Postcards From Hell Kosovo: Dieci Anni in Mezzo alle Mine
DEATH OF A HERO
Ahmed Shah Massud
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NEW YORK, NEW YORK!
Tribute to
a defaced city
FAREWELL MARJAN...
Marjan, the one-eyed lone
lion is no longer the king of
Kabul zoo
PICTURES from the grenade attack!
MARESCIALLO SGHERZI, DIECI ANNI IN MEZZO ALLE MINE (23 Giugno 1999)WW>Elisabetta RosaspinaWWe-mail the writer
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43006 Sarajevo, Marzo 1996
Il Mar. Nicola Sgherzi indica lo spiazzo innevato dove - solo pochi giorni prima - ha verosimilmente salvato la vita della Sra. Stajic

PEC (Kosovo) 23 Giugno 1999 - Si può indovinare il piacere dell'uomo senza volto che collegava il detonatore della bomba a un filo e il filo alla maniglia della porta d'ingresso della villetta; e poi se n'è andato, dolente di non poter restare lì a godersi lo spettacolo, quando qualche maledetta famiglia albanese sarebbe saltata in aria. Nell'esatto momento in cui si illudeva di essere tornato a casa. Si può immaginare che l'uomo senza volto era un militare serbo addestrato proprio a questo compito, e che la sua rabbia per la sconfitta fosse addolcita soltanto dal pensiero della vendetta differita di qualche giorno o settimana, ma quasi certa. Salvo un deprecabile intoppo. Come un difetto del detonatore o un animale troppo curioso.
L'intoppo, invece, ha un nome e un grado: Nicola Sgherzi, maresciallo capo del gruppo B.O.E., Bonifica ordigni esplosivi. Foggiano, 42 anni, sorriso ottimista, fisico da acrobata: ridotto, ma agile. Sono dieci anni che sfida l'astuzia di chi nasconde il «filo d'inciampo» dietro i pomoli delle porte e delle finestre, sotto un tappeto, persino nell'anta del frigorifero o fra le molle di un divano, dove basta il peso di un bambino per far scattare il congegno. «Hanno avuto almeno due mesi di tempo per seminare di trappole la città»: non nasconde il vantaggio degli avversari il maresciallo, istruttore degli sminatori in azione da otto giorni per l'«operazione Pec pulita». Non da un'etnia, per una volta, ma dai «fili di inciampo».
Prima di andarsene o di fuggire, i serbi hanno minato anche le loro case, per evitare che fossero occupate dai profughi di ritorno. Sarebbe bastato bruciarle, come hanno fatto con quelle degli albanesi nell'illusione di cacciarli per sempre. Ma perché rinunciare alla possibilità di farne fuori qualcun altro a tempo, e guerra, persi? Il maresciallo Sgherzi e i suoi uomini ripuliscono una casa ogni dieci minuti, più il tempo necessario per entrare, passando attraverso una finestra aperta o un varco nel tetto. Conoscere gli ordigni - e Nicola Sgherzi ha avuto il tempo di familiarizzare con centinaia di modelli - non basta comunque a evitarli: «Sono quasi tutti di fabbricazione russa, cecoslovacca o jugoslava - dice -. Il collegamento invece è artigianale, ma è sempre fatto da una mano esperta». Per disinnescarlo ce ne vogliono almeno tre. Da buon foggiano e uomo di fede, Nicola sa chi ci mette la terza, oltre alle sue: «Padre Pio - sorride e si commuove -. Mi ha protetto lui, quella volta, in un campo minato a Sarajevo». Nessuno ci voleva entrare, né i militari inglesi, né i francesi, impietriti sul bordo di un prato disseminato di ordigni e coperto di neve, dove una donna aveva cercato di sfuggire al tiro dei cecchini. Nella corsa Staniza, 55 anni e 80 chili di peso, aveva calpestato una mina e l'esplosione le aveva mutilato una gamba appena sotto al ginocchio: «Aiuto, Ifor! Ifor!», invocava inutilmente il soccorso della forza internazionale.

43241 Sarajevo, Marzo 1996
La Sra. Stajic, ricoverata all'ospedale Kosovo, dopo l'intervento d'urgenza effettuato presso l'ospedale militare italiano

Il sangue caldo scioglieva una chiazza di neve sempre più larga intorno a lei, dove nessuno osava avventurarsi per riportarla indietro. Tranne Nicola e Padre Pio. Nicola ci ha messo le braccia e il coraggio, Padre Pio l'ispirazione giusta: «Ho poggiato i piedi dove li aveva messi lei, seguendo le sue impronte nella neve. Gli unici punti già collaudati».
Nicola Sgherzi non ha più visto Staniza. Anche se, chiudendo gli occhi, può ricordarsela benissimo: una mamma grigia e ampia, come le mamme di una volta, che gli accarezzava piano i capelli e gli diceva nell'orecchio «Grazie italiano, grazie italiano». Con 80 chili sulle spalle, lui tentava con una mano di bloccare l'emorragia di sangue dal moncone, mentre sotto l'altro braccio teneva stretto il pezzo di gamba tranciato. Difficile dimenticare momenti così. E anche quella voce tremante che, invece di urlare di dolore e paura, gli respirava sul collo tutta la sua gratitudine. Staniza ha perso la gamba, ma può ancora raccontare di quel giovanotto italiano, l'unico che non è rimasto a guardarla morire dissanguata in mezzo alla neve e alle mine.
T remerebbe per lui come una mamma, se sapesse che adesso è in Kosovo a dragare altri campi minati, per costruire un aeroporto militare a Pen, o a disinnescare ordigni nascosti sotto la moquette: «Mai camminare sui tappeti - consiglia Sgherzi - a chiunque capitasse di entrare in una casa abbandonata in zona di guerra -. Non bisogna aver paura, ma rispetto delle bombe. Nessun tipo va sottovalutato. Se già lo conosco ci metto le mani. Altrimenti gli affianco un'altra carica e le faccio esplodere insieme. Non corro rischi inutili, ho tre figlie, Nunzia, Antonella e Lea, e voglio tornare da loro a Vico del Gargano». Fra sei mesi, quando finirà il suo turno nella missione in Kosovo. Ma le ragazze si sono abituate.
La maggiore delle sue figlie aveva dodici anni e la minore sei, dieci anni fa, quando Nicola Sgherzi entrò nell'adrenalinico reparto dei bonificatori di esplosivi: il primo incarico in Mozambico, poi altri tre anni in Bosnia. Ma si può star certi che quando una donna senza una gamba o una famiglia senza un tetto lo ringraziano, la sua soddisfazione è senz'altro più grande di quella dell'uomo senza volto.

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Maria Grazia Cutuli
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Farewell, good ol' Marjan...
The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself

Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope.  However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]

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