guggenheim. Galeotto un quadro di Picasso, periodo blu. La relazione si rafforza sull' equivoco, con l' anziano critico che fa un po' da padre putativo un po' da appassionato amico e il giovane Arcangeli che a sue spese fa carriera e acquista notorietà. Una storia tormentata di amore odio e affari, un feuilletton finito in tivù con Sgarbi che proclama al Maurizio Costanzo Show: "Ti odio Zeri, voglio la tua morte" . Testata Epoca Data pubbl. 31/10/90 Numero 2090 Pagina 108 Titolo SIGNORI, CHE MANIERE Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione TEMPI MODERNI Occhiello COSTUME /GALATEI CONTRO Sommario Peggio mangiare male l' aragosta oppure ossessionare gli amici con le proprie chiacchiere? L' uscita del nuovo galateo di Donna Letizia divide gli esperti di bon ton. Che scendono in guerra tra loro. Ad armi cortesi. Didascalia Sopra: Adalberto Cremonese, autore di un nuovo galateo di prossima uscita per Rizzoli. In alto: Lina Sotis, autrice nel 1984 di "Bon ton" . A fianco: Colette Rosselli, in arte Donna Letizia. Il suo "Saper vivere" , un classico delle buone maniere, viene ora riproposto, aggiornato, da Mondadori. Testo Marzo 1984. S' incontrano a Roma Lina Sotis, giornalista di costume, e una principessa. La Sotis ha appena dato alle stampe un libretto destinato a far scalpore: Bon ton, il nuovo dizionario delle buone maniere. La principessa è stata invitata alla presentazione. Leggermente sdegnata, stretta nel suo Chanel, sibila all' autrice dello sciagurato volume: "Ma cosa hai fatto, cara? Adesso tutti tenteranno di diventare come noi" . Ottobre 1990. Riappare in libreria, a trent' anni dalla prima edizione e sempre da Mondadori, il nuovo Saper vivere di Donna Letizia, manuale storico della buona educazione nato dall' esperienza diretta dell' autrice nei suoi colloqui con le lettrici di Grazia nei lunghi anni Cinquanta. Segno che il prontuario della Sotis non è bastato a sgrossare gli italiani? Segno, questo sì, che il catastrofismo della principessa romana era eccessivo. Bon ton, è vero, è diventata espressione d' uso comune, Benetton l' ha persino appiccicata sulle sue magliette, un' azienda produttrice di tonno se n' è servita per un giochetto di parole sui cartelloni pubblicitari ( "Bon Ton" , papale papale). Eppure in materia non è ancora stata detta l' ultima parola. Anzi, le regole del galateo sembrano richiedere sempre ulteriori precisazioni e aggiornamenti. Questo almeno il messaggio che si desume dall' ultima fatica della maestra del genere: donna Letizia, nome d' arte di Colette Rosselli, gran dama del bel mondo, scrittrice, pittrice, moglie del giornalista Indro Montanelli. Secondo lei, gli anni Novanta non potevano cominciare senza adeguati ritocchi al galateo. "L' editore continuava a ristampare sempre la vecchia edizione, antiquata e fuori dal tempo" , dice. "Ma io mi sono rifiutata e così siamo arrivati a un compromesso: avrei aggiornato i miei insegnamenti" . Per esempio, ai giovani bisogna spiegare come comportarsi in discoteca, alle ragazze come gestire il "passaggio del Rubicone" , alle "single" come ottenere il massimo dalla propria libertà senza scivolare nella sconvenienza. Quanto ai consigli per le signore, si va dalle poche e semplici regole in caso di assunzione di camerieri (e c' è tutta una casistica a seconda che l' uomo o la donna di servizio siano indigeni o "esotici" ) al come comportarsi per evitare gli scippi (tenere a casa il Rolex e uscire con lo Swatch). "Ci sono classi in ascesa che hanno assoluto bisogno di sapere" , spiega Colette Rosselli. Ma davvero il mondo di fine secolo ha bisogno di rispolverare riverenze e vecchi merletti? La prima a non esserne del tutto convinta è l' ex madame bon ton, Lina Sotis: "Non credo che ci sia l' urgente necessità di riportare in auge usanze formali. Al contrario è ora di cercare qualcosa di più vero" . In che senso? Chiarisce la Sotis: "Prendiamo certi uomini... Quel loro approccio formale che riesce a rendere glaciale persino una cena a lume di candela. E quei baciamani senza sguardo, come fossero fatti a madre Agostina" . In effetti, i nuovi sacerdoti del galateo stanno imboccando strade diverse da quella storica e tradizionale di Donna Letizia. Per esempio, mettono in primo piano i comportamenti "ecologici" , bollano d' ignominia chi strombazza in mezzo al traffico, dichiarano una guerra santa ai riti ciarlieri dei salotti alla moda. "Chi se ne importa che uno sappia mangiare bene l' aragosta, quando non possiede altri e più importanti criteri di civiltà?" , dice Adalberto Cremonese, amico della Sotis e autore di un nuovo manuale in fase di preparazione per Rizzoli. "Così come il linguaggio, i "vogliodire" , i "cioè" a raffica, l' uso delle parole straniere, tutti sintomi di pessima educazione" . Il linguaggio, appunto, body building del galateo. Dappertutto, in strada come in casa, tra gli operai della Breda come tra le signore dei circoli più in. Ma non è solo, come si può pensare, una questione di volgarità. Piuttosto è il narcisismo esaperato, il mettersi sempre in mostra, l' ossessionare gli altri con l' epopea delle proprie prodezze. "Che mancanza di classe" , commenta Gabriella Turnaturi, sociologa dell' Università La Sapienza di Roma e autrice di un saggio sulla storia del galateo (Gente perbene, per la SugarCo). "Quante serate ad ascoltare il giornalista di turno che angoscia gli altri con il suo viaggio in Libano, quanta gente sempre pronta a raccontare i fatti propri senza un minimo di riservatezza..." . Altro capitolo, altra ossessione: quella tecnologica. Dall' America arrivano suggerimenti su come salvarsi la vita con eleganza. Un' esperta in materia è Judith Martin, ribattezzata negli Stati Uniti, "miss Manners" , signorina buone maniere. L' anno scorso ha preparato settecento pagine per riaggiornare il saper vivere nel segno del fax, del telecomando, della cornetta in automobile, della segreteria telefonica. Per la verità anche Colette Rosselli si occupa di segreterie telefoniche, ma giusto di passata. Consiglia appena: "Messaggi chiari e concisi, un grazie finale, e bando alle tiritere interminabili" . Guerra di galatei, dunque. Da un lato gli ortodossi, dall' altro gli innovatori, che hanno il vantaggio di avere mondi sterminati da mettere in riga. Le aziende, ad esempio. Le nuove tavole della legge portano la firma del gruppo Berlusconi: i giornalisti Fininvest sono stati pregati ufficialmente qualche settimana fa di non bere, non rubare, non dire parolacce. Proteste degli interessati? Chissà cosa avrebbero dovuto dire, allora, i dipendenti giapponesi della Hitachi, quando si sono visti consegnare un videotape con prescrizioni di questo tipo: davanti a un collega è d' obbligo inchinarsi, ma a 15 gradi; davanti a un superiore occorre invece uno sforzo maggiore, 45 gradi. Tornando in Italia, il mensile Capital tentò lo scorso anno un' incursione nel tema amori in ufficio. Consiglio: meglio una sola volta, e che i recidivi facciano attenzione "a pianificare bene la relazione" . Consigli minimi. Ben più sostanzioso l' apporto alle nuove frontiere del galateo offerto dalle agenzie di pubbliche relazioni. "Siamo noi che abbiamo inventato l' apparire" , dice Elda Lanza, titolare dell' omonima agenzia milanese e autrice di un volume, I riti della comunicazione, edizioni Sperling & Kupfer, sull' arte dell' incontro, dalla tavola rotonda al congresso alla festa in casa. "Abbiamo aiutato personaggi come Armani, Craxi e De Mita ad affrontare correttamente il pubblico" . Problema non da poco, anche per la gente comune che ha che fare con platee esigue ma non per questo sempre docili. Già negli anni Settanta, Brunella Gasperini si chiedeva cosa fare se, invitati a casa di persone assolutamente per bene, qualcuno degli ospiti si fosse messo a fumare hashish o marijuana. Risposta tollerante e ragionevole, come del resto ogni buona norma del saper vivere: "I casi sono due: se volete provare anche voi il brivido dell' esperienza è affar vostro. Se invece non volete provare, comportatevi come un astemio tra gli sbronzi e accomiatatevi al più presto: senza comunque mostrarvi indignati o scandalizzati, senza far prediche o luttuosi vaticini" . E in caso di divorzio? Anche qui, per favore, bon ton! Recita Colette: "Dovrebbe essere il marito a lasciare il domicilio coniugale. Nel frattempo la moglie sarà cauta nelle frequentazioni, non farà confidenze personali a Tizio e Caio, e resisterà alla tentazione di descrivere il marito come un bruto" . Più o meno la stessa cosa raccomandata da una sentenza della Cassazione poco più di un anno fa: in caso di dissidi con il coniuge, il rispetto e la buona educazione sono d' obbligo, e utili in caso di controversie legali. Come dire: la regola contro l' emozione, il giusto mezzo contro l' eccesso. "Il galateo funziona da ansiolitico" , dice Gabriella Turnaturi. "Soprattutto nei momenti di grande trasformazione sociale i comportamenti diventano confusi. C' è bisogno quindi di norme certe, che rassicurino" . Una di queste norme, piccolissima ma significativa, è applicata non a caso nel salotto di casa Rosselli, nel centro di Roma. A chi le chiede se può fumare, Donna Letizia mostra cortese una targhetta in plastica nera. Sopra, incisa a caratteri d' oro, la scritta: "Fumare mi fa male" . Testata Epoca Data pubbl. 24/10/90 Numero 2089 Pagina 23 Titolo SCONTRO FISICO Autore Maria Grazia Cutuli Sezione SIGNORE E SIGNORI Sommario Gli scienziati del Cern protestano per lo stipendio. E chiedono le dimissioni del direttore Carlo Rubbia. Che reagisce così. Didascalia Sopra: Carlo Rubbia, 56 anni, Nobel per la fisica e direttore del Cern. Testo Gli ingredienti sono i soliti: assemblee infuocate, piattaforme agguerrite, minacce di sciopero. Solo che questa volta il teatro dell' agitazione sindacale non è un' azienda qualunque, ma un prestigioso organismo scientifico internazionale, il Cern (Centro europeo di ricerche nucleari) con sede a Ginevra. E il direttore generale del Cern non è un manager come tanti altri, bensì Carlo Rubbia, uno dei massimi scienziati italiani, premio Nobel per la fisica. Eppure, i ricercatori del Cern hanno appena chiesto per lettera le sue dimissioni da direttore. E minacciano di paralizzare l' attività del Centro di ricerca fino a quando le loro rivendicazioni non saranno accolte. Una sommossa. Che ha, come casus belli, una questione squisitamente salariale. I ricercatori del Cern vogliono infatti che i loro stipendi vengano adeguati a quelli percepiti dagli scienziati in forza presso altri più ricchi organismi internazionali. Carlo Rubbia, sulla carta, è perfettamente d' accordo con loro: "Non è giusto sacrificare i diritti del personale nel nome della ricerca scientifica" , dichiara. Perché allora i sindacati hanno chiesto le sue dimissioni? "Non è un attacco personale nei miei confronti" , chiarisce Rubbia, "ma solo un modo per far pressione sui veri interlocutori di questa trattativa, cioè sui quattordici Stati membri che sovvenzionano il Cern. Sono questi Stati che reggono i cordoni della borsa, e per il momento non hanno intenzione di allargarli" . Qual è, allora, il suo ruolo in questa vicenda? "Di semplice mediatore" , sostiene il Nobel italiano, che segnala: "Per il momento, qui al Cern si continua a lavorare" . Un ottimismo pienamente condiviso da Renato Angelo Ricci, presidente dei fisici italiani. Il quale ricorda "la felice circostanza di avere alla direzione del Cern un italiano, Carlo Rubbia, e un altro italiano alla presidenza della Società europea di fisica, cioè il sottoscritto, proprio nel periodo in cui l' Italia è alla presidenza della Cee" . Un privilegio da non perdere. Testata Epoca Data pubbl. 17/10/90 Numero 2088 Pagina 24 Titolo SANREMO FEDELI Autore Maria Grazia Cutuli Sezione SIGNORE E SIGNORI Sommario Deciso: il Festival resta alla Rai e al solito Aragozzini. Malgrado Forlani. Didascalia Sopra: Adriano Aragozzini. In alto: Marco Ravera. Testo "Offerte da Berlusconi? Trattative con Telemontecarlo? Macché. Ogni anno la stessa storia, quando si parla del Festival di Sanremo ci troviamo di fronte alle ipotesi più fantasiose" . Onorato Lanza, sindaco democristiano del Comune ligure, smentisce ogni voce di divorzio con la Rai. "No, non ci sono contrasti con la tivù di Stato. Il 5 ottobre abbiamo incontrato i dirigenti di viale Mazzini: la collaborazione dovrebbe essere garantita per altri sei anni" . Eppure giovedì 4 ottobre il consiglio comunale di Sanremo si era pronunciato in maniera diversa: "Basta con il monopolio Rai" , avevano detto tutti i partiti della città rivierasca. Sembrava ci fosse un chiaro orientamento a favore della Fininvest o persino di Telemontecarlo (che si era fatta avanti con un' offerta miliardaria). Invece era solo una provocazione, un gioco al rialzo, per ottenere da viale Mazzini qualcosa in più. Cosa esattamente? "Innanzitutto la costruzione del Palafestival. Tocca alla Rai realizzarlo, non può certo farsene carico il Comune" , dice Massimo Tavanti, segretario della Dc a Sanremo. Resta però aperto un altro fronte, su cui l' amministrazione sanremese deve però scendere a patti con Piazza del Gesù. Sarà ancora il demitiano Adriano Aragozzini a organizzare la manifestazione canora nei prossimi anni? O prevarrà la candidatura di Marco Ravera, figlio di Gianni (per anni patròn del Festival) appoggiato dai forlaniani? La Dc di Sanremo, in testa l' assessore al Turismo Ninetto Sindoni, ha votato per Aragozzini. Ma c' è chi, come il sindaco Lanza, preme invece per la seconda opzione. Risultato? Un compromesso: l' edizione 1991 sarà di Aragozzini, in seguito si parla di un' alternanza con Ravera. Testata Epoca Data pubbl. 17/10/90 Numero 2088 Pagina 100 Titolo LA RIVINCITA DI "QUELLE" Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione TEMPI MODERNI Occhiello COSTUME / PRETTY WOMAN E LE ALTRE Sommario Riprende vigore il partito delle case chiuse. E le prostitute insorgono. Aiutate da un' ambasciatrice d' eccezione: Julia Roberts. Ma c' è qualcosa in comune tra la fiaba di "Pretty Woman" e le storie vere di marciapiede? "Epoca" ha rivisto il film del momento con un occhio molto particolare: quello delle ragazze di vita italiane. Ecco il loro autorevole parere. Didascalia A sinistra: prostitute e clienti alla periferia di Bologna. Sopra: l' attrice Julia Roberts in una scena di "Pretty Woman" . A destra: la Roberts al trucco. A destra: Julia Roberts. A sinistra e sopra: prostitute in attesa. "Ci sono alcune cose in "Pretty Woman" che sono credibili" , dice Pia Covre, "altre meno: per esempio, quando lei dice a Richard Gere che è disposta a "fare tutto" . Nessuna del mestiere si metterebbe mai così a disposizione del cliente" . A fianco e sopra: prostitute vere. A destra: Julia Roberts, la prostituta di "Pretty Woman" . Credibile? "Se è per questo, è molto meno credibile Richard Gere come cliente" , dice Carla Corso. "Si è mai visto un mago dell' alta finanza che raccoglie le sue amanti sul marciapiede?" Testo "Puzzano. I clienti si lavano sempre poco. Questo invece non era un habitué di puttane: era profumato, con i capelli corti, impomatati. "Sei per caso militare?" , gli chiedo quando finiamo di scopare. E lui: "Sì, lavoro come ufficiale nell' esercito" . Poi mi invita a cena" . La storia comincia così, una sera di cinque anni fa, su una statale dell' Emilia Romagna. Sonia, nome d' arte ovviamente, accetta di uscire con l' insolito cliente. Cominciano a frequentarsi assiduamente. "Tre anni fa" , racconta, "ha lasciato la moglie e il figlio per vivere con me" . Davvero può succedere? Storia di Sonia a parte, c' è un film a sostenerlo. E non un film qualunque: Pretty Woman, con la bellissima Julia Roberts, nel film Vivian, che fa la vita sull' Hollywood Boulevard di Los Angeles. Un bel giorno incontra per caso, per puro caso, un principe della finanza, Richard Gere, che la porta in albergo, la tiene con sé una settimana e alla fine, conquistato, la chiede in moglie. L' America si è molto commossa di fronte a questa nuova immagine di prostituta, così poco cinica e così tanto tenera, ironica, affascinante e niente affatto rovina-famiglie, anzi. Risultato: un incasso di 173 milioni di dollari, duecento miliardi di lire, più di agguerritissimi concorrenti come Caccia a ottobre rosso con Sean Connery e Total recall, ultima sovrumana fatica di Arnold Schwarzenegger. A settembre, appena la fiaba attraversa l' oceano e sbarca in Italia, il successone si ripete. Pretty Woman conquista in un baleno il primo posto in classifica dei film più visti, e lo mantiene saldamente a dispetto dei "bravi ragazzi" di Scorsese, del Dick Tracy di Warren Beatty, delle "quarantotto ore bis" della strana coppia Eddie Murphy-Nick Nolte. E diventa un caso, non solo sul piano della cassetta. Pur con tutta la sua mielosissima morale hollywoodiana, con i belli che sono anche buoni e che, dio lo vuole, alla fine vincono sempre quale che sia il mestiere che esercitano, Pretty Woman è anche per certi versi un film trasgressivo. Porta alla ribalta, e in luce tutt' altro che rossa, una figura, quella appunto della prostituta, storicamente condannata al buio, alle tenebre metaforiche, a parti, nella commedia umana, non propriamente invidiabili. Avrà dei riflessi, sul piano del costume, questo piccolo ma significativo cambio di ottica? Le colleghe italiane di Julia Roberts trarranno qualche giovamento dalla nuova immagine che è stata data di loro? Insomma: si può parlare di rivincita di "quelle" ? Migliaia di spettatori per il film del momento. Tra questi anche Pia Covre e Carla Corso, lucciole ormai storiche di Pordenone, rispettivamente segretaria e presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute. Loro due ci sono andate una sera dopo che la parrucchiera di Carla aveva detto: "Questo film può interessarvi..." . Un occhio da addette ai lavori. "Julia Roberts, credibile? Beh, sì. La sua dichiarazione d' intenti all' inizio, "non scherzo mai sui soldi, non bacio in bocca" , è tipica di una puttana" , dice Pia. "Ma quando promette a Richard Gere: "Io faccio tutto" , allora cominciamo a non esserci. Nessuna del mestiere si sognerebbe mai di mettersi a disposizione così di un cliente" . Carla è ancora più dubbiosa: "Si è mai visto un manager di successo che raccatta le sue amanti sul marciapiede?" . Pretty Woman l' ha visto anche Sonia, la prostituta emiliana. La diverte riconoscere i passaggi della sua storia: "Lui che la porta in pubblico, la cena d' affari con i suoi concorrenti... Mi fa pensare al mio militare, le cene al Circolo ufficiali: ogni volta che tra di noi c' è crisi, mi invita là. E' il suo modo di rassicurarmi" . Altri punti in comune tra Sonia, prostituta vera, e Vivian, prostituta da film? Il principio e la fine, il mestiere e il destino. Ma attenzione, perché tra la favola e la realtà c' è uno scarto essenziale: Vivian diventa una donna "onesta" , Sonia continua a battere il marciapiede della riviera romagnola. Possibile? Sì e, a sentire l' amata del capitano, anche spiegabile. "Mi terrorizza l' idea di dover dipendere economicamente dal mio uomo" , racconta scuotendo il caschetto di capelli rosso tiziano, "di perdere la mia autonomia. E' forse una scelta che prima o poi dovrò fare, ma non mi sento ancora pronta" . Moglie e prostituta? Per quanto faccia a pugni con la morale corrente, i due ruoli forse possono sovrapporsi, alternarsi, coesistere. C' è un altro film che torna sull' argomento, andando oltre il sogno rassicurante di Pretty Woman. Si tratta de I divertimenti della vita privata di Cristina Comencini, presentato fuori concorso a Viareggio la scorsa settimana per Europa Cinema. Racconta lo scambio di parti, guidato da un vecchio libertino, tra Julie, borghese benestante, e Mathilde, attricetta di facili costumi. La morale è capovolta: Julie rinuncerà alla famiglia e ai suoi affetti sedotta dalla nuova vita, Mathilde si appassionerà invece al triplice compito di sposa, madre e adultera. Il vaudeville ammicca a un cambiamento di mentalità... Sul piano sociale, comprensibilmente, la sfida alla rispettabilità è ben più complessa. Sono passati otto anni da quando Pia Covre e Carla Corso hanno fondato a Pordenone il Comitato per i diritti civili delle prostitute. Debuttarono, con gran fragore, così: "Fino a quando siamo puttane, delatrici, vittime ricattabili di un protettore, veniamo tollerate. Ma appena pretendiamo di usufruire degli stessi diritti riconosciuti a tutti i cittadini, veniamo perseguitate con la minaccia di toglierci i figli, del ritiro della patente, del foglio di via. L' ipocrisia della legge Merlin non ha risolto il problema, se di problema si tratta, della prostituzione e quindi noi ne chiediamo la revisione" . Successe una specie di finimondo, vuoi per la provocazione culturale che quella uscita allo scoperto comportava (stiamo parlando della più coperta delle professioni), vuoi perché è vero che la prostituzione in Italia non è reato ma è anche vero che tutti la vivono come se lo fosse, compresa la Polizia e le prostitute stesse. Polemiche, scontri con le femministe, ironie feroci, ma anche, da allora, otto nuove proposte di legge per la revisione della "Merlin" (presentate da un ventaglio di partiti amplissimo, dal Pli a Dp) e, nel 1988, una modifica della legge di pubblica sicurezza per limitare l' uso del foglio di via. Nel frattempo, rispetto a otto anni fa, qualcosa è cambiato anche nel piccolo mondo antico della prostituzione. La femmina da marciapiede classica ha praticamente lasciato il posto ai nuovi soggetti del sesso un tanto all' ora e si è trasferita in case private, nascosta, si fa per dire, dietro le colonne degli annunci a pagamento dei quotidiani. Al suo posto, sulla strada, prostitute di colore (esemplare il racket organizzato a Roma da Onyebuisi Ezeagbu, una nigeriana di 29 anni che importava nordafricane e, prima di venire arrestata, le costringeva a prostituirsi con minacce e rituali vodoo), travestiti e transessuali, spesso di origine straniera. Più l' onda lunga delle tossicodipendenti ( "ormai rappresentano il 40 per cento della categoria" , stima Pia Covre). Ma la vera minaccia, almeno dal punto di vista delle "lucciole organizzate" , è la ripresa di vigore del movimento di opinione che preme per la riapertura delle case chiuse. "Un' idea assurda, fuori dal tempo" , dicono a Pordenone. "Rischia di criminalizzarci e di crearci attorno un altro ghetto. Saremmo schedate, controllate, nuovamente sfruttate..." . A molti però sembra l' unico sistema per combattere l' Aids. L' ha detto in Francia, la scorsa estate, l' ex ministro della Sanità, la signora Michèle Barzach, progettando "maisons closes" autogestite. Ma l' aveva pensato anche in Italia, già nel 1988, il deputato socialdemocratico Antonio Bruno, la cui proposta di legge per l' istituzione delle "colline dell' amore" è stata di recente rilanciata sulla scorta di sondaggi d' opinione che davano la maggioranza degli italiani favorevoli al ritorno delle case di tolleranza. Tra i nostalgici è stato arruolato, galeotta un' intervista, persino Federico Fellini. Ma c' è veramente bisogno delle case chiuse per arginare il rischio dell' Aids? Sembrerebbe di no. I dati del ministero della Sanità dicono che su un totale di 5912 casi adulti esaminati dall' Istituto superiore di Roma le prostitute colpite dal virus sono in tutto tre. La stessa cosa confermano i risultati della prima indagine epidemiologica specifica promossa dal ministero: 3 casi di sieropositività su 190 professioniste non tossicodipendenti. "Ormai l' uso del preservativo è diventata una regola, almeno tra le puttane di mestiere" , dice Pia Covre. "Difficilmente se ne trova una che ne faccia a meno" . Eh già, anche Julia Roberts in Pretty Woman ostenta allegramente davanti agli occhi sorpresi del partner la sua collezione di profilattici: rosso, blu, giallo, verde. E dorato, per prestazioni speciali... Tornando all' indagine del ministero, emerge un altro dato, più legato alla sfera del privato: le prostitute si dichiarano tutte monogame, tendono fortemente a trovare un compagno a cui essere fedeli, in generale investono molto sui rapporti affettivi. Come la protagonista di Pretty Woman? "Beh" , dice Carla Corso, "a livello di aspettative forse sì. Quasi tutte le puttane sognano in fondo l' uomo che risolva i loro problemi. Ma non per un fatto economico: con questo mestiere si arrivano a guadagnare anche quattro-cinque milioni al mese... E' piuttosto un bisogno di riscatto dalla poca stima del mondo" . Lasciando stare i paragoni con Richard Gere, che faccia hanno, chi sono, cosa pensano i potenziali "riscattatori" , cioè i clienti delle prostitute? Universo inafferrabile, quanto e più di quello delle lucciole. Secondo un' indagine realizzata l' anno scorso dall' Aspe, l' agenzia di Torino che fa capo al gruppo Abele di don Luigi Ciotti, vengono da tutte le classi sociali e sono tendenzialmente giovani. I più assidui, però, a detta di Carla Corso, sarebbero operai, commercianti e militari. Ultimi, i professionisti. Che poi oltre al sesso cerchino sfogo e conforto (il 55 per cento parla volentieri dei propri problemi e delle proprie frustrazioni), non garantisce certo che si trasformino in compagni. La storia di Sonia con l' ufficiale, come riconosce lei stessa, è abbastanza insolita: "Generalmente non accettiamo gli inviti dei clienti. Non li stimiamo, non riusciamo a immaginare un rapporto di amicizia o di fiducia con loro" . Viceversa, i clienti, almeno sulla carta, sembrano più disponibili a innamorarsi, capaci talvolta, come racconta un articolo di testimonianze pubblicato sul numero di ottobre di Marie Claire, di mettere in crisi la propria esistenza con un scelta di questo tipo. Ma secondo Maria Rosa Cutrufelli, membro del comitato centrale del Pci e autrice de Il cliente, libro-inchiesta sulla prostituzione pubblicato qualche anno fa da Editori Riuniti, "non si arriva mai a un rapporto sereno; piuttosto a convivenze inquiete, nevrotiche. E' raro che un uomo riesca ad accettare tranquillamente il mestiere della sua donna" . Conferma Sonia, ma con un distinguo di una certa rilevanza: "Sì, lui è geloso. Della mia autonomia, però, non dei miei clienti. Di quelli non parliamo mai" . Già, il silenzio. Matrimoni che durano da anni, come quello di Anna S. di Roma, "senza che lui abbia mai detto una parola sul mio mestiere" . Rimozioni forzate, come quella di Silvia L. che a Trieste ha sposato un ricco commerciante, si è aperta un ristorantino, ha tagliato i ponti con tutto. "Dieci anni" , dice, "per dimenticare il passato" . Non dimenticano gli altri, però. "Li sento quando mormorano a mezza voce, ogni volta che entro in un negozio o che passo per strada: quella lì faceva la zoccola" . O come Lisa D.: voleva un figlio a tutti i costi che potesse crescere in una famiglia normale, nelle migliori condizioni possibili. Ha sposato un operaio, disoccupato. Ha smesso di battere. Oggi la sua vita trascorre tra i casermoni popolari alla periferia di Milano e un lavoro di domestica. Diecimila lire l' ora. Con le marchette sarebbero cinquantamila a cliente. Dieci minuti, non di più... Pretty Woman, insomma, una bella favola. Con un interrogativo, osserva Pia Covre, forse non a caso lasciato in sospeso: che cosa succederà dopo, quando i due protagonisti andranno a vivere assieme? Pia ha dei dubbi, e racconta: "Ce l' ho avuta anch' io una storia così, a ventitré anni. Ero stata chiamata da un' azienda, in occasione di una fiera, per intrattenere i clienti. E' venuto a prendermi lui, un dirigente della ditta" . L' attrazione è stata fatale. Dopo un po' di tempo ha anche lasciato la moglie. "Era una persona stupenda, ma non ha retto allo stress" , ride Pia. "Dopo un paio di anni è tornato a casa" . Testata Epoca Data pubbl. 10/10/90 Numero 2087 Pagina 8 Titolo MISTERO CARMEN Autore DI MARCO FINI hanno collaborato Maria Grazia Cutuli e Giulia Incisa Sezione COPERTINA Sommario E' entrata di corsa nella vita dello scrittore. E ha fatto scandalo. Ora lo scandalo si ingigantisce: intorno a una eredità da venti miliardi di lire, ma soprattutto intorno a lei, come sempre inafferrabile, controversa, provocatoria. Arrampicatrice comune o predatrice senza scrupoli? Moglie modernissima o musa sfaccendata? Dalla travolgente conquista dell' autore della "Noia" al patto con cui lo legò, dai tradimenti alle fughe, alle maldicenze, storia segreta di una donna tutta sola: la vedova Moravia. Arrivò a Roma in una notte di luglio. In tasca un biglietto. Firmato Gianni. Il clan Moravia non ha mai accettato Carmen ma non è nemmeno insorto a voce alta. Donna Letizia a Moravia: "Diffida della donna che ride con denti felini" . Era stato proprio Moravia a insegnarle che si tradisce col cuore, non con i sensi. Didascalia Alberto Moravia e Carmen Llera nella casa di Lungotevere delle Vittorie, a Roma. Alle spalle di Moravia il ritratto regalatogli da Renato Guttuso. La Llera incontrò lo scrittore nel 1981, quando lo intervistò per il "Giornale di Sicilia" , con cui collaborava. A fianco: Carmen Llera per le vie di Roma con Walid Jumblatt, nell' aprile del 1986, tre mesi dopo il matrimonio con Moravia. Carmen aveva conosciuto il leader druso poche settimane prima a Stoccolma, durante i funerali di Olof Palme. Un rapporto, quello con Jumblatt, che Carmen Llera avrebbe descritto, secondo alcuni, nel suo primo romanzo, "Georgette" . A sinistra: Carmen e Moravia a Sabaudia. Carmen Llera è nata a Tudela, in Navarra, nel 1954. Due lauree, una in Storia moderna a Saragozza, l' altra in Lettere a Roma, ha scritto due romanzi: "Georgette" , Mondadori, nel 1988, e "Lola e le altre" , Bompiani, 1989. Ancora Bompiani, a metà ottobre, pubblicherà il suo ultimo lavoro, "Dall' Atlantico al Negev" . A sinistra in alto: Moravia tra le sorelle Elena (a sinistra) e Adriana. In basso: la scrittrice Dacia Maraini, compagna di Moravia dal 1962 al 1980. Album di famiglia di Alberto Moravia e Carmen Llera. A fianco: alla proclamazione dei vincitori del Premio Fregene, nello scorso settembre. A sinistra: il giorno del matrimonio, il 27 gennaio 1986. Carmen Llera era alle sue seconde nozze. Diciannovenne, aveva sposato in Spagna il suo professore di liceo ed aveva avuto un figlio, Ettore, che ora ha 16 anni e vive a Salamanca con il padre. A fianco: Carmen Llera nella camera ardente di Moravia, appena rientrata dal Marocco, dove stava preparando un reportage. Quale che sia il testamento dello scrittore, a Carmen Llera spetterà per legge almeno il 50 per cento dell' eredità. Testo Racconta un fotografo francese, che ha frequentato la coppia in questi ultimi mesi: "A metà agosto sono andato a trovare Moravia a Sabaudia. Con me c' era lei, Carmen. Abbiamo fatto il bagno in mare, poi Carmen si è addormentata sul divano in salotto. Alberto le stava di fronte, teneva un libro in mano, ma guardava lei, la spiava forse un poco, ma non solo, c' era molto amore in quella scena, qualcosa di particolarmente intenso. Non ho resistito e ho cominciato a scattare da dietro la porta" . Un altro ricordo, visivo anch' esso, in una donna che frequentava i Moravia assiduamente: "Era la primavera del 1981, la mattina presto Carmen correva nuda sulla spiaggia di Sabaudia. Alberto deve averla vista così la prima volta" . Così di corsa, con i giovani capelli al vento, Carmen Llera era entrata nella vita dello scrittore, dandole una nuova carica, in una stagione estrema, che vede spegnersi ogni passione. Quell' amore ha fatto scandalo finché Moravia ha vissuto; ora che è morto, lo scandalo si rinnova e ingigantisce. La ragazza dalle lunghe gambe strette nella tuta collant, con la chioma svolazzante sul suo rosso motorino da adolescente, vista mentre girava per le strade di Roma, a poche ore di distanza dal funerale, non faceva pensare a una vedova inconsolabile. E già si scatenava la girandola delle ipotesi sulla cifra di quella vedovanza comunque straricca (quanto oltre a quello che gli toccava di diritto, le era stato destinato dal tardivo testamento dello scrittore valutato nell' ordine di almeno 20 miliardi?). Non più tardi di un paio di anni fa Carmen aveva dichiarato, in un' intervista, che non intendeva sopravvivere al marito, ma la crescente indipendenza dal Moravia declinante degli ultimi mesi aveva rafforzato nell' opinione contraria gli amici dello scrittore. Al momento della morte, lei non era con lui, come sempre più spesso accadeva da qualche tempo. Era in Marocco, nell' amato deserto, forse con un incarico giornalistico, forse in gita di piacere. Sta per uscire il suo terzo romanzo (Dall' Atlantico al Negev, Bompiani), la ragazza è rimasta vedova al momento giusto, quando ormai non c' era più bisogno della protezione di Moravia, pensano gli amici di più vecchia data del romanziere. A farla sopravvivere provvederà benissimo quell' istinto di predatrice, che ha guidato le sue mosse da quando non ancora ventenne lasciò il piccolo borgo di Tudela in Navarra, per partire alla conquista del mondo. Iniziando dalla zona più espugnabile, l' Italia. Tuttavia, può la sua biografia essere ridotta a quella di una banale arrampicatrice? Moravia era affetto da demenza senile, se in lei ha creduto di scorgere i tratti di una donna originale e affascinante? Figlia di un piccolo proprietario terriero che è stato sindaco franchista del paese, Carmen riceve l' educazione di base in collegio, dimostra precocemente interesse alle materie umanistiche e a chi gliele insegna, rimanendo incinta del suo professore di filosofia, quando è ancora al liceo. Il matrimonio riparatore che ne segue non dura più di un anno. Il marito, intellettuale allora di opposizione, la introduce nell' ambiente del partito socialista e socialista è il suo primo grande protettore, Enrique Tieno Galvano, figura di spicco dell' Internazionale, amico di Norberto Bobbio. La ragazza si laurea a Saragozza in storia moderna, con una tesi sull' espulsione dei Gesuiti dalla Spagna. Poi, dato alla luce un figlio, s' imbarca con un piccolo incarito di lettrice per l' università di Palermo. E' il 1978, quando, una notte caldissima di luglio, arriva a Roma, con un foglietto ripiegato in borsa e una chiave. Nell' appunto c' è l' indirizzo e poche righe: "Ciao amore, attraversa il cortile, sali le scale che portano in terrazza e apri la piccola porta verde. Ci vediamo a settembre, se ci sei ancora. Baci, Gianni" . La casa è minuscola, ma l' indirizzo è eccellente, Villa Paganini, ai Parioli. Carmen, con un piccolo contratto all' università di Roma, prende una seconda laurea, sui rapporti fra letteratura e cinema in Bun' uel, può guardare in alto. E' un fascio di attraenti contraddizioni, piccolo borghese anarchica d' istinto, ama le élites del potere e quelle senza potere, come dire i politici e gli intellettuali. Ninfa Egeria dei socialisti spagnoli e italiani, si lega volentieri anche ai comunisti, più intransigenti. Ha amici nell' ex giro di Pasolini, con la nipote dello scrittore-regista assassinato diventa intima e insieme vanno a Sabaudia, nella casa che era appunto di Pasolini, accanto a quella di Moravia. Intervista il vecchio scrittore per un quotidiano siciliano. Moravia lo conosce da tempo, come scrittore. Quando era bambina ne leggeva i romanzi in bagno come si fa con i libri proibiti. Dall' intervista all' amicizia, all' amore. Dalla convivenza per 5 anni al matrimonio. Era il 27 gennaio 1986, lei aveva 32 anni, lui 78. Moravia era della solita deliziosa eleganza: in tweed, con vistosa cravatta color fucsia, sotto un montgomery marrone di gusto infantile. Lei, griffata Fendi, inalberava un cinematografico paio d' occhiali con montatura rosso fuoco e labbra color ciclamino. Lo scandalo serpeggiava nella piazza del Campidoglio gremita di fotografi. Era stato Moravia a volere il matrimonio, dopo che la morte di Elsa Morante l' aveva reso di nuovo libero di stato (per più di 20 anni non aveva mai voluto chiedere il divorzio da quella sua prima amata-odiata moglie, pur convivendo intensamente con Dacia Maraini). Molti si meravigliarono di quel secondo matrimonio. Ma bastava aver letto con attenzione l' insolito ritratto-identikit che Moravia aveva fatto della sua compagna 2 anni prima, ad uso dei giornalisti, per capire che il romanziere aveva trovato l' incarnazione esatta delle protagoniste dei suoi romanzi e se l' era voluta assicurare. La descrizione è di geometrica esattezza. Portamento dinoccolato come di uomo appena sceso da cavallo; capelli non baudelairianamente voluttuosi, ma lunghi, selvaggi; lineamenti tirati all' insù come nelle false prospettive di certi angeli del Greco, mani di pratica spiritualità; gambe forti e muscolose da cane da caccia; piedi rivolti all' indentro come nei bambini dei fumetti americani; occhi rotondi modello Fornarina di Raffaello; peluria esteticamente significativa sul labbro superiore; spiccato mannerism, cioè smorfie, tic, contrazioni del volto con i quali esprimere assenso o diniego, senza parlare come i siciliani. E infine il corpo, identificato nei suoi contorni come in una settecentesca silhouette: "Il seno è tale da contribuire non poco con la sua forma e il suo volume alla generale aria d' imponenza, come di chi debba trasportare uno stendardo o altra insegna analoga. La vita rispetto ai fianchi è molto alta come nelle figure femminili degli affreschi pompeiani; sotto la vita si osserva un' anomalia insolita, la sporgenza del ventre si trova molto più in basso di quella dei glutei, un po' come avviene nella donna africana. Di qui un' aria da bagnante di tipo neoclassico o impressionista. Ma quest' aria è corretta dall' energia delle gambe da camminatrice e nuotatrice, più simile a quelle delle donne etiopiche che alle figure muliebri di Ingres o Renoir" . Quando s' imbatte in questo straordinario reperto umano, Moravia viene da passioni certamente meno corporee. Di Elsa Morante ha amato il genio segreto e la follia, sostenendola perfino nei paradossali innamoramenti, come quello per Luchino Visconti, quasi fosse una figlia infelice; con Dacia Maraini, l' amore originario si è trasformato in una grande solidarietà d' intenti e di interessi, in una tolleranza che ha consentito perfino la scoperta della bipolarità sessuale da parte di lei. Carmen è un animale indifferente che può riattizzare con la scena dei suoi accoppiamenti crudeli, le sue fughe improvvise e violente, le spente ceneri del vecchio scrittore. Quando aveva voluto "giustificare" la sua scelta di Carmen, Moravia una volta aveva ricordato La noia, romanzo scritto nel 1960, poi interpretato sullo schermo da un' innocente, sensuale Catherine Spaak: "... Sì, ero contento che fosse felice, ma soprattutto ero contento che lei esistesse in una maniera che era la sua e che era diversa dalla mia e in contrasto con la mia, con un uomo che non ero io, lontana da me... Insomma io non volevo più possederla, bensì guardarla vivere, così com' era, contemplarla allo stesso modo che contemplavo l' albero attraverso i vetri della finestra" . Voyeurismo duro che nell' Angelo dell' informazione, più recente commedia messa in scena a Parigi, quando si erano festeggiati gli 80 anni di Moravia, trovava una forma, come al solito, senza sfumature. Il protagonista è un uomo tradito, che vuole sapere tutto ciò che la donna ha fatto. Nei crudi particolari. Tutto. "E lei gli racconta che l' altro aveva il coso fuori dei pantaloni, che glielo ha preso in mano, che se lo è messo dentro... Così lui s' illude di controllarla, di non perderla" . La ragazza si è sempre violentemente rifiutata di avallare l' ipotesi di un rapporto sadomasochistico. Per lei, lo scrittore nella vita privata si comportava come un uomo comune, con tutte le sue normali gelosie, superate in virtù di quell' esplicito accordo stipulato all' atto della convivenza e del matrimonio. "A me un uomo solo non basta" , gli aveva sempre detto Carmen. "Io ti lascio la tua vita, tu lasciami la mia" . Si era, infatti, già potuto appurare come la coppia conducesse un' esistenza su doppio binario. Moravia, elegante, socievole, lavorava il giorno e frequentava la Roma intellettuale o anche solo mondana la notte. Carmen, presa dal suo corpo, andava a letto alle 9 e la mattina si alzava all' alba per correre, nuotare, andare in bicicletta o motorino per Roma deserta. E viaggi spesso separati. Lo scrittore amava l' Africa, la natura tropicale; lei andava più volentieri nel deserto, in Libano, Giordania, Siria, dove Oriente e Occidente si mischiano e gli uomini sono eroi di mescolata barbarie e civilizzazione (alla Oriana Fallaci, per intenderci). Se la gelosia di Moravia era l' ingrediente necessario e concordato della vita a due, si può affermare che Carmen perfettamente adempieva ai suoi doveri. L' ha fatto ingelosire coi fatti e con gli scritti, nel corpo e nella testa. Il famoso tradimento col "druso" (suona bene, è quasi il "drudo" verdiano), Walid Jumblatt, è stato realizzato con una regia teatrale, come una pièce di teatro comico e sadico insieme. Il protagonista maschile scelto è irresistibile: magro, lungo, spelacchiato, naso adunco, vestito come un teenager di periferia, in jeans slavati e giubbotto nero, è un rais arabo, capo di una setta ismailita, che crede nella reincarnazione e nella magia, con castello ed eserciti propri sulle montagne dell' anti Libano, da dove quotidianamente cannoneggia i villaggi cristiani e il palazzo del presidente Gemayel. Questo improbabile Don Giovanni esiste in realtà, è segretario del partito socialista progressista libanese e socio dell' Internazionale, nonché intimo dei grandi notabili socialisti italiani. Carmen l' ha conosciuto nel 1986 al funerale di Olof Palme a Stoccolma, dove è andata mescolata a Craxi e Martelli. L' incontro e l' amore sono descritti nel risibile romanzo d' esordio della spagnola, Georgette. (Mondadori, 1988). Qui la lectio moraviana (il sesso al naturale e senza ironia) è coniugato con Liala. Già nella hall dell' albergo svedese il bey accarezza la protagonista senza nome della storia, poi in camera (sul comodino la pistola e l' aspirina), "la sua lingua, le sue mani, il suo corpo si muovono lentamente, eternamente nella notte" . La grande durata torna a più riprese nel libro, come la risorsa nascosta del druso amatore. Tra telefonate notturne, gite al castello, scenari di terrorismo internazionale, incontri ravvicinati (tra cui quello di lei con il cameraman americano di genitori ucraini e di codino biondo, un altro mingherlino da usare e gettare), il romanzo si avvia a un vero colpo di scena finale: il bey viene congedato perché "troppo peloso" e dallo sfondo emerge prepotente il vero oggetto del desiderio di Carmen, la di lui moglie, circassa bionda vestita Valentino, Georgette, da cui il titolo. Georgette viene venduto bene e recensito con circospezione. Carmen imperversa su vari giornali, con reportage di viaggi, incontri (immaginari?) con vip dell' industria e della politica. A questo punto, l' opposizione alla "ragazza caduta nel piatto" del romanziere prende corpo, e coraggio. Il clan Moravia (le due sorelle Elena e Adriana, famosa pittrice, la ex Dacia Maraini, i parenti della prima moglie Elsa Morante, gli amici di sempre Enzo Siciliano, il regista Andrea Andermann, lo scrittore Alain Elkann) non ha mai veramente accettato Carmen. Ma non è comunque mai insorto a voce alta. Tocca dunque agli estranei farlo. Se Colette Rosselli, la moglie di Indro Montanelli, dopo i fatti di Jumblatt, aveva scritto a Moravia, via Panorama, di diffidare "della brada disinvoltura di una donna che ride con denti felini, carica di provocazione e crudeltà" , di "una cavalla libera e spregiudicata che vive così come ha deciso, che calibra bene le sue ambizioni letterarie, consapevole della prossima vedovanza" , ora Maria Teresa Macciocchi attaccava frontalmente, dalle pagine del Corriere le "muse sfaccendate" della società dello spettacolo. A far perdere le staffe alla Macciocchi esule in Francia era stato il dialogo, invero non brillante, fra le due protagoniste della vita mondana della capitale: "Cosa vuoi Marina" , aveva scritto la "vedova" di Guttuso, "abbiamo aspettato cultura, abbiamo sfamato cultura, abbiamo scopato cultura, adesso seppelliamo cultura" . Carmen veniva accomunata a Marta e Marina, in quanto moglie al seguito del romanziere più famoso e vecchio d' Italia. La vendetta di Carmen non alzava il livello della polemica. Sul Corriere, rispondeva di aver avuto buon gioco a strappare un taxi parigino all' esagitata Macciocchi: "Con tutta evidenza, quell' autista, un arabo dagli occhi dolci, preferiva me" . Carmen poteva proseguire la sua carriera letteraria. Nel 1989, con l' editore del marito, Bompiani, pubblica un secondo romanzo. Il titolo è ancora una volta di basso profilo: Lola e gli altri. Con stile tardo moraviano, Lola è descritta come una donna alta e magra, gambe lunghe, seno abbondante e sedere piccolo, viso ovale da madonna e bocca sensuale. Anche qui maratone erotiche ma senza coinvolgimento. "Si tradisce col cuore, non con i sensi" , come le ha insegnato il marito. A suo dire, è stato Moravia a convincerla a tentare la strada della pubblicazione, dopo aver letto le 300 pagine del diario segreto del loro primo anno di convivenza. Gli ultimi tempi della vita di Moravia trascorrono così, con lo scrittore che patisce anche la rottura di un femore a causa di un incidente automobilistico, sempre più solo e lei sempre più indipendente ed esibizionista. Tappezza le pareti del suo ufficio alla Bompiani (dove fa la consulente alle pubbliche relazioni) con le fote di Klaus Kinski. In molti la vedono di notte girare abbracciata a "quel nano malefico che racconta di aver scopato la figlia" , come qualcuno giura di aver sentito dire a Moravia, per una volta preda di tradizionali fuochi di gelosia. A corto di munizioni, il partito dei nemici di Carmen va a scavare nel suo passato. Nel libro di prossima pubblicazione Mondadori, Vizi, veleni e velette, Marina Ripa di Meana racconta le malefatte di Dolores Ibanez Stamira. In un' ottantina di pagine si legge che la spagnola ha un passato omosessuale, un amore con una compagna di università e la partecipazione a un gruppo di femministe lesbiche soprannominate Las Pasionarias. Segue una relazione con una donna matura, che consiglia alla giovane il trasferimento nelle ospitali scuole d' Italia. Patron dell' operazione, un principe romano di gran nome, ex marito della signora. A Roma giurano che Dolores Ibanez è Carmen Llera. Testata Epoca Data pubbl. 12/09/90 Numero 2083 Pagina 22 Titolo CHI LI HA VISTI QUEI SOLDI? Autore Maria Grazia Cutuli Sezione SIGNORE E SIGNORI Sommario Presi i finanziamenti dallo Stato, molti imprenditori che dovevano ricostruire la Basilicata del dopo terremoto sono scomparsi. Per ritrovarli, un gruppo di disoccupati ha chiesto aiuto alla Raffai. Inutilmente. Perché... Didascalia Sopra: Donatella Raffai, conduttrice anche della prossima edizione di "Chi l' ha visto?" su RaiTre. Testo Dieci imprenditori sono letteralmente scomparsi in Basilicata dopo avere spillato i fondi del dopo-terremoto. Chi li ha visti? Un gruppo di disoccupati di Potenza spera che RaiTre si metta sulle loro tracce, e ha mandato una lettera a Donatella Raffai, conduttrice specializzata nelle ricerche di persone. Ma alla Raffai l' argomento proprio non interessa. "Chi l' ha visto? si occupa di problemi individuali, non di casi che riguardano le amministrazioni locali o, piuttosto, la Procura della Repubblica" , dice con tono risoluto. Eppure, non c' è dubbio che la lettera spedita da Potenza segnala appunto casi individuali: "Alcuni imprenditori" , riferisce la missiva, "hanno regolarmente incassato i contributi della legge 219 per la ricostruzione industriale delle aree terremotate in Basilicata e in Campania. Alcuni di questi hanno tagliato la corda. Considerato che la vostra trasmissione tende ad aiutare la ricerca delle persone scomparse, potrebbe aiutare noi a ritrovare i nostri datori di lavoro..." . Ma la Raffai non coglie la provocazione. Preferisce rilanciare la palla altrove: "Chissà, magari se ne occuperà Samarcanda, mi sembra proprio la trasmissione adatta" . Purtroppo a Samarcanda lo staff non ha ancora fissato i programmi dell' autunno. "Sì, in linea di massima le speculazioni legate al terremoto sono un buon argomento" , riconosce un dirigente appena rientrato dalle ferie. "Ma davvero non so dire se lo metteremo in scaletta" . I disoccupati, però, non si perdono d' animo. Il vicepresidente del consiglio regionale, Pietro Simonetti, darà battaglia al loro fianco: "Donatella Raffai non ci vuole a Chi l' ha visto? Non faticheremo a trovare un' alternativa" , dice. "E' un caso che scotta..." . Allo scandalo della ricostruzione in Basilicata è legato infatti uno stanziamento di tutto rispetto: 3500 miliardi, erogati con la copertura della "struttura speciale" che si era insediata a Roma subito dopo il terremoto. Quei soldi dovevano garantire 6000 posti di lavoro. Dieci anni dopo, gli occupati sono solo 1800. Come mai così pochi? Secondo il coordinamento anti-truffa, parecchi imprenditori, ottenuti i finanziamenti, hanno ridimensionato i progetti iniziali. Ad esempio Calisto Tanzi, padrone della Parmalat, aveva ottenuto 24 miliardi per mettere in piedi uno stabilimento a Vitalba. Invece di 288 assunzioni, ne ha fatte solo 120. Vito Saccogna della Nuova Calipso e Angelo Marrazzo della Mim si sono aggiudicati il primo 2 miliardi, il secondo 4 miliardi e mezzo. Cosa ne hanno fatto? Mai partita la Edi sud di Michele Indurazzo: i 13 miliardi di finanziamento statale dovevano servirgli per spostare in Basilicata una fabbrica di camicie che aveva in Corea, e per creare 248 posti di lavoro. Risultato: zero assoluto. Certo, riconoscono i disoccupati di Potenza nella loro lettera, "la ricerca di questi personaggi non comporta atmosfera di suspense. Ma data la natura del servizio pubblico e della nostra condizione di senza lavoro, qualcosa si potrebbe fare..." . Anche perché, se manca la suspense, c' è però materia di curiosità. Come nella vicenda della Cripo, azienda orafa. Era nata su iniziativa di alcuni consulenti e avvocati romani. Poi è finita in mano a un commerciante di Rimini. Quindi l' ha rilevata un gruppo cinese che fa capo a un certo Yiushao Song. E come se non bastasse, nel progetto è entrato l' architetto Luigi Pirovano, già al centro di uno scandalo legato alla ricostruzione industriale, quello di Castelruggiano di Oliveto Citra. Il suo compito? Demolire gli stabilimenti che già esistevano per farne dei nuovi. Sono passati gli anni, e il cinese Yiushao Song, per cominciare l' attività, attende ancora il responso della commissione di collaudo. Oltre, naturalmente, ai 25 miliardi promessi dallo Stato. Testata Epoca Data pubbl. 12/09/90 Numero 2083 Pagina 106 Titolo E' SCRITTO NEI SEGNI Autore Maria Grazia Cutuli Sezione TEMPI MODERNI Occhiello COSTUME / LA MANIA DEGLI OROSCOPI Sommario Dilaga sui quotidiani, invade i periodici, conquista spazio anche in tivù: l' oroscopo vive un momento magico. Ma gli astrologi vedono nero... Testo BOX Vergini settembrine con problemi di guardaroba e voglie di tenerezza, in edicola c' è un oroscopo per voi. Una rivista uscita il mese scorso, Astrocosmo, vi dice se tagliare i capelli o spuntare le ciglia, tirare un dente o arredare la casa, se riconciliarvi con il fidanzato... E la novità? "La formula" , sintetizza il direttore, Adriana Cavadini. "Astrocosmo è contemporaneamente un giornale femminile e una guida astrologica. Parla di zodiaco, ma lo applica a tutti i problemi quotidiani di una donna" . Sorella minore di Cosmopolitan, stesso editore, stesso stile, la rivista si presenta con una copertina patinata e un' immagine curata. Niente sfere di cristallo, né inserzioni pubblicitarie di maghi e fattucchiere: "Ci rivolgiamo a un pubblico medio-alto" , chiarisce il direttore. "E' la prima volta che ciò avviene" . E dà le cifre: 150 mila copie di tiratura, segno che il giornale punta in alto, verso i cieli di Astra, il mensile della Rizzoli, leader del settore, che arriva alle 180 mila copie vendute in media ogni mese, contro le 50 mila di Sirio e le 30 mila di Tuttostelle. "Paura della concorrenza? Mah, sono convinta che in questo momento sul mercato c' è posto per tutti" , dice Adriana Cavadini. Le si può credere? A giudicare solo dall' interesse della gente per gli oroscopi si direbbe di sì: tre quarti degli italiani, secondo un' indagine Doxa del 1989, leggono sistematicamente le predizioni pubblicate sui giornali. Però tanta attenzione, secondo alcuni, non è necessariamente di buon auspicio per gli astrologi. "Oroscopi dappertutto. Sui quotidiani come sui periodici" , dice per esempio Rudy Stauder, direttrice di Astra. "Questa offerta così ricca ci danneggia. Non è escluso che nei prossimi anni le vendite si sgonfieranno" . Sintomi premonitori? Infausti presagi? L' editrice Albero, quella di Sirio e Tuttostelle, cambia direttore alle due testate tre volte in un anno; decine di riviste compaiono e scompaiono dopo pochi numeri. "Bisogna riflettere un attimo, rivedere i contenuti" avverte Beppe Botteri, oggi alla guida del settimanale Donna moderna, ieri inventore di Astra, Sirio e Tuttostelle: "Non si può continuare a propinare al pubblico un' astrologia fatta di luoghi comuni e banalità" . Botteri ha alle spalle tredici anni di oroscopi e di profezie d' edicola. Cominciò nel 1977, quando propose all' editore (allora la Rizzoli-Corriere della Sera) un progetto inedito, quello di Astra, appunto. "Lavoravo come caporedattore ad Amica, e mi arrivava una valanga di lettere, tutte per la rubrica di astrologia. Fu questo che mi fece venire l' idea di un mensile specializzato" . Il primo in assoluto: 50 mila copie vendute. "Nel giro di un anno eravamo passati a 100 mila" , ricorda Botteri. Eppure quell' inizio non fu tutto in discesa. La Rizzoli si rifiutò di comunicare il lancio del nuovo giornale, la Rai non volle trasmetterne la pubblicità. L' accettò in un secondo momento, ma con uno spot censurato, ridotto ai minimi termini. Quasi un senso di vergogna per dover trattare una materia così poco "seria" , come quella astrologica. "Subito dopo invece, il boom" dice Botteri. "E da allora non c' è stato giornale che non abbia introdotto, ampliato o perfezionato la pagina dell' oroscopo" . Le iniziative si sono moltiplicate specialmente negli ultimi anni, da quando cioè la passione astrologica contagia tutti i ceti sociali e tutte le professioni, tenta i politici e penetra nelle aziende, senza risparmiare neppure gli animali domestici (adesso c' è un oroscopo anche per la fauna di casa). Differenze geografiche? Nessuna. Conferma l' indagine Doxa del 1989: il 34 per cento di chi crede nei fondamenti dell' astrologia abita al Nord, il 29 al Centro, il 29 ancora al Sud e nelle isole. Un equilibrio quasi perfetto, in rapporto al numero di abitanti. Eppure tanto successo di pubblico non basta a far quadrare i conti delle riviste specializzate. "Per Astra" , racconta Rudy Stauder, "l' anno buono è stato il 1988. Eravamo dappertutto, alle conferenze, ai dibattiti. Ci chiamavano ai Lyons come ai Rotary, alle feste dell' Unità come a quelle dell' Amicizia" . Quest' anno di segnali positivi, per Astra, ce n' è stato uno: la pubblicazione dell' edizione spagnola, lanciata ad aprile con una prima tiratura di 45 mila copie. Rimane però un problema di contenuti, e di credibilità. Come risolverlo? Il pioniere Botteri suggerisce: "Occorre separare l' astrologia dall' oroscopo, che è la parte meno credibile" . Ma si può fare? "Certo. Il lettore è stanco di trovarsi davanti fotografie di maghi barbuti che leggono la sfera di cristallo e preparano filtri d' amore. L' astrologia è un' altra cosa" , assicura Lisa Morpurgo, teorica dello zodiaco, contraria da sempre agli oroscopi "volgari" . Replica Rudy Stauder: "Abbiamo tentato in tutti i modi di abolire certe inserzioni pubblicitarie, abbiamo alzato le tariffe. Niente da fare. Maghi e fattucchieri continuano a chiedere le nostre pagine" . A firmare previsioni, quadri astrali, tabelle di bioritmi sono nomi ormai popolari. Tra i "sacerdoti" del futuro su carta stampata, i più noti sono Lucia Alberti, Peter Van Wood, Francesco Waldner (assai apprezzato anche dal presidente del Senato, Giovanni Spadolini, dopo che Waldner gli predisse un successo elettorale nel 1983), per non parlare di Wizard, pseudonimo di Adalberto Bertero, ex dipendente del Giorno che da 21 anni (il quotidiano milanese è stato un precursore dell' oroscopo) compila le sue quartine in stile aulico, spesso anche in rima. Ciriaco De Mita ha appena confessato che legge il Giorno, a lui ostile, solo per non perdersi l' oroscopo. E in tivù? A parte RaiDue con la lettura, ormai tradizionale, di Massimo Fornicoli, a maggio si è lanciata tra le stelle pure la Fininvest: l' oroscopo ha debuttato su Retequattro per due mesi consecutivi, poco dopo le 19, tra una soap opera e una telenovela. Indice di ascolto: 530 mila spettatori. Al quartier generale di Berlusconi non escludono che l' esperimento si ripeterà. Anzi, potrebbe crearsi un apposito spazio all' interno di un futuro telegiornale Insomma, oroscopi ovunque, influenze astrali martellanti. Ma come scegliere? C' è differenza tra una previsione e un' altra? Certamente. Ogni testata ha creato un proprio stile di profezia: nazional popolare per Novella 2000, intellettuale e forbito per Amica, asciutto ed asettico per il Messaggero, radical chic per Elle, suggestivo come un oracolo per Vanity Fair. E persino economico, per Gente Money. Il mensile Class invece ha tentato un' operazione meno diretta, una sezione dedicata ad astrologia e cultura. "Anche il Sole 24 Ore" dice Grazia Mirti, ex insegnante di ragioneria, oggi astrologa di grido, "l' anno scorso mi ha chiesto un' intera pagina di previsioni. Incredibile? Tutt' altro, il mondo economico è il più aperto in assoluto verso lo zodiaco" . Non a caso la compagnia di bandiera svizzera Swissair compare su Newsweek con una nuova pubblicità: quadro astrale dell' azienda e spot che dice: "Siamo dell' ariete, forti e aggressivi, volate con noi" . Testata Epoca Data pubbl. 05/09/90 Numero 2082 Pagina 44 Titolo LIBERA NOS A MILO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione PERSONE Occhiello SANDROCCHIA Sommario Come lei non c' è nessuna. Ormai viaggia alla media di uno scandalo all' anno, qualche volta anche due. Ieri il falso incidente al figlio Ciro, oggi l' equivoco matrimonio con il colonnello cubano. Prigioniera di un passato glorioso, l' ex venere d' Italia non dà tregua. Inseguendo un sogno: tornare con Fellini. Didascalia Sopra: la copertina di "Gente" del 23 agosto, che annunciava le nozze di Sandra Milo con Jeorge Ordonez, colonnello dell' esercito cubano. A destra: Sandra Milo in un' immagine anni Cinquanta. A fianco: Sandra Milo nel film di Fellini "Giulietta degli Spiriti" (1965). Nella pagina accanto, foto grande: la Milo interprete de "La donna è una cosa meravigliosa" (1965), di Mauro Bolognini; in alto: con Giulietta Masina e Waleska Gert in "Giulietta degli Spiriti" ; al centro, da sinistra: agli inizi di carriera e ancora nel film di Fellini; in basso: con il secondo marito Ottavio De Lollis. Testo Strada di Cuba. Palacio de los matrimonios. Scambio delle fedi. Sandra Milo sorride felice, 55 anni strizzati nella minigonna bianca: ha sposato Jeorge Ordonez, quarantenne colonnello di Fidel Castro. Ultimi flash per il fotografo, che corre a Milano e vende in esclusiva al settimanale Gente il reportage sulle nozze. "Ma saranno vere? A noi non risulta proprio niente" . La prima smentita arriva dall' ambasciata italiana all' Avana: "No, nessun atto di matrimonio" , dice un funzionario. Avanza un dubbio anche il ministero degli Esteri cubano: il colonnello Jeorge Ordonez non figura negli elenchi dell' Esercito popolare. Conferma a Panorama l' Ente provinciale del turismo di Ciego d' Avila, versante orientale dell' isola: "Un colonnello quello lì? Ma non è nemmeno un sergente. E' un istruttore subacqueo" . Lo scoop sfuma nel bluff. E del resto a prendere le distanze dalla notizia pubblicata è lo stesso settimanale Gente. In testa al servizio, nel sommario, si cautela: "Comunque sia, le foto ci sono" . Vere o false, ha poca importanza. Sarà la minigonna di lei, sarà la mimetica di lui, il giornale nelle edicole va esaurito. La storia vuole che il colonnello si sia innamorato della Milo dopo averla vista nella fotografia che gli ha mostrato un comune amico residente a Cuba. L' amore, insomma, sarebbe sbocciato per posta aerea. A seguire, un folgorante incontro dal vivo. Infine, le nozze. "E perché non ci si dovrebbe credere?" , protesta Franco Brel, agente-sponsor della Milo. Mostra un biglietto aereo, prova di uno spostamento avvenuto, sull' asse Roma-Cuba. "Sandra aveva voglia di sposarsi e l' ha fatto. E' tornata in Italia da sola perché il marito non può lasciare l' isola" . E le foto signor Brel, a guardarle bene... Il colonnello mette le medaglie una volta a destra, una volta a sinistra; Sandra porta una volta la fede, una volta l' anello con la pietra... "Non so, non mi sembra" . E Brel cambia discorso: "Sandra è fatta così. Dà tutta se stessa, si espone sempre, nel bene e nel male" . Ogni stagione, in effetti, un episodio a sensazione. Ogni volta, un finale da operetta. Drammi e commedie che si intrecciano, uffici stampa che manovrano lacrime e sorrisi, un copione che si ripete come su un set di Cinecittà. Intorno alla Milo, nonostante gli anni, pur portati con considerevole smalto, l' attenzione non cala mai. A gennaio una telefonata in diretta tivù, mentre conduce sui RaiDue L' amore è una cosa meravigliosa, l' avverte che il figlio Ciro, 21 anni, ha avuto un incidente in moto ed è gravissimo all' ospedale. Un urlo, "Ciro mio" , le mani sul viso, uno svenimento. E invece Ciro sta benissimo, la notizia è falsa. Scherzo di qualche deficiente? Qualcuno insinua che è una recita per alzare l' indice di ascolto del programma. Qualche mese prima, altra esclusiva di Gente: Sandra, che sul sex-appeal ha sempre fatto molto conto, si è voluta concedere un piccolo ritocco, lifting agli occhi e agli zigomi. Ricompare in pagina sorridente e tiratissima. Coincidenza vuole che proprio negli stessi giorni scoppi una rissa in una discoteca di Jesolo. Due giovanotti l' hanno vista in pista e fanno a botte per ballare con lei. Altro botto, nell' aprile dello scorso anno: Sandra Milo accetta in diretta l' auto da fè, con la macchina della verità di Giancarlo Santalmassi. Il giornalista le chiede se è vero che ha praticato, come ha scritto nel 1985 il settimanale Oggi, l' eutanasia sulla madre malata. Lei risponde di no, ma il braccio del Poligrafh la inchioda. Il responso le fa rischiare la riapertura dell' inchiesta giudiziaria che cinque anni prima si era conclusa con la sua assoluzione. Vive pericolosamente, Sandra Milo. Ma ci è abituata. Bambina, ricorda la madre che ruba il grano nei campi minati dei tedeschi, e il padre lontano, prigioniero degli inglesi in Kenya. A tredici anni, un soldato di colore tenta di violentarla. Sandra reagisce alle sventure leggendo Marx, Repaci, Hegel. A quindici anni sposa di nascosto un ragazzo di 24, Cesare Rodighiero, destinato a scomparire nella galleria di personaggi che segnano gli annali dell' attrice. Che succede dopo? "Era intorno al 1952 " , scrive la Milo in una biografia pubblicata da Oggi, "stagione di attese e di piazze gremite di vecchi e giovani con il fazzoletto rosso al collo" . Stagione fertile per una nuova passione, quella socialista. Passione durevole. Nel 1985, mentre procedono a gonfie vele i suoi impegni televisivi sulla socialista RaiDue, Sandra Milo, eroina di Piccoli fans, confessa: "Sono attratta dai socialisti. Eleganti, gentili, capaci di versarti lo champagne e disposti a offrirti una cena con salmone e caviale" . Attrazione ricambiata. Dichiara nel 1987 Ottaviano Del Turco, numero due della Cgil: "Sandra Milo è il miglior prodotto del craxismo" . Anche il più generoso. "Sandrocchia" per omaggiare il Capo ha appena ordinato un gigantesco cuore di garofani rossi, costo un milione e mezzo, da esibire al Congresso di Rimini con la scritta: "Amo Bettino Craxi" . Vuol forse farsi perdonare il libro scritto qualche anno prima, Venere e..., acquistato da Rizzoli per 70 milioni e mai pubblicato? Si trattava di un romanzo sulle notti romane di alcuni dirigenti di via del Corso: politicamente infelice, specie se si studia da dama del Psi. E' ingiusto però pensare che la Milo sia una socialista dell' ultima ora, aggregata di gran carriera al carro dei vincitori. Già negli anni Sessanta, scriveva lettere a Pietro Nenni, che le rispondeva gentile. Sandrocchia, a quel tempo, ha già lasciato Milano, dove è nata, per Roma. E' un' attrice in via di consacrazione. Debutto nel 1956 con Lo scapolo di Antonio Pietrangeli. "Non sarà mai una brava attrice" , dice il regista. Poi si ricrede. Nel 1960, con Adua e le sue compagne, sempre di Pietrangeli, il decollo. Vittorio De Sica sentenzia: "E' un tipo drammatico" . La chiama Roberto Rossellini per Vanina Vanini. Ma il film è un disastro, lei non brilla, anzi la ribattezzano Canina Canini. "Figurarsi se la Milo se l' è presa" , ricorda Enrico Lucherini, press-agent oggi come allora. "Ha questo di bello, Sandra: la simpatia, la vitalità. Il film era nato male e lei lo sapeva. Sin dall' inizio c' eravamo accorti che la sceneggiatura non funzionava. La Milo accettò anche di venire operata d' appendicite senza che ne avesse bisogno, solo per darci il tempo di rivedere il copione senza perdere la copertura assicurativa" . Sono gli anni del rapporto sentimentale con il produttore greco Ergas Moris, dal quale Sandra Milo avrà una figlia. Tra i due finisce a botte in una roulotte del Pincio. "Comunque fu lui che tentò di farle fare il salto di qualità" , spiega ancora Lucherini. "Voleva creare il tandem, produttore-attrice, come Cristaldi con la Cardinale, De Laurentis con la Mangano, Ponti con la Loren, ma Sandra non è mai riuscita a competere con quelle" . Ci è andata vicinissima, però. Nel 1963 la vuole Fellini per Otto e mezzo (e poi nel 1965 per Giulietta degli Spiriti): la costringe a ingrassare, a mangiare sei volte in più del normale, la trasforma nell' eterna svampita, cliché che le resterà incollato per sempre. "La stimava davvero" , racconta Bernardino Zapponi, amico e sceneggiatore del maestro, "diceva che era straordinaria, divertente, intelligente. Personalmente non capisco cosa sia successo alla Milo negli ultimi anni, perché si sia buttata tutto dietro le spalle fino a ridursi al personaggio di oggi, una vera cretina" . Già, che cosa è successo? Ottavio De Lollis, il suo secondo marito, per dieci anni la tiene lontana dal cinema. E' questa "reclusione" , una volta finita, a scatenare la voglia di protagonismo della Milo? De Lollis, che fa il chirurgo a Roma, adesso incontra l' ex moglie solo per via dei figli, Ciro e Azzurra. Continua però a non amare la notorietà. Al telefono risponde secco: "No, non si può parlare con il dottor De Lollis, né oggi e neanche nei prossimi giorni" . Peccato, perché nella carriera della Milo, la sua presenza è determinante. E' lui che le impedisce di accettare la terza proposta di Fellini, Amarcord. "Ottavio mi minacciava di togliermi i figli se fossi tornata al cinema" , ha detto l' attrice in una recente intervista. "Io piansi amaramente. Dopo il ciclone Fellini ci si sente nessuno, con un' identità svuotata" . Forse non basta la televisione per riempire quell' identità, e nemmeno i lifting, le macchine della verità, i colonnelli cubani. Forse un ritorno al passato... C' è chi giura che Fellini non si sia mai rassegnato a perdere Sandrocchia. "La donna bionda sulla locandina de La voce della luna è lei" , dice sicuro Franco Brel. "Lo sappiamo tutti, quei due torneranno a lavorare assieme, molto prima di quanto si creda" . Sarà vero? Testata Epoca Data pubbl. 22/08/90 Numero 2080 Pagina 76 Titolo VACANZE DI POTERE Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione PRIMO PIANO Occhiello ITALIA / L' ESTATE DEI POTENTI Sommario I socialisti a Sabaudia, correnti Dc in Costa Smeralda, Occhetto e i suoi malgrado tutto a Capalbio. E i vertici dello Stato? Defilati sui monti. Per sottrarsi al rischio dell' agosto 90: l' estate trasversale. Didascalia Giovanni Spadolini, presidente del Senato, a Castiglioncello. Beatrice d' Olanda Puntualissima, anche quest' anno la cinquantaduenne regina d' Olanda trascorre parte delle vacanze d' agosto nella sua villa a Tavernelle nel Chianti, col principe consorte Claus. Carmelo Conte Sole e mare per il ministro socialista delle Aree urbane, Carmelo Conte (a destra nella foto), che ha una casetta "bianca e rossa" a Cetara, sulla costiera amalfitana. Bettino Craxi Il segretario socialista ha già raggiunto la spiaggia di Hammamet, in Tunisia, dove possiede una villa. E dove può godere una "privacy" maggiore che nelle località balneari italiane (a sinistra, sul molo di Portofino). Ciriaco De Mita A luglio l' ex segretario Dc ha fatto la spola tra Roma e Porto Rotondo. Ora è tornato nella natia Nusco, ma forse a fine mese farà una nuova puntata in Sardegna, ospite dell' amico antiquario veneziano Franco Semenzato. Gianni De Michelis Per colpa della crisi nel Golfo e del semestre di presidenza Cee, il ministro degli Esteri (al centro) non fa vacanze. Solo qualche week-end a Venezia. Paolo Cirino Pomicino Alla quiete della campagna, il ministro del Bilancio stavolta ha preferito il mare. Con la sua barca si è diretto in Turchia, e se gli resterà tempo farà una puntata in Sardegna. Francesco De Lorenzo Sono davvero inquinati, i mari italiani? Il titolare della Sanità (al centro della foto, con moglie e figli) garantisce soprattutto per le acque di Capri, dove ha una villa. Achille Occhetto Una breve pausa a Capalbio, e poi il segretario del Pci (a destra nella foto), grande appassionato di vela, partirà in crociera con la moglie, Aureliana Alberici. Antonio Maccanico Prima a Ischia, ospite di amici. Poi a Montefiascone, provincia di Viterbo, dove il ministro per gli Affari regionali ha casa e passa il tempo giocando a bocce e a tennis. Juan Carlos di Spagna Frequentatore assiduo dei mari italiani, il sovrano di Spagna (nella foto al largo dell' Isola d' Elba) il 7 agosto ha inaugurato a Palma di Maiorca il Moro 2, la nuova super-barca di Raul Gardini. Remo Gaspari Da tempo immemorabile il ministro per il Mezzogiorno trascorre l' estate sulla spiaggia di Vasto. Per prendere il sole? No, per ricevere uno per volta clienti e estimatori. Sotto l' ombrellone. Rosa Russo Jervolino Come il collega Remo Gaspari, anche il ministro per gli Affari speciali, Rosa Russo Jervolino, frequenta la spiaggia di Vasto. A differenza del "Califfo d' Abruzzo" , però, non riceve clienti. Arnaldo Forlani A cavallo di Ferragosto, il segretario Dc lascia la casa avita di Pesaro, nelle Marche, per trasferirsi una settimana in un alberghetto senza pretese sulla Costa Smeralda. Testo Luglio in Sardegna a Porto Rotondo, facendo la spola con Roma. Agosto invece Ciriaco De Mita lo trascorre a Nusco, terra di famiglia, dove l' 8 ha festeggiato il suo onomastico. Alla fine del mese, però, l' ex segretario della Dc farà un altro bagno mondano tra le celebrità che hanno base a Cortina. Passa dalla Sardegna anche Paolo Cirino Pomicino, ministro onnipresente del Bilancio, non senza aver toccato altri luoghi di rito: crociera in Turchia e poi, sempre in barca, ma più vicino a casa, nel golfo di Napoli. E Virginio Rognoni, che mai all' inizio dell' estate si sarebbe sognato di fare vacanze da ministro (è da poche settimane alla Difesa in sostituzione del dimissionario Martinazzoli)? Anche per lui, un classico: ferragosto a Cortina e qualche giorno in Costa Smeralda, da amici. Chiuso il Parlamento, per i politici comincia un' altra fatica. Quella delle pubbliche relazioni estive, che quest' anno prevedono un surplus di frenesia imposto dall' obbligo della trasversalità. Non basta l' ubiquità, l' esserci. Più importante ancora è starci con le persone giuste. Dappertutto. Passare dai punti caldi della mondanità, Portorotondo come Portofino, le Dolomiti come l' Argentario. Penetrare nelle roccaforti avversarie, comunisti che invadono la socialista Sabaudia e socialisti che si spostano nella comunista Capalbio. Ritessere, come ha già insegnato il costume politico della scorsa stagione, attraverso cocktail e party, famosi quelli di De Mita in Costa Smeralda, alleanze vecchie e nuove, schieramenti e appartenenze. Sempre fianco a fianco con i grandi della finanza. Pochissime le eccezioni, anche se di tutto rispetto. Francesco Cossiga, in primo luogo. Desideroso di quiete, il presidente della Repubblica ha scelto le Dolomiti, Pian Cansiglio, sulle montagne dietro Belluno, dove ha fissato il suo quartier generale nel casermotto della Forestale. Così anche Giulio Andreotti, che in questo periodo preferisce la calma di Cortina, dove ha prenotato al convento delle Orsoline. Tra una passeggiata e l' altra, però, un impegno inderogabile: farsi pubblicità. L' azienda di promozione turistica l' ha già messo in cartellone per la presentazione del libro Gli Usa visti da vicino. E' sua abitudine, inoltre, ogni volta che va a Cortina, dedicare qualche ora alla Cooperativa, un supermarket sulla strada principale, dove firma autografi per i suoi lettori. A girare per il paese, in questi giorni, di democristiani se ne incontrano parecchi. C' è Virginio Rognoni, in stato d' allerta per la crisi del Golfo, che vanta i suoi trascorsi da alpino: "Una volta facevo roccia, ma ormai sono anni che non mi cimento in una vera scalata" . E ci sarà Amintore Fanfani. Per lui ha scelto la moglie: il 18 agosto la signora Maria Pia lascerà la sua casa di Portofino per le Dolomiti. Destinazione: Val Fiscalina. Occasione: il party tirolese dalla coppia Marzotto-Pignatelli, ovvero la contessa Marta e la principessa Doris, quest' estate legate anche da affari comuni. A Cortina hanno aperto insieme una boutique a fianco dell' Haig' s Bar. Marta importa dall' estero, firma e produce costumi tipici ungheresi. Doris li vende a un paio di milioni l' uno. "Complice" e finanziatore, l' antiquario Immo Red. La festa del 18 rischia però di trasformarsi nell' incidente mondano dell' estate, visto che un folto gruppo di turisti e residenti ha chiesto in una petizione di bloccarlo, additando i cinquecento vip invitati come altrettanti vandali attentatori del paesaggio. Loro gli ospiti di lusso, sono pronti. Testa di lista: Giulio Andreotti, il sindaco di Roma Franco Carraro, Paolo Cirino Pomicino, e gli immancabili nomi della grande industria, che a Cortina sono di casa da generazioni, i Barilla al completo, i Falck, adesso i Benetton. E Maria Pia Fanfani? Per lei, madrina di beneficenza, è pronto uno stand. Servirà a raccogliere fondi per la Romania. "No, non è questa la vera mondanità" , sussurra a mezza voce una signora del giro: "La festa più esclusiva è quella in onore di Spadolini alla villa dei Brion, Brionvega per intenderci. Là, sì che è un invito di prestigio, sessanta persone in tutto" . Un rito: ogni anno, in agosto, Nina Brion accoglie il suo ospite eccellente con un ricevimento dove, c' è da giurarci, si può incontrare l' élite dell' élite. "C' è il giro degli intellettuali, quelli veri, Indro Montanelli, Giovanna Astaldi, mica questa popolarità da quattro soldi" , continua la signora. Ma viene subito rimbeccata da un' assidua del "circolo" Marzotto: "Invidia, solo invidia. La Pignatelli in questo momento è la vera first lady di Cortina" . Schieramenti mondani che sfiorano lo scontro per bande, formazioni avversarie che si combattono a colpi di feste, inviti e galà. Politici in mezzo, contesi secondo il prevalere delle parti. A Cortina è importante il cognome che si porta, ma anche chi si può avere a cena. Mettiamo Franco Semenzato, proprietario di una prestigiosissima casa d' aste di Venezia: Ciriaco De Mita è un suo ospite fisso, d' estate, sia a Cortina che a Porto Rotondo, dove per lui le ville di Semenzato sono sempre aperte. Quest' anno però De Mita in Costa Smeralda ha preso in affitto una delle case dei Donà delle Rose, conti veneziani, fondatori storici di Porto Rotondo, presenze storiche naturalmente anche a Cortina. Ma con Semenzato continua a fare coppia fissa: cene in casa, ricevimenti di partito, tornei di tresette, vero vizio dell' ex segretario Dc, anche se il suo compagno di gioco ideale è Davide, proprietario di due ristoranti sulla Costa e di un terzo, guarda caso, a Cortina. "Davide è un osso duro" , racconta uno dei camerieri, "ma contro De Mita non ce la fa" . Altri amici? Uno in particolare: l' assessore regionale all' urbanistica, il democristiano Antonio Satta, che per primo ha fatto conoscere la Sardegna alla famiglia del leader Dc. Una succursale estiva di piazza del Gesù, la Costa Smeralda, ancora più di Cortina. Divisi per corrente, ci si trovano tutti. Il ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini, ad esempio, che ha appena affittato una casa bifamiliare con Franco Bonferroni, deputato dc, stessa area. Il ministro dell' Interno Antonio Gava, invece, Baglietto ormeggiato in un porticciolo privato, che si è rifatto la villa, nel residence di Palumbalza, vicino Porto Rotondo. L' ha dovuta ricostruire perché la prima un assessore regionale comunista, Luigi Cogodi, nel 1987 gliela aveva fatta demolire. Motivo: irregolarità edilizie. E ancora, Arnaldo Forlani. Lui ha prenotato a "Le Ginestre" , un albergo piccolo, elegante, ma senza troppe pretese. Gite in barca, in programma? "Mah, alla fine c' è sempre qualche amico" , risponde il segretario della Dc, "che ti offre di fare un giro..." . Qualche amico appunto, come Francesco Merloni, deputato democristiano, o il fratello Vittorio, ex presidente della Confindustria, entrambi forlaniani di ferro. A Porto Cervo, il mese scorso, la figlia di Vittorio Merloni, Maria Paola, ha sposato un insegnante di educazione fisica, Amleto Lazzaroni. Alla festa di matrimonio c' erano, tra gli altri, l' ex presidente dell' Iri Romano Prodi, il presidente della Cariplo Roberto Mazzotta, Edoardo Agnelli, figlio dell' Avvocato, e Silvio Berlusconi, che, si sa, è un vero campione del presenzialismo: Santa Margherita, Cortina, Costa Smeralda... Tra i politici, in prima fila Forlani, De Mita e anche Gianni De Michelis. Per il ministro degli Esteri, il matrimonio Lazzaroni-Merloni è stato una delle rare occasioni di mondanità dell' estate. Costretto a Roma dalla crisi in Medio Oriente, De Michelis si è dovuto accontentare quest' anno di qualche fine settimana a Cortina, sull' Argentario, o in Sardegna, appunto. E non è stato il solo. Anche Rosa Russo Jervolino, ministro Dc degli Affari sociali, passerà l' agosto in città. "Anziani, emarginati, drogati... Il fatto è che i problemi di cui mi occupo io si aggravano proprio quando gli altri vanno in vacanza" , dice senza troppi rimpianti Russo Jervolino. "Ma forse è meglio così: ne approfitto per fare un po' la casalinga" . Non si preoccupa di restare fuori dal giro nemmeno Gerardo Bianco, freschissimo neoministro della Pubblica Istruzione. Un paio di settimane ancora, e subito dovrà occuparsi dell' inizio del nuovo anno scolastico. Per questo, passerà solo qualche giorno a Campo di Mare, sul litorale laziale, nella villetta della madre di sua moglie. "Eh sì, l' alternativa è questa" , dice, "scegliere tra la scuola e mia suocera" . Ma De Michelis, Russo Jervolino e Bianco non fanno testo. La maggioranza dei politici non sfugge ai luoghi comuni della villeggiatura, alla tentazione della tribù. I socialisti, ad esempio, che nel Lazio hanno eletto Sabaudia a sezione distaccata del partito. Francesco Forte l' ha scoperta a sei anni. Margherita Boniver, Ottaviano Del Turco, Giusi La Ganga la preferiscono in assoluto, soprattutto da quando Claudio Martelli vi ha fissato la propria residenza estiva. E la piccola sbandata dell' anno scorso per la rossa Capalbio, regno e dimora del Pci occhettiano? Acqua passata. Quest' anno, il vice presidente del Consiglio è tornato tra le dune sabbiose e le architetture fasciste della cittadina bonificata dal Duce con i tre figli, Giacomo, Sara, Adriana, e Rosi Greco, la sua compagna. "Le vacanze sono vacanze" , dice Martelli, "e significano soprattutto riposo, lettura. Insomma, tranquillità" . All' appello di Sabaudia manca il capo, Bettino Craxi. Lui è fuggito nella villa fortezza di Hammamet, dove nei fine settimana si danno il turno amici di partito e di famiglia. Così come Carlo Tognoli, ministro del Turismo: qualche giorno a Salisburgo con la figlia Anna per il Don Giovanni di Mozart. E Rino Formica, ministro delle Finanze, in viaggio tra i fiordi norvegesi: "Un po' di fresco, dopo i bollori del Parlamento, ci vuole" . A Sabaudia non c' è neppure Carmelo Conte, ministro socialista per le Aree urbane, che ha scelto comunque il mare, Cetara, ed è uno dei più illustri esponenti del partito trasversale che ha le sue basi sulla costiera amalfitana. Un partito molto forte, che infatti conta su Paolo Cirino Pomicino, democristiano con casa a Capri; Antonio Maccanico, ministro repubblicano per le Riforme istituzionali con la passione di Ischia; Francesco De Lorenzo, ministro liberale della Sanità con villa ad Anacapri. E i comunisti? La tentazione della "casa comune" è forte. Walter Veltroni, per esempio, l' anno scorso è andato a Sabaudia, roccaforte socialista. Quest' anno ha lasciato il suo appartamento a Massimo D' Alema. Ma Achille Occhetto almeno in tema di vacanze è tradizionalista. Perciò ancora Capalbio, l' Atene del Tirreno, con i suoi abituali frequentatori: industriali come Pirelli, Agnelli, Caracciolo; intellettuali come Asor Rosa, Marramao, Beniamino Placido; politici come Enrico Manca, Claudio Petruccioli, Gianni Mattioli. Leggermente più defilata dalla politica, Nilde Iotti, che non si preoccupa di condividere le sue due settimane di vacanza nella casa di Ansedonia, a contatto con le folle dell' Argentario. Gran serbatoio di vip, la penisoletta della costa tirrenica realizza il massimo della trasversalità possibile in estate: divi del cinema che si mescolano ai vecchi nomi della nobiltà romana, palazzinari che chiacchierano con politici, nuovi ricchi che fanno a gara con funzionari d' ambasciata. Qua viene in vacanza da quasi trent' anni la famiglia reale d' Olanda, Virna Lisi sfila in barca con il marito Franco Pesci, Raffaella Carrà si riposa nella torre appena acquistata a Cala Piccola. E ogni tanto al King' s di Cala Galera si fa vedere Gianni De Michelis. Unico svago, durante questo agosto passato in città. Maria Grazia Cutuli Testata Epoca Data pubbl. 08/08/90 Numero 2078 Pagina 13 Titolo ANGELI SOPRA SARZANA Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione INCHIESTA Occhiello FINO ALL' ULTIMO RESPIRO / 2 Sommario Una famiglia che non si rassegna, un fisioterapista di Philadelphia che promette la vita e un intero paese che si trasforma in una corsia di ospedale. Per salvare Davide, vent' anni, in coma da cinque. "Un anno fa era immo bile. Adesso Davide comincia a rispondere ai nostri comandi" Testo "Alza gli occhi, Davide, alza gli occhi. Cerca la luce, Davide, segui la luce. Bravo, Davide. Ascolta la mamma. Dai, Davide!" Una scossa violenta, un rumore assordante. Sotto il lettino di vetro si accendono di colpo delle lampade. E' un attimo. Davide Angeli, vent' anni a ottobre, in coma da cinque, ha un sussulto. Gira gli occhi come impazzito, sbatte le palpebre, poi si blocca. "Ancora Davide, non è finita. Dai, Davide, rispondi, è la mamma" . La signora Paola adesso grida. Davide schiude la bocca, le pupille lanciate nel vuoto. Lo prendono in braccio. Sono in sei a sostenerlo, le gambe a penzoloni, il capo riverso da un lato. Un nuovo esercizio, a testa in giù sullo scivolo. "Ancora Davide, vai da solo" . Una, due, tre volte. "Oggi non vuoi proprio saperne, vero Davide? Ieri sei stato bravo, ce l' hai fatta" . Una stanza da letto e un soggiorno, pochi metri di spazio. Alla periferia di Sarzana, venti chilometri da La Spezia, dove i coniugi Angeli si sono trasferiti per curare il loro ragazzo, ogni giorno c' è un gruppo di volontari che si dà il cambio per la terapia che dovrebbe recuperare Davide dal coma. Lavorano sodo. Ridono concitati, come se la cura fosse una festa. Convinti che, oltre la cortina della malattia, il cervello di Davide senta, pronto a risvegliarsi al frastuono delle loro voci. Solo la nonna in un angolo, sotto il poster di Madonna, non dice nulla e sembra che pianga. "Ballava così bene Davide prima dell' incidente" , sussurra a mezza voce, "da grande voleva farlo per mestiere. Invece..." . Invece lo scontro, lui in motorino, una macchina addosso. L' hanno messo sull' ambulanza che lo credevano morto, quel pomeriggio d' estate, cinque anni fa. Era il 22 di agosto. Davide usciva dalla palestra, stava andando al mare con gli amici. La signora Paola ha bisogno di riposarsi un attimo, si accende una sigaretta. Davide è nell' altra stanza. Le mani dei volontari continuano a massaggiarlo, a premerlo, a scuoterlo. Così prescrive la terapia ordinata un anno fa da Glenn Doman, il primario dell' Istituto per il Recupero del potenziale umano di Philadelphia: stimoli forti, attenzioni continue. Il solo sistema, dice il terapeuta, che può forse riportare in vita Davide. Servirà a qualcosa? A Sarzana, ventimila anime affacciate sulla riviera ligure, hanno tutti bisogno di crederlo. Da quando, nel 1989, l' assessore allo sport e alla solidarietà sociale, il comunista Massimo Caleo, ha lanciato l' appello per un aiuto volontario al ragazzo, questa di Davide è diventata una battaglia comune. Cinquecento persone, sempre pronte a darsi il cambio al capezzale del malato. Squilla il telefono. La cornetta arriva alla signora Paola. E' Giuseppina Manunza, la madre di Marcello, il ragazzo di Cicagna, entroterra di Chiavari, in coma da tre anni. Stessa storia di Davide: un incidente di moto. Stessa speranza: la cura di Doman, scoperta grazie a una trasmissione televisiva che parlava del caso di Sarzana. A metà luglio però, Marcello si è "risvegliato" , rispondendo alla terapia con più vigore dello stesso Davide: ha obbedito ai comandi muovendo le gambe sullo scivolo. In famiglia vorrebbero intensificare la cura, capire come farsi aiutare. A Cicagna però gli appelli alla solidarietà sono caduti nel nulla. Eppure la signora Manunza è convinta che riuscirà a recuperare Marcello. Per lei i debolissimi segnali di vita dei giorni scorsi significano tanto, tantissimo. "Capisco la sua gioia, l' ho provata anch' io quando l' ho saputo... " , dice la signora Paola. All' Istituto per il recupero del potenziale umano di Philadelphia, Glenn Doman, il fisioterapista che tutti chiamano "professore" , ha spiegato a lei come alla mamma di Marcello che anche nei casi di sindrome "apallica" , coma dagli occhi aperti, finché c' è un 10 per cento del cervello che funziona è possibile intervenire. Come? La terapia di Doman si basa su stimolazioni esterne: odori, suoni, effetti di luce. In modo che il cervello assopito nel coma "ricordi" le sensazioni provate in passato. Per guarire cioè il malato deve sentire lo scorrere quotidiano della vita. Per questo la signora Paola continua ad appendere i poster alle pareti, Eros Ramazzotti e Madonna. Per questo il 13 ottobre di ogni anno festeggia il compleanno del figlio, ogni mattina alle sette lo sveglia con la colazione pronta, lo imbocca all' ora di pranzo, preparandogli un giorno la frittata, un altro la minestra. E Davide dimostra di avere ancora bisogno di lei, la segue con gli occhi, si ammala se scompare per più di un giorno. "Un anno fa era immobile, non rispondeva ad alcuno stimolo" , dice Rita Tavolacini, una casalinga che assiste Davide come volontaria, "adesso, invece, ci accorgiamo che comincia a muoversi sotto i nostri comandi. Eccolo, guarda, ci segue con gli occhi" La terapia ricomincia. Nuovamente la frenesia di questa lotta con l' impossibile. Nuovamente un susseguirsi di tonfi che lasciano senza fiato. Una giovane donna dai capelli ricci sbatte due piatti metallici. Proprio accanto a Davide, che fa un altro sobbalzo, e ancora una volta ruota intorno le sue pupille vuote. Poi un agitarsi di campanacci e lo sfregare forte dei guanti di crine sugli arti del ragazzo. Le voci dei volontari, alla fine il bip di un cronometro, a segnare il tempo di un esercizio di respirazione. Sono le sette di sera. Adesso la signora Paola può rilassarsi un momento. Ma il telefono squilla nuovamente. "Vogliono sapere cosa fare da tutte le parti d' Italia, a chi rivolgersi, dove andare. Io do sempre l' indirizzo di Philadelphia. Nei nostri ospedali purtroppo non c' è posto per malati come mio figlio. Qua i medici sanno solo dire che il gioco non vale la candela" . Il gioco non vale la candela. I coniugi Angeli l' hanno sentito tante volte, nel loro andare da un ospedale all' altro, da una clinica all' altra. Una litania quasi. La prima volta a Genova, al reparto di rianimazione, dove Davide è finito subito dopo l' incidente. Poi ancora, quando gli è venuta una fistola e i medici hanno detto che non era il caso di operarlo. "L' abbiamo portato a Padova alla Morgagni. Lì abbiamo parlato con il professore Giampiero Girò. Lui è il solo che ci ha aiutato, ripeteva sempre che il coma è imprevedibile" . Neanche lui però era in grado di dare una speranza concreta. Per quasi quattro anni i genitori di Davide Angeli sono rimasti soli nella casetta di Sarzana a guardare il loro ragazzo, accarezzarlo, parlargli come se li potesse sentire. "No, neanche una volta ci ha sfiorato l' idea che sarebbe stato meglio averlo morto" , dice il padre, Pier Giorgio, un omone che fa il falegname e che ogni sera, dopo le otto, si siede accanto al lettino del figlio. Per quattro anni, soli, senza sapere cosa fare. Poi è arrivato Renato, uno studente di medicina venuto dalla Sicilia, obiettore di coscienza. Assisteva Davide un paio di ore al giorno. E' stato lui che ha fatto il nome di Doman. "Abbiamo aspettato un anno prima di avere l' appuntamento. Fossimo intervenuti prima" , aggiunge Paola Angeli, "il recupero forse sarebbe stato più facile" . Ed ecco, finalmente, nell' aprile dell' anno scorso, un seminario a Livorno con Doman a spiegare i suoi metodi davanti a un' ottantina di genitori. E' servito da training. Subito dopo, i viaggi in America: il primo per stabilire se la cura di Philadelphia potesse servire contro la malattia di Davide. Il secondo per verificare i risultati. "Ecco cosa c' è scritto nel referto: progresso e rendimento eccellenti, crescita ottima" . E un sfilza di aggettivi... Dicono la verità? I genitori di Davide hanno fiducia in Doman. Non ha importanza che i suggerimenti del fisioterapista costino tanto, che per ogni viaggio vadano via dai venti ai venticinque milioni, e che l' onorario per una visita sia di due milioni e mezzo. Non importa neppure che ogni mese ci sia una retta da pagare all' Istituto, cinquecentomila lire, perché Glenn Doman, che con le sue terapie si vanta non solo di curare cerebrolesi, ma anche di sviluppare il quoziente intellettivo nell' età infantile tanto da creare piccoli mostri superdotati, ha bisogno di fondi. Quest' autunno aprirà in Italia un centro a Fauglia, metà strada tra Pisa e Livorno. Sarà il primo del genere in Europa. Anzi il primo fuori dagli Stati Uniti. "Abbiamo avuto dei risultati" , dice Pier Giorgio Angeli, "e il resto non ci interessa. L' importante è che le condizioni di Davide continuino a migliorare" . E poi c' è un paese intero che spera. Davide a Sarzana è il figlio di tutti. "Non ci aspettavamo tanto dalla gente" , dice l' assessore Caleo. "Ci eravamo rivolti solo alle associazioni sportive. E invece si sono mossi i quartieri, i paesi vicini, la regione intera" . Sono arrivati anche gli aiuti economici: 150, 200 milioni, forse di più. "Il problema è stato coordinare i volontari. Avevamo bisogno di gente con esperienza da fisioterapista. L' Usl ha mandato del personale, ci ha aiutato anche la marina militare" . Madri di famiglia, studenti, impiegati, operai. Ogni giorno al capezzale di Davide è come una preghiera collettiva, una ventina di persone che si danno il cambio ritagliando i propri tempi su quelli scanditi dalla terapia contro il coma. La mattina però è dei marinai di leva. Arrivano senza divisa, magliette colorate, bermuda a fiori. E storie di ragazze per tirare su la signora Paola. Arriva anche Mario Cianchi, pastore evangelista. Lui che ha accompagnato Davide e genitori negli Stati Uniti offrendosi come traduttore, è sicuro che il ragazzo stia recuperando una vita emozionale. "L' ho visto piangere ed è stata una gioia incredibile. Eravamo appena tornati da Philadelpia, si parlava di lui" , racconta sorridendo. "All' improvviso ci ha guardati, gli sono venute le lacrime" . Non è stata la sola volta. Qualche mese dopo, la madre l' ha un po' rimproverato. E Davide ha pianto ancora. Testata Epoca Data pubbl. 01/08/90 Numero 2077 Pagina 8 Titolo IN BARCA AL FISCO Autore ELISABETTA BURBA, MARCO CORRIAS, MARIA GRAZIA CUTULI (ha collaborato Fabrizio Feo) Sezione COPERTINA Occhiello CACCIA AL RICCO Sommario Yacht smisurati. Armatori sconosciuti. E gran nervosismo quando si avvicinano le lance della Finanza... Da Rapallo a Porto Cervo, da Napoli a Cala Galera, "Epoca" ha scandagliato i porti più esclusivi d' Italia. Dietro le barche miliardarie? Pochi veri ricchi e migliaia di grandi evasori. Didascalia La Guardia di Finanza ferma per un' ispezione un cabinato in navigazione al largo di Ischia. Domenica 15 luglio le Fiamme gialle hanno organizzato un controllo meticoloso tra le imbarcazioni del golfo di Napoli. Giovedì 19 luglio: un elicottero della Guardia di Finanza ispeziona le banchine del porto turistico di Cala Galera, sul promontorio dell' Argentario. Inaugurato nel 1974, il "marina" toscano può ospitare 700 barche. Sopra: "Tip Tap" , il 18 metri ormeggiato a Porto Cervo intestato a Mario Merello, marito della cantante Marcella Bella. In alto: "Blue One" , superyacht di 48 metri dello stilista Valentino. Proprietaria dell' imbarcazione è la Sea Boat, una società domiciliata a Roma. Nella pagina a fianco: "Orion" , un due alberi d' epoca (1910) ancorato a Porto Cervo, di proprietà dei fratelli Braghieri. Il veliero, lungo 40 metri, è valutato circa 15 miliardi di lire. Sopra: "Kalamoun" , motoryacht dell' Aga Khan, a Porto Cervo. Costruito nel 1988, è il fratello minore di "Shergar" , un 46 metri del 1983 che tocca i 45 nodi e può navigare autonomamente dal Mediterraneo all' Australia. Sopra: "Soleado" , il 18 metri di Mike Bongiorno all' ancora a Porto Cervo. L' imbarcazione del vice presidente della Fininvest risulta intestata alla Film Mike Enterprise, società domiciliata a Milano. Testo La Tm Blue One è attraccata al molo A di Porto Cervo. Quarantotto metri di yacht che Valentino, sarto nazionale, ha inaugurato qualche mese fa con un mega party. Ma quella barca, stando ai registri nautici, non gli appartiene. Appartiene invece alla Sea Boat, una società che ha sede in piazza Mignarelli a Roma. Al contrario, la Manitoba Due, un 18 metri uscito dai cantieri Sanlorenzo di Viareggio, un padrone ufficiale ce l' ha: è Luca Cordero di Montezemolo, che per riposare dalle fatiche dei Mondiali, in compagnia di Edwige Fenech, naviga lungo le coste dell' Argentario, facendo la spola tra Porto Ercole e Cala Galera. Due "signori del mare" , due modi diversi di affrontare i rigori del fisco e l' offensiva che lo Stato ha annunciato contro i 90 mila diportisti italiani. Un lungo elenco che comprende vecchi lupi di mare e capitani d' industria come Gianni Agnelli e Raul Gardini, velisti sfegatati come Giorgio Falck e parlamentari come Renato Altissimo e Pierluigi Romita, ricchi veri e ricchi presunti, gente dalle solide finanze e casalinghe dei vicoli napoletani. In queste settimane di mezza estate, i "capitani d' Italia" hanno scoperto di avere in comune qualcos' altro oltre alla barca: la paura del fisco, appunto. Il primo segnale d' allarme sui moli della penisola è arrivato domenica 15 luglio, proveniente dal Golfo di Napoli. Un blitz della Guardia di Finanza ( "Piano vela" in codice), voluto e coordinato dal procuratore capo di Napoli, Vittorio Sbordone, ha scoperto che solo il 20 per cento delle 230 imbarcazioni controllate dalle Fiamme Gialle tra Napoli, Ischia e Capri sono state regolarmente dichiarate al fisco nei modelli 740: il 70 per cento appartiene invece a società più o meno di comodo e il 10 per cento sono barche intestate a prestanome. "Il nostro scopo" , dicono alla Guardia di Finanza di Napoli, "era quello di stabilire chi sono i reali proprietari delle imbarcazioni. Spesso infatti chi possiede e usa una barca non è la stessa persona fisica che l' ha denunciata" . Un esempio eccellente? Corrado Ferlaino, presidente del Napoli Calcio e uno degli uomini più ricchi del Sud: il suo "Lupo" , yacht da tre miliardi superaccessoriato, figura nei libri contabili di una società napoletana. "Caso strano" , dice ironico un ufficiale che ha partecipato all' operazione, "a bordo non c' erano amministratori delegati o clienti di riguardo di questa società, ma solo un' allegra brigata di probabili parenti" . Non è finita qui. Nella Napoli che risulta agli ultimi posti del reddito nazionale (ma ai primissimi posti con Milano e Torino per consumi individuali), gli uomini della Finanza hanno scoperto che molte delle barche "intercettate" appartengono a casalinghe o nullatenenti. C' è anche un fioraio, con una barca da 800 milioni. Il "Piano vela" aveva due scopi: smascherare gli evasori fiscali del mare ma anche accertare quanto denaro della camorra venga riciclato attraverso investimenti in imbarcazioni. Proprio un mese fa, al largo di Procida, la Finanza ha sequestrato due tonnellate di hascisc a bordo di un motoscafo; le cinque persone dell' equipaggio sono state arrestate. Tra loro non c' era il proprietario dello scafo, l' avvocato napoletano Giuseppe Rocco, che ha poi candidamente dichiarato di non "sapere nulla" dei traffici per cui era usata la sua barca. Stesso stupore, sempre a Napoli, nel dicembre del 1988, per gli intestatari di quattro motoscafi posti sotto sequestro dalla questura: Anna Idelbrande, casalinga, e Francesco De Filippis, pregiudicato, usati come prestanome da boss della criminalità locale. Ma se a Napoli a tremare sono soprattutto le "teste di legno" e i nuovi ricchi del sommerso, nei porti dorati dove l' Italia marinara si mette in vetrina la paura che lo Stato vada a spulciare tra i redditi, cominciando proprio dai pontili, è più generale. Sono davvero pochi, infatti, i proprietari nazionali di barche che possono restare tranquilli davanti a un' ispezione delle Fiamme gialle. Su 89 mila e 500 imbarcazioni da diporto iscritte ai registri navali, appena 37 mila risultano denunciate nelle dichiarazioni dei redditi. Questo vuol dire che circa il 60 per cento della nautica da diporto italiana appartiene a società. Spese di rappresentanza? A stare alle dichiarazioni rese al fisco sembrerebbe di sì. Da qualche anno società di leasing, immobiliari, aziende commerciali e finanziarie sembrano aver scoperto un' insopprimibile passione per il mare. Fare a meno di una barca non si può: per accogliere clienti importanti, per organizzare crociere d' affari, per stipulare contratti e alleanze di ferro. Ma è proprio così? Gianni Agnelli non ha certo bisogno di nascondere la propria ricchezza al fisco. Eppure, sia il suo Big TF-100, barca di 30 metri, sia l' Extrabeat, maxi motoscafo d' altura, sono intestati a società Fiat. Sempre sotto una società, la Trent Srl di Milano, è registrata la Jupiter, una barca di 28 metri a vela che staziona nel porto Carlo Riva di Rapallo. A chi appartiene realmente? La Trent ha un amministratore unico: Francesco Micheli, parmense di nascita ma attivissimo finanziere sulla piazza di Milano, che l' ha costituita nel 1982 con un capitale di 20 milioni. Fino al 1987 la Trent non ha registrato alcuna attività. Poi, nel bilancio 1988, è comparsa la voce "natante" : un miliardo e 540 milioni per l' acquisto, 13 milioni di attrezzature, 15 milioni di ammortamento, 588 milioni di Iva, interamente deducibili. Se dietro alcune sigle è comunque facile individuare i potenti dell' industria e della finanza nazionale, chi si nasconde dietro la babele di società che saltano fuori dai registri navali? Cosa fa, per esempio, la Amusement Unlimited Company di Trieste, che è proprietaria, sempre a Rapallo, del 25 metri Mia Pia? Nata nel 1983 per l' acquisto e la vendita di attrezzature per imbarcazioni, la Auc non risulta abbia mai iniziato alcuna attività. Una delle tante società di copertura per "scaricare" le spese del tempo libero? I trucchi per aggirare il fisco sono tanti, e tutti formalmente legali. Un caso da manuale: sul tavolo del Comandante generale della Guardia di Finanza, Luigi Ramponi, c' è un documento che segnala i meccanismi con cui è possibile eludere le tasse, e indica una serie di indirizzi, bilanci e conti correnti di società. Prendiamo ad esempio la Versilcraft di Viareggio, cantiere che costruisce tre imbarcazioni di media all' anno di lunghezza variabile tra i 18 e i 34 metri. Per ogni barca, suggerisce il documento, verrebbe costituita a Guernsey, un' isola paradiso-fiscale della Manica, una società committente. In pratica, il cliente finale non si troverebbe ad acquistare una barca, ma le quote di una società che ha come unico bene una barca. Con questi accorgimenti (vedi riquadro a pagina 15) non solo si eviterebbe di pagare l' Iva, imposta sui beni e non sulle transazioni finanziarie, ma, fatturando a prezzi molto inferiori di quelli reali, il costruttore riuscirebbe anche ad abbattere l' imponibile Irpeg. Cosa dicono gli amministratori della Versilcraft? "Io non dico niente" , risponde Antonio Maggini, presidente del cantiere. "Noi siamo libri aperti. Venga pure la Finanza" . E infatti, se anche tutte le informazioni contenute nel documento all' attenzione del generale Ramponi fossero vere, società come la Versilcraft non avrebbero molto da temere. Si potrebbe parlare di illegalità soltanto nel caso fosse provato un legame diretto tra cantiere e società di comodo. Ma i paradisi fiscali britannici godono fama di grande impenetrabilità. E quindi... Comunque, al fatto che le società abbiano bisogno di solcare i mari per incrementare i loro affari non crede quasi nessuno. Tanto meno la Guardia di Finanza, che da sempre sostiene di tenere gli occhi addosso a motobarche e velieri. "L' anno scorso" , dice il tenente colonnello Ugo Marchetti, del comando generale di Roma, "abbiamo controllato quasi 70 mila natanti, sequestrato 656 barche, denunciato 11 mila 320 persone" . Neanche una, però, per evasione fiscale. E non per cattiva volontà, dicono alla Finanza, "ma solo perché la legge non prevede una denuncia immediata, quando anche si dimostri che la barca non viene usata per scopi societari. Il nostro compito, una volta accertata l' irregolarità, è quello di trasmettere agli uffici territoriali la pratica, e richiedere ulteriori controlli sul reddito. Tutt' al più possiamo chiedere la confisca del mezzo quando non risulti regolarmente denunciato" . Nel mare magno della diportistica, anche le Fiamme gialle si muovono con difficoltà. E se le maglie della legge appaiono larghe abbastanza da permettere una diffusa evasione, viene il dubbio che un certo lassismo, almeno finora, sia dovuto anche al ruolo giocato dalla cantieristica nell' economia nazionale. Milleduecento miliardi di fatturato all' anno (da cui sono escluse le barche inferiori ai sei metri per le quali non è necessaria la patente nautica), oltre 20 mila addetti alla produzione, che diventano 140 mila con l' indotto, la nautica ha in cinque anni (dal 1983 al 1988) raddoppiato il suo giro d' affari. "Un boom che ha coinciso con le grandi ricchezze prodotte negli anni Ottanta" , dice Mario Abis, presidente della Makno, "che hanno determinato la corsa al consumo affluente e simbolico: le barche, soprattutto quelle a motore, sono il segno di una autorappresentazione sociale dei nuovi ricchi, che le usano come francobolli per la propria immagine. Oggi però il ciclo sembra chiudersi, il mercato ha quasi raggiunto la saturazione e si notano i primi segni di stanchezza" . Ma il fenomeno, secondo Abis, si può leggere anche in altre chiavi: "Sull' esempio di Kashoggi, lo yacht diventa un luogo di pubbliche relazioni, e negli ultimi tempi si va diffondendo la moda di utilizzarlo come ufficio operativo, un vero e proprio terminale tecnologico mobile, completo di computer, fax e attrezzature telefoniche" . Se a questa evoluzione del costume si aggiunge che il settore della nautica è "protetto" fino al punto che l' Iva lo scorso anno, anche grazie alla pressione dei sindacati allarmati dall' aria di crisi, è stata abbassata dal 38 al 19 per cento, ecco che si spiega, come dice l' ingegner Mario Giugni della Consornautica di Genova, "il balzo in avanti che ha portato il mercato nel 1988 a vendere 27 mila imbarcazioni, 2 mila in più rispetto all' anno precedente" . Barche che possono costare da 10 milioni a 30 miliardi, ormeggi in affitto o in vendita che toccano cifre da capogiro. Come a Rapallo, il molo d' Italia più caro dopo quello di Porto Cervo. Tenere per un anno un 12 metri nelle banchine della cittadina ligure costa intorno ai 13 milioni, ma trovare un posto libero è un terno al lotto. Comprarlo è ancora più difficile. Ne sa qualcosa il misterioso personaggio che per la bella cifra di 700 milioni, e dopo lungo assedio, è riuscito a conquistare lo spazio di 18 metri di cui era proprietario Saro Balsamo, ex-marito di Adelina Tattilo, la regina della porno-editoria. Follie? Non per i ricchi ospiti di Rapallo, che occupano durante l' anno i 376 posti della Carlo Riva, la società che gestisce il porto. Molti i nomi altisonanti. Industriali del Nord, soprattutto: c' è Giorgio Falck, col suo Rolly-Go, un veliero sul quale, dopo aver vinto numerose regate, ora trascorre tranquille vacanze in compagnia della moglie Rosanna Schiaffino; ci sono i Pesenti, con Pepide, vecchia e nobile barca di 22 metri; e ancora, Mario Borletti, che esibisce la sua Seronera, un 21 metri tutto lusso, fabbricato nei cantieri Sangermani. Fianco a fianco i big dell' editoria: Edilio Rusconi e famiglia, che mettono in mostra una vera e propria flottiglia di cinque barche; i Mondadori rispondono con quattro (Leonardo ne possiede una con bandiera Usa, intestata alla moglie americana). Poi nomi meno conosciuti ma dai consistenti conti in banca: come i coniugi Costamagna, industriali tessili di Vigevano, che viaggiano sul Golia, uno scafo di 21 metri, acquistato per tre miliardi dai Cantieri di Pisa, attrezzato con optional di gran lusso: nella camera matrimoniale c' è persino un letto a due piazze, rotondo e girevole. I Costamagna, la loro barca, l' hanno regolarmente dichiarata in proprio al fisco. Non sono i soli, ma sono in pochi. Altre "eccezioni" a Porto Cervo dove, per esempio, l' ex presidente della Confindustria Vittorio Merloni tiene ormeggiato il suo Tantaran, motoscafo di 20 metri, intestato a suo nome. Così Andrea Foroni, industriale lombardo dell' acciaio, che tra i suoi ospiti vanta spesso il segretario della Dc Arnaldo Forlani e che non fa mistero, nemmeno con il fisco, di essere proprietario dell' Ocean 75, un 35 metri del valore di una decina di miliardi. Molto più modesto, ma non meno noto nella baia dell' Aga Khan, è il Tip Tap, un Cobra di 18 metri, che porta in giro la cantante Marcella Bella e suo marito Mario Merello, al quale lo scafo è intestato. Chi, invece, ha pensato di affidarsi a una sigla è Mike Bongiorno: il suo Soleado, 18 metri a motore, lo presenta allo Stato come bene della Film Mike Enterprise. Mondo dorato, quello di Porto Cervo, esclusivo e misterioso. Quasi una zona franca: la paura di compromettere il grande affare che ruota attorno agli "attracchi d' oro" (un posto barca medio, e sono 550, costa 165 mila lire al giorno) si traduce in una sorta di omertà marinara. Anche i controlli della Guardia di Finanza sono rari. "Forse perché" , dice un marinaio che spazza il ponte di un 18 metri appena uscito dai cantieri Sanlorenzo di Viareggio, "qui siamo quasi tutti in transito e le ispezioni di solito si fanno nei moli d' origine" . Carlo, questo il nome del marinaio, guadagna 3 milioni al mese. I proprietari della barca, due anziani coniugi toscani, ex titolari di un' industria di accessori legata alla Fiat, devono aggiungere il suo stipendio all' affitto giornaliero di Porto Cervo, al carburante per i viaggi, ai 200 milioni spesi per acquistare il rifugio invernale nel porto di Mentone. Un hobby piuttosto costoso, praticato con signorilità. Il marinaio Carlo, infatti, non si lamenta. Altri suoi colleghi, da Rapallo a Cala Galera, raccontano di padroni filibustieri che, a conclusione del viaggio, levano le ancore lasciandoli a terra senza paga. Un vizio, quello di risparmiare sulle piccole spese, comune a molti yachtmen. Tanto che a Porto Cervo ricordano ancora quel politico che, dichiarando la lunghezza della sua barca alla direzione portuale, si era scontato 6 metri. Nomi? Neanche a parlarne. La diffidenza sui moli, di questi tempi, è se possibile ancora aumentata. Come a Cala Galera, autentica fortezza dei ricchi nascosta tra le scogliere dell' Argentario. Costruita come una base militare, con tanto di ingresso regolato da tessere magnetiche, ospita buona parte dell' élite nautica romana, anche se non tutti gli ospiti possiedono una barca: gente di spettacolo come Virna Lisi e Raffaella Carrà, politici come Martelli e Spadolini, il quale appare spesso accanto al fratello su una barca a vela, rappresentanti della nobiltà "nera" come Alessandra Notarbartolo di Villa Rosa o i coniugi Mario e Luciana Are, palazzinari e diplomatici, notai del Vaticano e giornalisti come Giuliano Ferrara. Si fanno sentire anche da queste parti gli effetti del blitz di Napoli? In effetti, gli elicotteri della Finanza volteggiano su yacht e barche a vela. Scattano foto, perlustrano la rada... Qualcuno, però, sostiene che tutto questo spiegamento di forze ha un altro movente: a giorni, si sussurra sulle banchine, arriverà da queste parti il capo della P2, Licio Gelli. Il quale per il momento, dopo l' assoluzione per la strage di Bologna, è in ferie a Porto Santo Stefano. Sulla barca del figlio Raffaello. BOX GOVERNO BALNEARE I 35 parlamentari che hanno la barca. Tra i 36 mila italiani "in barca" e in regola con il fisco ci sono anche parecchi parlamentari, la cui passione nautica è certificata dall' ultima dichiarazione dei redditi riferita al 1988. Ecco un elenco di deputati e senatori diportisti. Deputati Renato Alpini (Msi), motoscafo 65 cavalli, reddito 69 milioni 271 mila. Renato Altissimo (Pli), Altair a motore, reddito 187 milioni 939 mila. Andrea Bonetti (Dc), Riva Acquarama, 115 cavalli, reddito 98 milioni 963 mila. Massimo D' Alema (Pci), barca a vela da 12 metri (in comproprietà con la moglie), reddito 34 milioni. Carlo D' Amato (Psi), barca 60 cavalli (in comproprietà per un terzo), reddito 82 milioni 756 mila. Stefano De Conca (Pli), barca a vela da 8 metri, reddito 105 milioni 844 mila. Gaetano Gorgoni (Pri), Acquaviva fiberglass, reddito 109 milioni. Salvatore Meleleo (Dc), Criss Craft 200 cavalli, reddito 106 milioni 484 mila. Francesco Merloni (Dc), Cigarette 38 cavalli, reddito 286 milioni 28 mila. Riccardo Misasi (Dc), barca 31 cavalli, reddito 53 milioni 612 mila. Sergio Moroni (Psi), motoscafo 39 cavalli, reddito 49 milioni 190 mila. Giovanni Nonne (Psi), barca a motore 30 cavalli, reddito 78 milioni 290 mila. Gino Paoli (Sinistra indipendente), Open Boat da 30 cavalli, reddito 503 milioni 963 mila. Carmelo Puja (Dc), barca a motore 9 cavalli, reddito 64 milioni 960 mila. Luciano Rebulla (Dc), barca a vela 16 cavalli, reddito 50 milioni 183 mila. Pierluigi Romita (Psi), motoscafo Fyord 25 cavalli, reddito 115 milioni 74 mila. Luigi Rossi di Montelera (Dc), barca a motore 180 cavalli, reddito 208 milioni 562 mila. Raffaele Rotiroti (Psi), Squalo 35, 78 cavalli (in comproprietà con la moglie), reddito 70 milioni 95 mila. Claudio Signorile (Psi), Outrage, 12 cavalli, reddito 106 milioni 226 mila. Carlo Vizzini (Psdi), motoscafo 24 cavalli, reddito 131 milioni 382 mila. Senatori Lucio Abis (Dc), motobarca da 80 cavalli, reddito 134 milioni 526 mila lire. Aureliana Alberici (Pci), Brigand 7,5 metri a vela, reddito 107 milioni 901 mila. Giovanni Berlinguer (Pci), Piviere 6,6 metri a vela, reddito 138 milioni 362 mila Emanuele Cardinale (Pci), gommone 9 cavalli, reddito 55 milioni 441 mila Achille Cutrera (Psi), Polaris 9 cavalli (intestato alla moglie Laura Mottola), reddito 357 milioni 244 mila. Giorgio De Giuseppe (Dc), barca 7 cavalli, reddito 115 milioni 185 mila. Alfredo Diana (Dc), barca a vela 11 cavalli (intestata alla moglie Olga Millo), reddito 52 milioni 18 mila. Giuseppe Fassino (Gruppo misto), motoscafo 6,5 metri, reddito 146 milioni 844 mila. Walter Fontana (Dc), Falcon, 354 cavalli, reddito 829 milioni 154 mila. Francesco Guizzi (Psi), gozzo sorrentino, 11 cavalli, reddito 178 milioni e 208 mila. Giampaolo Mora (Dc), Pic Nic fuoribordo, metri 4,5, reddito 88 milioni 603 mila. Giovanni Maria Nieddu (Dc), fuoribordo metri 5, 11 cavalli, reddito 89 milioni 676 mila. Ugo Pecchioli (Pci), barca a vela, 16 cavalli, reddito 71 milioni 583 mila. Sosio Pezzullo (Psi), Astral 2, 192 cavalli, metri 16, reddito 186 milioni 89 mila. Claudio Vitalone (Dc), gozzetto da pesca, 30 cavalli, più imbarcazione da 12 metri, 45 cavalli, reddito 140 milioni 192 mila. NAVI PIRATA Così i "furbi" del mare ingannano il fisco. "Pronto, Overseas Company? Sto per acquistare uno yacht. Vorrei sapere se da voi è possibile costituire una società a responsabilità limitata..." . Dall' altra parte del filo, nell' isola di Man, il direttore Richard Dixon risponde: "Ma certo, signora. I tempi? Se desidera accelerarli, nell' isola di Man esiste una serie di "shelf company" , società già pronte che le verranno intestate nel giro di una settimana. Se invece vuole una società con nome e ragione sociale scelti da lei con sede nell' isola di Guernsey, ci vorranno tre settimane. Fra due minuti riceverà per fax l' elenco delle ottanta "shelf company" disponibili e tutte le informazioni sulla Overseas Company" . La creazione di una società di comodo con sede nelle isole britanniche, paradisi che offrono incentivi fiscali, tasse dirette basse e portofranco, di proprietà della Corona britannica ma politicamente indipendenti, è l' ultimo metodo escogitato dai consulenti fiscali. Scopo? Acquistare un' imbarcazione senza pagare Iva, evitare i controlli della Guardia di Finanza, nascondere un "indicatore di redditività" , come lo chiamano i fiscalisti, e mettere al riparo il bene dall' assalto dei creditori in caso di fallimento. "L' operazione è semplice" , spiega l' avvocato genovese Francesco Rizzuto, esperto di Diritto marittimo. "Invece di risultare proprietario di una barca, l' armatore risulta proprietario di una società. Il suo nome non trapelerà mai. Per scoprirlo, l' unico strumento sarebbe un mandato dell' autorità giudiziaria, che però può scattare solo in caso di sospetto di operazioni di lavaggio di denaro sporco o di traffico di stupefacenti" . Ma se la barca è britannica, come si può giustificare la presenza di italiani a bordo? "In caso di controlli, l' uomo risulterebbe assunto dalla società inglese come marinaio, la moglie come cameriera, i figli come mozzi" . Aggiunge Giuseppe De Felice, agente marittimo di Viareggio: "Ormai l' 80-90 per cento delle imbarcazioni batte bandiera inglese, proprio come una volta battevano bandiera panamense" . Il cambiamento di strategia deriva dal fatto che "ripararsi" sotto la bandiera centroamericana non è più consigliabile, visto che la legge considera "penalmente rilevante" possedere barche registrate in Paesi stranieri. E la Gran Bretagna, allora? Quello è un Paese della Cee, e quindi meno esposto alle norme di diritto nazionale. Ma esistono anche sistemi più "italiani" per eludere il fisco sui natanti. "Il più diffuso è quello di intestare la propria barca a persone che non hanno l' obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi: figli minorenni, mogli, parenti nullatenenti" , spiega il commercialista milanese Mauro Uggeri. "Salvo poi depositare da un notaio un contratto che attesti che il bene appartiene all' effettivo proprietario" . Se però l' aspirante evasore non desidera avere a che fare con persone fisiche, può intestare la barca alla propria società facendola figurare come bene di rappresentanza, mettendo poi in bilancio tutte le spese di mantenimento e di manutenzione. Un' operazione che a partire dall' anno scorso è diventata più difficile, grazie a leggi più severe sulla deducibilità delle spese di rappresentanza. E' per questa ragione che negli ultimi tempi sono proliferate società che hanno come scopo sociale la compravendita e la locazione di imbarcazioni e natanti, ma che in realtà non svolgono alcuna attività. Il loro unico bene, la barca, viene utilizzato da una sola persona, il proprietario, che spesso risulta averla presa in affitto nei momenti liberi. Testata Epoca Data pubbl. 25/07/90 Numero 2076 Pagina 8 Titolo PRINCIPE DI DENARI Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione COPERTINA Occhiello MONTECARLO Sommario Al solito, la famiglia dell' estate. Questa volta perché Stephanie rompe l' ennesimo matrimonio, Alberto consuma l' ennesimo flirt, Casiraghi fonda l' ennesima società. Eppure, non c' è solo mondanità nel regno dorato di Ranieri e delle sue turbolente figlie. Truffe bancarie, appalti sospetti, traffici internazionali. E uno scandalo finanziario che per la prima volta sta facendo tremare il bel mondo monegasco. Didascalia A sinistra: il porto di Montecarlo. A destra: Ranieri di Monaco. Sotto il titolo, le due figlie di Ranieri con vecchi amori; in alto: Carolina e Philippe Junot; in basso: Stephanie e Mario Jutard. I Grimaldi a un' esposizione monegasca con i progetti di riassetto urbanistico del principato. Davanti al plastico di Montecarlo, da destra: Carolina, 33 anni; Stephanie, 25; Ranieri, 67; Alberto, 32. Un grande regno di due chilometri quadrati Grace e Ranieri con la primogenita Carolina. Grace con i tre figli. Carolina e Stefano Casiraghi con due dei tre figli. Foto ricordo della famiglia Grimaldi con Grace e Ranieri tra i tre figli. Da sinistra: Ranieri, Stephanie, Alberto, Grace, Carolina e Junot. Ranieri ai funerali della moglie Grace, nel settembre 1982. ( Da sinistra: Stephanie, Alberto e Carolina di Monaco. Album di una famiglia votata alla ribalta Stephanie con Mario Jutard, un amore durato dieci mesi nel 1988. L' ultima relazione di Stephanie è stata quella, recentissima e già sfumata, con Yves Le Fur. Stephanie o l' arte di fare scandalo Testo In un angolo del Jimmy' z, la discoteca più esclusiva di Montecarlo, c' è un tavolo sempre riservato. La principessa Stephanie e il principe Alberto, titolari anche di questo piccolo privilegio, vanno ad occuparlo quasi ogni sera, in genere dopo la mezzanotte. Quando la coppia principesca entra al Jimmy' z, è impossibile non notarla. Stephanie soprattutto: jeans strappati e maglietta aderente, niente a che vedere con gli altri ospiti vestiti Saint Laurent. E poi provocatoria e chiassosa, a dispetto di chi la vorrebbe disperata per la fine della storia d' amore con Yves Le Fur. "Ieri c' è stata la rottura ufficiale" , racconta il direttore del locale, Franco Fiorito. "Lui è venuto a trovarla, è molto innamorato... ma lei non vuole più saperne" . E pensare che appena due mesi fa, in un ristorante parigino, Stephanie e Yves avevano annunciato le loro nozze. Data indicativa: la metà di giugno. Ma in due mesi possono capitare tante cose; a Montecarlo, poi, tantissime. Specie se dietro un' appassionata vicenda sentimentale si nascondono ambizioni personali e inghippi finanziari. Al di là delle apparenze, infatti, degli psicodrammi a sfondo rosa e della retorica dei paparazzi, il regno dei Grimaldi è molto più che una fiera della mondanità. Quella, semmai, serve giusto da copertura. Le esenzioni fiscali da un lato e il rigidissimo controllo anti crimine dall' altro, hanno fatto del principato di Monaco un centro di affari internazionali, la sede di molte tra le più grandi banche mondiali, il paradiso delle intermediazioni e delle speculazioni immobiliari. Una specie di corporation, insomma, con un amministratore unico e plenipotenziario: il sessantasettenne principe Ranieri. Cinquantasette banche, 670 imprese, 2500 stanze d' albergo a quattro stelle e 700 stabilimenti industriali hanno portato nel 1989 il giro d' affari del principato a 5400 miliardi di lire contro i 650 del 1975. Un balzo che certo rallegra più di ogni altra cosa il principe. Non a caso lui, capo supremo di un mini Stato gestito come una maxi fortezza, ama dichiararsi "chef d' entreprise" . Anche la sua famiglia fa parte del gioco. Amici, fidanzati delle figlie, cortigiani: chiunque si avvicini, difficilmente sfugge al controllo del regnante. E della sua polizia. Vedi Yves Le Fur. Il tempo di annunciare il suo matrimonio con Stephanie e il promesso sposo era già bruciato. Grazie anche alla collaborazione della Su' reté di Parigi, gli uomini di Ranieri avevano preparato un dossier "informativo" sull' aspirante congiunto dove si smontava pezzo a pezzo la sua credibilità. Altro che rampollo scelto della Parigi bene. Incriminazioni per il furto di un carico di registratori e per una di tentata truffa. Un arresto e 40 giorni di reclusione. Ma il peggio è che Yves, a quanto risulta da un' inchiesta del Mondo, si era fatto dare 4 milioni di franchi, 900 milioni di lire, da una società edilizia francese, proponendosi come manager immobiliare e promettendo di restituire il prestito sotto forma di appalti, una volta convolato a giuste nozze con la principessa di Monaco. Sperava forse, lo spregiudicato Le Fur, di emulare le gesta di Stefano Casiraghi, marito di Carolina, che da queste parti, in mezzo a banche, società immobiliari e miliardi, si è fatto un nome e una solida fortuna. Un errore di calcolo, per altro giustificabile. Montecarlo è in effetti terra di prìncipi e insieme di corsari. Scenografia per commedie scintillanti e porto per vecchi lupi di mare. I nomi? Praticamente tutti: ieri, da Aristotele Onassis a Kashoggi, da Licio Gelli a Ljiuba Rosa Rizzoli; oggi, da Helmut Newton a Anthony Burgess, da Borg a Prost, da Roberto Rossellini a Karl Lagerfeld, lo stilista di Chanel, amico intimo di Carolina, villa sul lungomare, vicino allo Sporting Club e un appartamento al Roccabella, dove le case costano 20 milioni al metro quadro. Bel mondo, come sempre, ma che non è lì per caso. "E' proprio grazie al fatto di operare sulla piazza di Montecarlo che sono riuscito ad allargare il mio raggio d' azione fino agli Stati Uniti e al Giappone" , confessa il gioielliere Alberto Repossi. "In certi ambienti il nome dei Grimaldi è una garanzia" . Dietro la mondanità, una buona quota di imprenditori italiani, ma negli ultimi anni anche di francesi, svizzeri, americani, ben accetti da Ranieri. Tutti attirati da un regime fiscale che fa di Monaco uno dei porti franchi più felici d' Europa. Nessuna imposta diretta sulla persona e sul patrimonio per i residenti, ad eccezioni di quelli di nazionalità francese. Un' imposta sugli utili per le società, il 35 per cento circa, ma solo se realizzano più del 25 per cento della loro cifra d' affari fuori dal principato. In ogni caso, il 5 per cento dei ricavi di qualsiasi impresa va nelle casse dello Stato. Essendo 670 quelle registrate... E pensare che nel 1949, quando Ranieri era salito al trono di Monaco, la situazione era tutt' altro che rosea. Le presenze turistiche a Montecarlo erano scese del 25 per cento negli ultimi dieci anni, il Casinò era in perdita e i primi tempi furono anche segnati dal fallimento della Banca dei metalli preziosi. Sarà poi stato il matrimonio del principe con Grace, saranno state alcune mosse particolarmente riuscite, come quella di statalizzare la Société des bains de mer che ancora oggi gestisce gli alberghi più lussuosi, i casinò e i maggiori impianti sportivi del principato, strappandola al controllo di Onassis, fatto sta che negli ultimi decenni le cose per i Grimaldi si sono messe particolarmente bene. C' era stato un attimo di panico quando Mitterrand era salito al governo in Francia, perché si temeva che un socialista come lui potesse mettere un freno alla libertà fiscale di cui godeva il principato di Monaco, indipendente con riserva. Ma fu un falso allarme: nell' 84 il presidente francese suggellò in un incontro ufficiale la sua amicizia con Ranieri. Anzi, qualche giornale ha riportato che per rendere il patto ancora più efficace Mitterrand ha investito qualche franco personale in terra monegasca. Ma di prove della cosa, neppure l' ombra. Normale: il regno di Ranieri è a tenuta stagna per quel che riguarda le informazioni finanziarie. Così vuole il principe, da sempre. E quello che lui vuole, qui è legge. Dagli uffici del Palais Princier, dove passa gran parte della sua giornata, riservando le apparizioni in pubblico solo per i grandi eventi con il Ballo della Rose e quello della Croce Rossa, gli open di golf e quelli di tennis al Country Club, Ranieri sovraintende al proprio regno come un monarca assoluto, riservandosi l' ultima parola su ogni questione, specie quelle di strategia economica. Consiglieri del principe? Uno su tutti: Jean Charles Ray, golfista di rango e grande vecchio del principato. Un sistema di potere, quello organizzato da Ranieri, con pochi punti deboli. Nemmeno l' unificazione europea del 1992, e la conseguente minaccia di restrizioni fiscali, sembra in grado di metterlo in crisi. Almeno a sentire quello che con insistenza il sovrano continua a ripetere negli ultimi mesi: "Il peggio che ci può capitare è di restare come siamo. Ma sono ottimista e so che andremo ancora più avanti" . La strada per il progresso monegasco non ammette compagni di viaggio che non siano all' altezza. Ecco allora la messa al bando di Le Fur, prima che potesse nuocere. E a rinforzare la giubilazione, blocco su tutte le foto recenti di Stephanie, ancora una volta pietruzza dello scandalo. A ordinare l' embargo, addirittura il principe in persona, ancora una volta abilissimo regista, o burattinaio, del teatrino Montecarlo, laboratorio politico dove la mondanità spinta occupa il proscenio, calamita l' attenzione, fa da tessuto connettivo per le evoluzioni dell' altra Montecarlo, quella degli affari, delle società ombra, dei segreti bancari. Guai a chi stona, da queste parti, in questa recita. Le Fur stava per farlo. Molto più nella parte Stefano Casiraghi, marito di Carolina. E l' ossequio alle regole della Casa, paga: a soli trent' anni, dopo sette di onorato matrimonio, è oggi uno degli imprenditori più in vista di Montecarlo. Costruisce palazzi, si accaparra commesse pubbliche, possiede una compagnia di elicotteri, la Monacair, che è appena entrata in joint venture con l' Agusta del gruppo Efim. Un uomo d' affari poliedrico. Ma come ha cominciato? C' è chi sostiene che in gioventù gestisse a Parigi un' agenzia di modelle con la cantante Regine. Ma questa è una storia di cui si sono dimenticati quasi tutti. E lui è il primo a smentirla. Preferisce raccontare di aver esordito direttamente nel mercato immobiliare, con un paio di società. Tra queste, la Redim. Poca cosa: tre palazzi venduti in due anni, qualche lavoro di ristrutturazione. Una buona palestra però per lanciarsi nel mondo degli affari veri e propri. Affari che sono arrivati subito, appena messo piede a Montecarlo. "Prima però" , dice lui, "di sposare Carolina" . Vero? I due, narrano le cronache, si conoscono durante una crociera in Corsica. Lei viene dal naufragio del matrimonio con Philippe Junot, fama di play boy impenitente, e a Ranieri non par vero di riaccasare la primogenita con un ragazzo della buona borghesia italiana, oltretutto con uno spiccato senso per gli affari. Indagini preventive sul suo conto, come nel caso di Yves Le Fur? Pare che il principe, forse fidandosi del suo intuito, non ne abbia commissionate. Anzi, accoltolo in famiglia, si è subito dato da fare per piazzare al meglio il nuovo genero. A questo scopo, Ranieri Grimaldi contatta Victor Pastor, della casata dei Pastor, primi "cementificatori" di Montecarlo, e gli chiede un aiuto per far decollare Casiraghi. Pastor, che in zona è potentissimo (nel solo principato possiede oltre duemila appartamenti), naturalmente accetta di buon grado di compiacere il sovrano. Ecco la motivazione: "Casiraghi, vero, è molto giovane... I Pastor non hanno certo bisogno di lui! Ma è in gamba, e poi a noi faceva proprio piacere lavorare con qualcuno della famiglia reale..." . Morale: nella ancora acerba società di costruzioni di Stefano Casiraghi, la En.Ge.Co., entra improvvisamente il sole, sotto forma di Victor Pastor, con una quota del 48 per cento. E come per incanto la En.Ge.Co. si assicura subito la ristrutturazione del Café de Paris, locale storico di Montecarlo, di proprietà dell' Sbm, la Société de bains de mer gestita al 69 per cento dal governo di Monaco, con un 10 per cento di partecipazione personale da parte di Ranieri. E' solo un primo assaggio: seguono costruzioni di immobili e mastodontici appalti. "Sì, i tre nuovi parcheggi finanziati dallo Stato li hanno in mano loro" , conferma René Bouchiet, direttore della sezione Lavori pubblici del principato. "Stessa cosa per l' interramento della linea ferrata che dovrebbe completarsi entro il 1996" . E si stanno preparando anche, lo dice lo stesso Pastor, alla gara d' appalto per la diga che dovrebbe chiudere il porto di Montecarlo grazie a piloni alti dai 40 ai 100 metri, per permettere l' approdo alle navi da crociera. Un investimento che Casiraghi non ha intenzione di lasciarsi scappare: da mesi segue personalmente con gli svedesi della Skanska i lavori tecnici di preparazione. E Pastor? Ultimamente pare che tra i due sia in corso un sotterraneo conflitto di potere. Tra le illazioni, il fatto che Casiraghi si starebbe circondando di personaggi non esattamente graditi dal socio. Italiani? E di che provenienza? Le voci infuriano, le prove mancano, anche perché i diretti interessati, interpellati sulla crisi del loro rapporto, candidamente negano. Al genero di Ranieri gli alleati comunque non mancano. Dentro e fuori Montecarlo. Ha avuto al suo fianco la Cogefar France, fino a diventarne vicepresidente, chiamato direttamente da Franco Nobili (quando ne era presidente prima di andare all' Iri), dopo il passaggio di mano della società da Romagnoli alla Fiatimpresit. E sembra intenzionato ad allargare ulteriormente i suoi legami. Prossimamente, con un gruppo francese di punta, almeno stando ai suoi desiderata. Con un marito tanto assorbito dagli affari (e saltuariamente dall' off-shore), Carolina può dormire sonni tranquilli. Non bastasse, il tribunale della Sacra Rota ha riavviato la causa d' annullamento del suo precedente matrimonio con Junot. Potrebbe così convolare a nozze religiose con Stefano Casiraghi. A Montecarlo non è un dettaglio. Si ricordano tutti di quanto Grace fosse cattolica... Tutta casa e mondanità, la trentatreenne Carolina. Incursioni negli affari del consorte, poche e discrete. Come quando, qualche anno fa, lo aiutò nell' acquisto delle cinque boutique di Dior, sfruttando l' amicizia con i rappresentanti della maison francese. Fu comunque un' avventura breve: quei negozi sono già stati rivenduti all' imprenditore genovese Mario Contini. Se a Carolina basta l' immagine (e la sua "vende" ancor più di quella della sorella e del fratello), Stephanie, esplosiva venticinquenne, è una specie di trottola instancabile. Modella, creatrice di costumi da bagno, cantante (ha in programma un nuovo album prodotto dalla Cbs). Si è occupata anche di cosmesi: lo scorso autunno ha presentato in Francia e Gran Bretagna un profumo che porta il suo nome. Quanto agli amori, da perderci il conto. Dei tre figli della coppia Ranieri-Grace, resta Alberto, 32 anni, pallido, compunto e, a differenza delle sorelle, meno appetito dalla stampa rosa. Una donna diversa ogni sera, i corsi di studio economici in America, il trono di Monaco pronto ad accoglierlo. Nell' attesa, si diletta tra club esclusivi, gare d' atletica ed elicotteri, passione, quest' ultima, che condivide felicemente con il cognato Casiraghi. Nell' attesa, appunto. Il regno che Alberto dovrebbe ereditare da papà Ranieri è uno scherzo solo sulla carta: due chilometri quadrati d' estensione, 30 mila abitanti, di cui solo 4 mila monegaschi e il resto stranieri che hanno preso la residenza. Ma è un regno di privilegi, dove un appartamento costa in media 10 milioni al metro quadro e dove il silenzio è realmente d' oro. "Niente nomi, per favore" , avverte il consulente fiscale di una serie di banche monegasche. "Noi di Montecarlo non amiamo la pubblicità. Questo è un paradiso: sicurezza, ricchezza, tranquillità..." . Privati che investono, istituti di credito che ospitano fortune considerevoli (più di 9 mila miliardi dichiarati nel 1989), società dalle attività imperscrutabili. Come la Sudameris, in passato sospettata di essere stata utilizzata come crocevia per il riciclo di narcodollari. E come la Bim, la Banque Industrielle de Monaco, uno scandalo per il principato molto più serio di quelli procurati dall' esuberante Stephanie. L' "affaire Bim" , piccolo ma prestigioso istituto finanziario, scoppia per caso all' inizio di quest' anno e porta alla luce conti neri, società fantasma e traffici internazionali. Tra gli effetti, un suicidio: quello di Jean Ferry, funzionario addetto alla gestione di "certi" fondi in arrivo da Italia, Svizzera e Sud America, tutti registrati sotto falsi nomi. Come si è arrivati a questa scoperta? Il via lo dà un' inchiesta giudiziaria su un certo Jean Marc Faurè, responsabile di una società vicino Nizza, che cedeva in franchising un marchio per accessori di moda, "Un bruit qui court" , rivelatosi poi fasullo. Quando Faurè è costretto a scappare negli Stati Uniti per sfuggire ai suoi clienti, che gli avevano versato una sessantina di milioni di lire a testa, l' inchiesta a suo carico raggiunge la Bim. Accusa: la banca aveva finanziato e continuava a finanziare il bancarottiere, senza richiedere alcuna garanzia da parte sua. Una piccola falla di gestione, dietro la quale si è scoperto ben altro. Per esempio, 143 società anonime, con un complesso giro di conti correnti denominati "noir-noir" attraverso i quali veniva riciclato denaro sporco. Titolari di questi conti correnti? Si è parlato di insospettabili, di clienti eccellenti legati alla massoneria. Ma i nomi sono tutti scomparsi al momento della morte del funzionario che avrebbe dovuto ricostruirne la lista. E il giallo non è finito. Gli sviluppi risalgono alla scorsa settimana: secondo un rapporto della Cob, la commissione di controllo della Borsa di Parigi, una società monegasca, la Perspectives financières, ha operato una colossale speculazione sull' Opa lanciata sui titoli La Rochette, società detenuta da Paribas e Crédit agricole. Christian Terral, responsabile della manovra, aveva tutti i propri conti sulla Bim. Non bastasse, l' inchiesta-bomba sta scatenando un conflitto di competenze che ingarbuglia ancora più le cose: da una parte il tribunale di Grasse, che ha ordinato l' arresto del direttore della Bim, Jean Colby, dall' altra quello di Monaco, che vorrebbe gestire interamente la faccenda e che ha sotto la sua giurisdizione i dossier sui conti "noir" . In mezzo, Ranieri, sul quale lo scandalo bancario, dicono, ha avuto un effetto molto forte. Il principe è infatti ossessionato dalla paura del denaro sporco. Pare anche voglia mettere un freno alle cosiddette "società civili particolari" , in pratica quelle dei prestanome, il genere travolto dalla bufera Bim. Altro grossissimo timore del reggente, sempre a sentire i suoi amici, è il traffico di droga: un paio di anni fa la Dea, l' ente antidroga statunitense, aveva affermato senza mezzi termini che Montecarlo stava per diventare una delle capitali mondiali della cocaina. Finora, nella rete degli agenti antidroga, sono finiti Antonino Barca, autista personale di Carolina, Federico Velo, playboy della Costa Azzurra vicino ai principi regnanti, e Christophe Moroni, ex fidanzato della piccola Grimaldi. Incidenti di percorso, che hanno sicuramente infastidito Ranieri. Fastidio, la parola giusta. Per il resto, il principe procede come un carrarmato e continua ad allargare la sua rete di rapporti internazionali, tutelando il giro d' affari, d' interessi e alleanze dei suoi sudditi. Come capo di Stato, Ranieri III riceve all' anno uno stipendio di 8 miliardi di lire. Gestisce quella roccaforte del turismo che è l' Sbm, promuove ogni anno nuovi appalti, nuove opere pubbliche, nuove strutture. Il suo fiore all' occhiello è il quartiere di Fontvieille, una terrapieno di 22 ettari costruito sul mare. Un progetto unico nel suo genere che portò la firma di Fiat e Mediobanca e che ancora oggi rappresenta una valvola di sfogo per stabilimenti industriali, magazzini di stoccaggio, appartamenti. "A Montecarlo lo spazio è limitato" , dice René Bouchiet, direttore dei Lavori pubblici. "Abbiamo tentato di sottrarlo al mare, di espanderci oltre i confini imposti dalle coste. Adesso cerchiamo anche di andare sotto terra, portando giù tutto quello che è possibile. Come la linea ferrata" . Molto più spesso si utilizza un altro metodo. Spiega ad esempio Antonio Caroli, italiano a capo di una società di costruzioni, la Smetra. "Non credo che ci sarà una crisi. Il mercato dell' edilizia procede a gonfie vele. Si abbattono vecchi immobili e si ricostruisce su dimensioni maggiori" . Montecarlo, gran cantiere. L' Sbm ad esempio, che si è appena ripresa dal buco di 6 miliardi e mezzo di lire causato nell' 88 dagli investimenti sbagliati di una società di agenti di cambio alla quale la direzione si era incautamente affidata, già progetta un nuovo hotel e un nuovo casinò. "E' previsto un finanziamento di 1500 miliardi di lire" , annuncia Raoul Bianchieri, presidente della Società. "Se ne occuperà il Credit commercial de France" . Progetti faraonici. Ma per la gente comune, posto ce ne sia, che si fa nel principato di Monaco? Mentre al ministero dello Stato continuano a sostenere la necessità di una politica "sociale" , vale a dire alloggi per i monegaschi a prezzi popolari, ogni giorno 22 mila operai giungono a Montecarlo, per lavorare nelle imprese, nelle industrie, nei cantieri. "Fondamentali per l' economia locale, che li ripaga con salari tra i più bassi di Francia" , lamenta Betty Tambuscio, dell' Union des travailleurs. Il che significa che la manovalanza che lavora a Montecarlo non potrà mai permettersi di prendere casa a Montecarlo. E infatti, quando si fa sera, gli operai se ne vanno. Intanto al Jimmy' z... Testata Epoca Data pubbl. 04/07/90 Numero 2073 Pagina 116 Titolo 1990 FUGA DALLE USL Autore MARIA GRAZIA CUTULI Sezione INCHIESTA Occhiello SANITA' Sommario Le denunce del ministro De Lorenzo. La crescente sfiducia degli italiani fotografata da un sondaggio. Addirittura un gruppo di deputati che dice basta ai politici nelle strutture di base. La sanità pubblica non è mai stata così in crisi. Rimedi? Qualcuno l' ha già trovato. Andreotti, per esempio... Didascalia A destra: Giulio Andreotti, nel suo studio, con le sorelle Urara e Nozomi Otani. Le due terapiste giapponesi sottopongono il presidente del Consiglio a tre sedute settimanali di massaggio "shiatsu" contro il mal di testa. In alto, sopra il titolo: Andreotti durante un prelievo di sangue. Testo "Mio marito ormai va solo dai Singer. Aveva dei dentisti a Roma, ma da quando si fa curare da loro..." . La signora Andreotti, abito a fiori da pomeriggio e orecchini d' oro, passeggia sullo spiazzo che sta di fronte il Kurhotel Palace di Merano. Il presidente del Consiglio è già partito, lei si ferma ancora qualche giorno per vacanza. "Qui a Merano" , aggiunge, "è possibile far tutto in tre sedute, i dottori Singer sono rapidissimi. E dopo, per un anno, mio marito non ha più bisogno di nulla" . Il viaggio di Epoca nella fuga dalle Usl comincia dall' alto, in ogni senso. Primo "fuggitivo" : il presidente del Consiglio. Località di cura: Merano, centro turistico montano celebrato persino da Kafka. Ci sono le terme, l' ippodromo. E c' è anche una clinica odontostomatologica, quella dei Singer appunto. Un posto ben frequentato: dai reali di casa Savoia ai Barilla, da Marcello Mastroianni al presidente del Coni Arrigo Gattai. Qui Giulio Andreotti ha trascorso tre giorni interi, da lunedì 18 a mercoledì 20 giugno, nelle capaci mani del professore Hans. "Gli abbiamo rifatto quattro capsule" , racconta uno degli odontotecnici. "Interventi in porcellana, niente di serio" . Eppure si erano allarmati tutti, politici e giornalisti, quando alle 16,10 di lunedì 18, dopo che il giorno prima era arrivata notizia di un misterioso incontro tra il presidente del Consiglio e Cossiga, l' Ansa aveva comunicato: "Giulio Andreotti, secondo quanto si apprende in ambienti di Palazzo Chigi, si è allontanato dalla capitale per motivi personali. Farà ritorno a Roma giovedì notte" . Un avvelenamento, aveva azzardato qualcuno. Un eccesso di stress, suggeriva qualche altro bene informato. Ancora: un libro da finire urgentemente per Rizzoli. E invece Andreotti aveva semplicemente preso, con la moglie, le due figlie e i nipotini, un vagone letto per Bolzano e da lì un auto l' aveva portato a Merano. "Andreotti è un vecchio cliente. Conosceva mio padre, entrambi rotariani" , dice il dottor Fritz Singer, un signore bassino dalla barba bianca. "Per noi è un paziente modello. Puntuale, tranquillo. E poi è simpatico, cordiale. Non ha mai delle pretese eccessive. Anche i suoi denti vanno abbastanza bene... La sua parcella? Non ricordo. I soliti prezzi. Né più né meno di un altro cliente" . Indiscrezione: Andreotti ha pagato 6 milioni. E Singer, scandalizzato: "Nooo. E' una cifra pazzesca. Siamo molto al di sotto. Non abbiamo fatto interventi che richiedevano una spesa tale!" . I tariffari della clinica sono avvolti da gran mistero. E un motivo c' è: variano a seconda del cliente, massimo un milione e mezzo a dente. "Noi non curiamo solo politici, personaggi dello spettacolo o industriali" , spiega Singer. "Tra i nostri clienti abbiamo anche i contadini di Merano, gli operai della zona. Talvolta è gente bisognosa. Per queste persone abbiamo creato convenzioni particolari che permettono di accedere ai trattamenti praticamente gratis" . E mostra le due sale d' aspetto. Identiche, stessa larghezza, stessi arredi: a destra vanno però i vip, a sinistra la gente comune. I più poveri passano prima dalla Caritas. Si prepara un certificato ed ecco che Singer interviene a prezzi stracciatissimi, con fatture dimezzate. Un conto di 2 milioni viene abbassato a 700 mila lire. Di molti rimborsi si occupa poi la Croce Rossa, che ha in mano la maggior parte delle pratiche. Questa della beneficenza è il fiore all' occhiello dei Singer, da sempre iscritti all' Ordine dei Cavalieri di Malta. Ma c' è anche la provincia di Bolzano che dà una mano. Da due anni contribuisce alle spese odontoiatriche di tutti gli abitanti, indipendentemente dal reddito. I rimborsi sono alti, fino al 70 per cento. "Nell' 88 la richiesta è stata di 15 miliardi" , dice Paolo Lanzinger, direttore di ripartizione dell' assessorato alla Sanità. "Nell' 89 è salita a 41 miliardi. E non senza polemiche... Probabilmente saremo costretti a mettere un freno" . Problemi che ovviamente non riguardano Andreotti o gli altri personaggi eccellenti che da anni si curano dai Singer. "Per loro" , dice il dottor Fritz, "non sono previste convenzioni di alcun tipo" . Quello che li porta a Merano è la rapidità: 70 dipendenti, 14 studi, laboratori attrezzati, un' équipe di specialisti e odontotecnici di sicuro mestiere garantiscono che dai Singer tempo non se ne perde. "Abbiamo un' organizzazione che ci permette di lavorare in modo più rapido che in qualsiasi altro laboratorio italiano" , si vanta il dottor Fritz. "Giulio Andreotti aveva già prenotato la visita, non è arrivato all' improvviso come si dice. E dopo tre giorni era già in condizioni di ripartire" . Per il presidente del Consiglio, il massimo. Basti pensare che a marzo aveva denunciato al mensile Salve "la lentezza esasperante nel fare analisi e le degenze eterne" del nostro sistema sanitario pubblico, contrapponendogli, come modello da imitare, quello americano. Merano come Houston? Certo è che la tre giorni altoatesina è servita ad Andreotti non solo contro il mal di denti. Come sempre quando va da quelle parti, ha soggiornato nella suite a lui riservata al sesto piano del Kurhotel Palace. L' albergo possiede tutta una serie di strutture per diete controllate, disintossicazioni, trattamenti estetici. C' è un' acqua radioattiva che proviene direttamente dalle fonti di San Vigilio e che possiede qualità rigeneratrici. Ci sono saune, studi di fisioterapia, un ambulatorio medico. "Andreotti ha approfittato dei nostri servizi" , dice il direttore dell' hotel, Michael Fuchs, "per curarsi l' artrosi cervicale: un paio di interventi sono bastati a rimetterlo in forma" . A Roma, per lenire le sue emicranie, bastano invece due terapiste giapponesi, le sorelle Urara e Nozomi Otani, che tre volte la settimana mettono le mani sul presidente del Consiglio massaggiandolo secondo la tecnica shiatsu. Risultati? Prodigiosi. Da quando le due orientali gli girano per casa, Andreotti ha eliminato del tutto gli analgesici. Tornando a Merano, oltre a curarsi, che ha fatto il presidente del Consiglio? Peter Castelforte del Kurhotel racconta: "Beh, ha mangiato. Alimentazione sana, ma nutriente, tipo spaghetti con olio, aglio e peperoncino. E contro lo stress, lunghe passeggiate nei boschi. La sua tempra è ottima, non ha bisogno di altro per riprendersi dalle fatiche" . Ammontare del conto presidenziale? Un soggiorno di una settimana cura e riposo al Kurhotel costa normalmente intorno ai 2 milioni e mezzo di lire; una suite come quella di Andreotti viene 800 mila lire al giorno. "Ma non sono certo queste le tariffe che applichiamo al Presidente" , dice Fuchs. C' è una lunga consuetudine che lega l' ospite al proprietario del Palace, Artur Eisenkeil. Una vecchia amicizia e forse, come dice qualcuno a Merano, anche degli affari in comune. Certo è che in una saletta dell' albergo, discreta, mescolata a tanti altri ritratti di vip, c' è una foto emblematica: Giulio Andreotti, a Merano, trent' anni fa. Testata Epoca Data pubbl. 04/07/90 Numero 2073 Pagina 52 Titolo LA CALMA PREDA Autore Maria Grazia Cutuli Sezione PERSONE Occhiello JANE FONDA Sommario Altro che pensione: le cinquantenni non sono mai state così corteggiate. Un sessuologo spiega perché. Didascalia A fianco: Claudia Cardinale, 51 anni. Ha appena terminato le riprese di "Atto di dolore" , girato dal marito Pasquale Squitieri. In alto: Valeria Moriconi, 59 anni. Il 12 luglio interpreterà "Madame Sans-Ge' ne" di Sardou al Festival delle Ville Vesuviane. Testo BOX Cesare Musatti, riconosciuto e intervistatissimo padre della psicoanalisi italiana, aveva liquidato la questione in modo abbastanza perentorio: dopo i 50 anni, disse in un' intervista, la vita sessuale femminile subisce una battuta d' arresto. Non è passato un secolo da questa osservazione, eppure viene da chiedersi se la soglia di non ritorno indicata da Musatti regga ancora a fronte della forza d' urto delle cinquantenni di oggi. Davvero il fatidico compleanno coincide con la messa a riposo del sex appeal? "Probabilmente Musatti ha confuso età fisiologica ed erotismo; in realtà le due cose possono benissimo non sovrapporsi" . Il parere è di Gianna Schelotto, senatrice comunista, psicologa esperta nelle terapie di coppia e osservatrice attenta dei costumi sociali e sessuali. "Una cinquantenne è tutt' altro che fuorigioco" , continua. "Anzi, siccome i limiti affettivi e erotici di un tempo sono venuti meno, direi che a quest' età si possiedono "armi" superiori che a venti o a trent' anni" . Quali "armi" ? "Le donne di una certa età, mantenendosi in forma, hanno due talenti: l' appeal erotico e quello materno. Una donna adulta tranquillizza, appaga il desiderio di sicurezza che è in ogni uomo" . Gianna Schelotto lo racconta anche nel suo ultimo libro, Strano stranissimo anzi normale, storie di letto sul lettino del terapeuta (222 pagine, Mondadori), una galleria di desideri, perversioni, seduzioni, aneddoti di varia intensità e umanità, molti dei quali raccolti tra pazienti che sfiorano o superano i cinquanta. Un esempio? "Un signore ha una vicina di casa piuttosto avanti con gli anni e apparentemente dimessa. Abita al piano di sopra e per lui è come se non esistesse. Una notte, dal cigolio del letto, sente che quella signora sta facendo l' amore. All' improvviso si rende conto che anche lei ha una vita sessuale e questo la fa diventare ai suoi occhi irresistibilmente appetibile" . Qual è il segreto perché una donna d' età riesca ad essere ancora "irresistibilmente appetibile" ? "Ci sono mille modi per mantenersi giovane. C' è però soprattutto una vita relazionale diversa. Il lavoro porta la donna fuori dall' ambiente familiare, la spinge a curarsi di più, a non lasciarsi prendere dalla pigrizia, ad andare oltre il ruolo classico di dispensatrice d' affetti" . Secondo lei, il fascino delle cinquantenni è un' invenzione dei mass media, sulla scorta di poche eccezioni come Jane Fonda e Tina Turner, oppure...? "Avere cinquant' anni oggi significa aver vissuto il femminismo, portarsi dentro tante cose, aver superato un passato aggressivo conquistando una nuova saggezza. E' forse questo l' elemento più affascinante, e più diffuso" . L' aspetto fisico è quindi secondario? "Può essere un buon biglietto da visita, e curarlo è un sacrosanto diritto. Sono però convinta che tenersi le proprie rughe è comunque meglio che tirarsele via artificialmente" . Negli Stati Uniti sembrano di parere diverso. L' obbligo dell' eterna giovinezza passa per palestre, saune, liposuzioni. "La differenza con la nostra cultura sta proprio qua: le donne americane continuano a inseguire una bellezza un po' fasulla. Noi italiane siamo abituate ad affermarci con la nostra personalità, miriamo ad un' identità forte, attraverso cui filtrare la seduzione e l' erotismo" . Com' è l' amore a cinquant' anni? "Si tradisce di più, ad esempio. Nel mio libro, tutta la parte che riguarda "lei, lui, l' altro" si basa su racconti di pazienti di quest' età. Con questo non voglio dire che le cinquantenni siano delle assatanate. Piuttosto è come se, dopo l' abbuffata verbale degli anni Settanta, si volesse riconquistare il tempo perduto" . Lei personalmente crede che gli anni le abbiano portato o tolto fascino? "Non sono mai stata corteggiata tanto quanto ora. Ma non mi faccio troppe illusioni: lavoro al Senato e lì le donne sono talmente poche... Posso dire comunque che sono molto più sicura oggi che vent' anni fa. Non mi curo più del chilo di troppo o delle rughe attorno agli occhi. E' un po' quello che succede anche ad altre della mia generazione: ritrovarsi infine nella propria pelle, accettando tutto, difetti compresi" . Testata Epoca Data pubbl. 27/06/90 Numero 2072 Pagina 12 Titolo DON CIOTTI: IO DICO NO PERCHE' NON OBBEDISCO Autore DI MARIA GRAZIA CUTULI Sezione INCHIESTA Occhiello LEGGE SULLA DROGA Sommario "Al momento ha vinto la linea dura, però..." . Isolato, attaccato da più fronti, condannato a morte dai trafficanti, il fondatore del Gruppo Abele non rinuncia a dare battaglia. Anzi accusa: un ministro, Muccioli, le alte gerarchie ecclesiastiche, i socialisti. "La loro legge? Un capolavoro di ambiguità" . Didascalia NON RIUSCIRANNO A FERMARMI Don Luigi Ciotti, 45 anni, con la sua scorta davanti a una piccola comunità del Gruppo Abele per malati terminali di Aids, sulle colline torinesi. "I miei persecutori? Sono gente organizzata, conoscono i miei spostamenti, lasciano bustine di eroina sulla mia automobile per intimidirmi" . Sopra: don Ciotti. "Su Muccioli andrei molto cauto. A San Patrignano sono morti dei ragazzi..." . Testo I tre angeli custodi, calibro nove spianata, salgono veloci le scale. Alle tre e mezzo don Luigi Ciotti ha un appuntamento all' altro capo della città. Deve uscire e ha fretta. I tre lo aspettano fuori dalla porta del suo ufficio. Ogni giorno lo stesso copione. Da un anno il fondatore del Gruppo Abele, il promotore della prima comunità terapeutica italiana per tossicodipendenti, vive con la scorta. Torino come Palermo. Minacce di morte come a un giudice antimafia. Un uomo molto conosciuto e nel mirino di molti. Tutta questa pubblicità non lo fa contento, dice che "spaventa i ragazzi che vengono da me, terrorizza le famiglie" . Eppure lui, don Ciotti, 45 anni, origini venete, non lascia le sue trincee. Anzi, se n' è scavata proprio in questi giorni una nuova: quella contro la legge antidroga Vassalli-Jervolino. L' ha dichiarato subito, appena la legge è stata approvata al Senato: "Non ci sto, farò una specie di obiezione di coscienza" . E i suoi nemici, se possibile, sono di colpo aumentati. Qualcuno in Parlamento ha già minacciato di tagliargli i fondi e di revocare le convenzioni pubbliche che costituiscono un sostegno importante per le sue attività. Qualcun altro, come Giuliano Ferrara, dalle colonne del Corriere della Sera, lo ha richiamato all' ordine, scrivendo che se gli obiettori da un lato possono anche avere ragione, dall' altro "non possono arrogarsi un potere d' interdizione francamente intollerabile" . Risposta: "E' già tanto che un uomo di Bettino Craxi dica che abbiamo parzialmente ragione" . Dal suo quartier generale di via Giolitti, a Torino, sede degli uffici e dei centri d' accoglienza del Gruppo Abele, forte del consenso delle 230 comunità del Cnca, il coordinamento nazionale da lui diretto, don Ciotti conferma: non si rifiuterà di accogliere, come prescritto dalla legge, i tossicodipendenti mandati dai prefetti, ma non li denuncerà nel caso in cui volessero abbandonare la terapia coatta. "Siamo pronti ad andare fino in fondo: non possiamo accettare questo gioco di guardie e ladri tra lo Stato e i consumatori di droga" . Don Ciotti, sa cosa l' aspetta? Vincenzo Muccioli, da San Patrignano, di quelli che la pensano come lei ha detto: "Se chi deve collaborare ostacola la legge, significa che non ha a cuore il rispetto della vita" . E Muccioli è uno che gode di molto prestigio come salvatore di tossicodipendenti. "Su Muccioli andrei molto cauto. Ricordiamoci di come gestisce le sue comunità, i processi che ha avuto, le truffe, i suicidi... A San Patrignano sono morti dei ragazzi... Non voglio attaccare lui come persona, rispetto le sue idee, ma lo invito a ponderare meglio i suoi giudizi "su quelli come me" " . A dare giudizi ponderati, in questi frangenti, non sono in molti. Giorgio Casoli sull' Avanti del 12 giugno ha scritto: "Mi spiace che don Ciotti sia stato fatto segno di gravi minacce ma non posso esimermi dall' osservare che chi intolleranza diffonde, intolleranza raccoglie" . "Sono molto amareggiato da quello che ha affermato Casoli, ma fa parte del gioco. In passato il Gruppo Abele ha lavorato più volte con il Partito socialista. Purtroppo appena abbiamo criticato la legge, appena ci siamo schierati per la non punibilità del consumatore, si è arrivati all' attacco frontale" . Il Psi ha proposto in Parlamento di togliere le sovvenzioni pubbliche alle comunità che praticheranno l' obiezione di coscienza. Teme che questa indicazione verrà accolta? "Mah... La minaccia viene esclusivamente dal Psi, da Casoli appunto, e da Rossella Artioli. Ma anche in quel partito l' accordo sulle norme antidroga non è così compatto come sembra. Mi dispiace solo che questo dissenso non sia venuto fuori. Evidentemente, i contrari alla punibilità non hanno avuto il coraggio di esporsi" . La legge, oltre che tra i politici, ha creato spaccature anche tra gli operatori. Qual è al momento lo stato delle forze in campo? "Al momento ha vinto la linea dura di Muccioli e di don Gelmini. Sull' altra sponda, con me, c' è tutto il Cnca, 230 strutture che operano sul territorio nazionale, e anche, sulla punibilità del tossicodipendente, don Mario Picchi del Ceis" . Come ha reagito il mondo cattolico al vostro dissenso? "Avevamo creato un "cartello" , Educare non punire, per riassumere la nostra posizione nei confronti della legge. C' erano dentro quasi tutti, le Acli, l' Agesci, Pax Christi, le mille cooperative di solidarietà sociale. All' inizio c' erano anche la Caritas e l' Azione cattolica. Anzi ne erano state promotrici" . Poi, cos' è accaduto? "Per richiami dall' alto hanno dovuto ritirarsi. Mi risulta che siano state fatte forti pressioni sulla Conferenza episcopale italiana affinché le comunità cattoliche non si spaccassero e in merito alla legge non si creassero ambiguità e disturbi" . Da chi sono venute le pressioni? "C' è dietro l' interesse di alcuni operatori terapeutici, ma soprattutto di un ministro" . Don Pietro Gelmini è buon amico di monsignor Camillo Ruini, segretario generale della Cei. In quanto al ministro, il più direttamente coinvolto è quello degli Affari Sociali, Rosa Russo Jervolino. E' da lì che sono venute le pressioni? "Preferisco non rispondere. Dico solo che la maggior parte del mondo cattolico stava dalla nostra parte" . Più volte lei è stato accusato di essere troppo vicino ai comunisti. E' vero? "Non sono un politico, ho lavorato con il Pci come con altri. Con Occhetto c' è stata sicuramente una convergenza di vedute sull' antidroga, ma abbiamo agito entrambi con la massima libertà. E poi, se è per questo, ho avuto anche diversi contatti con il Comitato antiproibizionista, per studiare un' alternativa alla legge" . Allude alla legalizzazione della droga? "Sì, quella della legalizzazione è un' ipotesi che anche noi abbiamo preso in considerazione. Sappiamo perfettamente che potrebbe essere un modo per stroncare la criminalità organizzata. Ma allo stato attuale sono il primo a dire che non è una strada percorribile" . Lei non accetta la repressione e ritiene impossibile la liberalizzazione. Cosa suggerisce allora? "Tra il permissivismo e la punibilità può esserci una terza via: creare un rapporto di fiducia tra l' operatore terapeutico e il tossicodipendente, spingere per una diversa politica giovanile... Cos' ha fatto invece lo Stato? Una legge basata sul principio del "ti curo punendoti, ti punisco curandoti" , che è una bella sovrapposizione tra pena e terapia" . Veniamo all' obiezione di coscienza. Il ministro Jervolino ha detto che voi non conoscete il testo della legge, che il tanto famigerato articolo 15 non obbliga gli operatori a fare i delatori, che nessuno è costretto a denunciare i tossicodipendenti che non si curano... "L' articolo 15 è un capolavoro di ambiguità. E' vero, in teoria non dice esplicitamente che gli operatori devono denunciare al prefetto il tossicodipendente. Però dice che i prefetti devono essere al corrente dell' iter terapeutico, dell' andamento del ricovero. Mi chiedo come faranno ad esserlo, se non utilizzando chi lavora dentro le comunità" . Però gli operatori delle comunità, sempre restando alla legge, non saranno obbligati a dare informazioni sui loro assistiti. "Sì. Secondo quanto detto dalla Jervolino, noi possiamo ancora rifiutarci di fornire informazioni. Più difficile l' obiezione per i dipendenti delle Usl. Il prefetto a noi può semplicemente chiedere, loro può obbligarli. A Milano, ad esempio, il Cnot, il Coordinamento nazionale degli operatori terapeutici pubblici, vorrebbe seguire la nostra stessa strada. Sta chiedendo delle consulenze tecniche. Si tratta di capire a che cosa si andrebbe realmente incontro rifiutando la collaborazione" . E se alla fine passasse la proposta socialista di tagliarvi le convenzioni? "Accetteremmo la sfida" . Il che significa che una comunità terapeutica può sostenersi solo con il contributo dei privati? "Certamente avremmo delle difficoltà. Ma in realtà i finanziamenti pubblici non coprono neanche adesso tutte le spese, incidono solo per il 20-30 per cento. Al Gruppo Abele fanno capo anche delle attività produttive e commerciali, laboratori artigianali, cooperative. E nonostante il miliardo e mezzo di debiti accumulati quest' anno, speriamo di rimanere a galla" . Don Ciotti, lei continua a ricevere minacce di morte. Ultimamente si sono intensificate. Ha idea di chi possa esserci dietro? "La storia è cominciata con l' omicidio di Mauro Rostagno, nel settembre del 1988. Avevo preso una posizione netta contro quel delitto. Conoscevo Rostagno, l' avevo incontrato parecchie volte, avevamo anche progetti in comune..." Vuol dire che gli assassini di Rostagno e i suoi persecutori appartengono alla stessa famiglia? "Non so se la connessione sia proprio questa. Forse è solo una coincidenza. Comunque è capitato che in concomitanza con la morte di Rostagno io più volte abbia chiesto che si facesse luce sui rapporti tra mafia, droga e politica" . Non pensa invece che le minacce possano venirle da qualche spacciatore? "Non credo a un pesce piccolo. Non avrebbe questa costanza. Chi mi manda le lettere anonime è gente organizzata, che conosce alla perfezione i miei spostamenti, capace di approfittare del cambio della scorta per farmi trovare sul cruscotto dell' auto bustine di eroina in segno di intimidazione" . Che cosa pensa di fare? Continuerà ad andare in giro con la scorta? "Non so, sono diventato cauto... Quello che è certo è che non mi tirerò indietro. Se qualcuno mi minaccia di morte, allora vuol dire che con la mia lotta ho colpito nel segno" . Testata Panorama Data pubbl. 30/10/88 Numero 1176 Pagina 231 Titolo FRA UN ANNO SULL' ALTOPIANO Autore Maria Grazia Cutuli Sezione SCIENZA E AMBIENTE Occhiello COSTE MINACCIATE Sommario Sulla Timpa di Acireale qualcuno vuole costruire tre alberghi. Gli ambientalisti si oppongono. Ma... Didascalia Una roccia di origine lavica. In basso, veduta della Timpa. Testo Guardando dal basso, si scorge solo lo strapiombo sul mare, una parete rocciosa segnata dalle irregolarità della pietra lavica. Sopra, invece, la vegetazione è abbondante. Pini, querce, abeti: una macchia mediterranea varia e confusa, spezzata dai resti di antiche costruzioni rurali, da piccoli corsi d' acqua e persino da un sito archeologico abbandonato. E' l' altopiano della Timpa di Acireale, l' unico spazio verde sul litorale ionico che interrompe la catena di case abusive, complessi alberghieri e villaggi residenziali costruiti negli ultimi vent' anni tra Siracusa e Messina. La storia ripropone protagonisti consueti. Da un lato le associazioni ambientalistiche che lavorano su progetti di risanamento, dall' altro un' impresa di costruzioni, la Gazzena spa, che tenta di far passare il suo piano di lottizzazione. Lega ambiente, Wwf e Italia nostra sono riusciti a ottenere nell' 83 che la Timpa fosse trasformata in riserva naturale: magra vittoria, però, che non lede certo gli interessi dell' impresa. E' rimasta infatti fuori dai confini protetti l' area più interessante, 38-ettari di terreno acquistati nell' 80 da uno dei cavalieri del lavoro di Catania, Gaetano Graci, titolare della Gazzena spa. La spesa? Un miliardo e seicento milioni. Poca cosa. L' unico problema è che si trattava di verde agricolo, non edificabile. Superare l' ostacolo non è stato difficile. A trasformarli in aree edificabili, facendone salire il valore di oltre otto volte, ha pensato nell' 86 l' exassessore regionale al Territorio e ambiente, il dc Mario Fasino. E, del resto, lo stesso piano regolatore di Acireale, approvato nell' 80 da un commissario ad acta nominato sempre dallo stesso assessore, sembra fatto ad hoc per garantire "lo sviluppo residenziale e turistico della zona". Così il progetto di lottizzazione viaggia a pieno ritmo. Durante l' estate la Commissione edilizia ha approvato il disegno presentato dalla Gazzena spa: tre complessi alberghieri per un totale di 730 posti letto, edifici residenziali destinati ad accogliere oltre mille abitanti. "Tutto questo è successo mentre noi, appoggiati da politici, scienziati, universitari, chiedevamo di ampliare la riserva con i 38 ettari" dice il presidente della Lega ambiente, Ernesto Raciti. E aggiunge: " E' stato tra l' altro fatto tutto mentre è ancora in corso il processo contro l' assessore Fasino". Accusato di interesse privato in atti d' ufficio, Fasino si troverà di fronte, come parte civile, proprio la Lega. "Il pericolo di una cementificazione è grosso: l' assetto della zona ne verrebbe sconvolto " dice ancora il presidente della Lega. "La Timpa funziona come polmone per i Comuni costieri a ridosso di Catania. Da anni tentiamo di trasformarla in verde attrezzato". La battaglia si gioca a colpi di proteste, esposti, telegrammi, interrogazioni parlamentari. Gli ambientalisti guidano i sopralluoghi degli esperti, raccolgono pareri, studi, progetti. Accusano l' assessorato siciliano, chiedono l' aiuto dei deputati delle liste verdi. Ma soprattutto denunciano una prassi regionale: "Il decreto Galasso" dicono "non è mai passato da qua. La Regione ha creduto bene di fare a meno dei piani paesistici. Lungo la costa si assiste infatti a uno sperpero di autorizzazioni, concesse a questo e quello fuori da qualsiasi coordinamento e logica ambientale". Il risultato salta agli occhi. In provincia di Catania si continua a costruire dappertutto. A pochi chilometri da Acireale, proprio sopra Acitrezza, un' intera collina d' argilla è stata trasformata in quartiere residenziale. C' è chi teme che possa franare. Da un momento all' altro. Courtesy and Copyright Arnoldo Mondadori Editore |
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