Postcards From Hell: Stories by Massimo Alberizzi
AFGHANISTAN 2000 - STORIES by Massimo A. Alberizzi
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by Massimo A. Alberizzi
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sabato , 15 settembre 2001
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Il Pakistan nel dubbio. Ma la piazza grida: «Osama, nostro eroe»

Islamabad esita a dare sostegno agli Stati Uniti: teme di irritare i «fratelli» Il clero conservatore infiamma i fedeli: «Nessuno osi aiutare Washington»

DAL NOSTRO INVIATO ISLAMABAD - La tensione in Pakistan è palpabile. Il Paese è incollato alla Cnn in attesa di un segnale. Si attende da un momento all' altro il rombo dei cacciabombardieri americani in sorvolo per colpire l' Afghanistan. Il governo sembra impietrito, incapace di prendere una decisione su chi appoggiare: i talebani, temuti vicini che possono avere una pericolosa influenza sulla piazza pachistana, o gli Stati Uniti, decisi a vendicare con una rappresaglia l' affronto subìto l' 11 settembre? Comunque si muova, Islamabad rischia la catastrofe. Gli americani premono perché il presidente-generale Pervez Musharraf si metta a loro disposizione e coll abori lealmente. Il segretario di Stato Colin Powell, minaccioso, ha presentato una lista di azioni che devono essere intraprese dai pachistani. Tra l' altro vien chiesto loro di aprire immediatamente agli 007 di Washington i dossier riservati che ri guardano le attività di Osama Bin Laden in Afghanistan e di concedere il permesso ai caccia americani di sorvolare il loro spazio aereo. Ma il governo di Islamabad esita a dare il suo consenso. Musharraf ha paura di risvegliare l' antiamericanismo de lla popolazione. Un sentimento diffuso ed evidente tra il clero più conservatore, che infiamma i fedeli. Un gruppo di mullah ha già avvertito il governo: «Nessuno deve aiutare Washington nella sua rappresaglia contro l' Afghanistan. Guai al Pakistan se si presterà a un gioco del genere». Ieri, venerdì di preghiera, molte moschee dei quartieri più poveri e derelitti di Karachi, di Islamabad, di Lahore, hanno innalzato i loro canti di odio verso il nemico americano al quale si rimprovera, soprattu tto, l' appoggio allo Stato di Israele. Un giornale popolare e fondamentalista, in lingua urdu, Kainnat, ha pubblicato una foto a tutta pagina di Bin Laden, sotto titoli piuttosto inquietanti: «Il giudizio divino si è abbattuto sugli Usa. Le distruzi oni sono un segnale di Allah». E i fedeli, che hanno in pochi minuti esaurito tutte le copie, si sono messi a gridare: «Siamo tutti talebani. Osama è il nostro eroe. Osama ci vendicherà». La presenza militare per le strade di Islamabad si è fatta più massiccia e lo spazio aereo sulla capitale del Paese ieri mattina è stato chiuso per cinque ore. Il velivolo su cui viaggiava un gruppo di giornalisti appena prima dell' atterraggio è stato costretto dalla torre di controllo a riprendere il volo e a rientrare a Karachi. La prima spiegazione è stata «a causa del brutto tempo», ma quando, consultando Internet, è stato dimostrato che il cielo era sereno, il militare addetto alla sicurezza ha rettificato: «Manovre militari». In città già si dice ch e in quelle ore nell' aeroporto siano arrivati agenti dell' Fbi e della Cia e che in periferia ci siano stati movimenti di blindati. In tarda mattinata l' ambasciatore afghano a Islamabad, il mullah Abdul Salam Zaif, ha convocato i giornalisti. Chi p revedeva una ritirata strategica («gli americani fanno paura; i talebani stanno per consegnare Bin Laden», era la voce che circolava) è rimasto deluso. Il diplomatico ha ribadito che Bin Laden con gli attentati dell' 11 settembre non c' entra nulla: «Non ha computer, non ha telefono, non ha a disposizione aerei o piste d' atterraggio. Come fa ad aver organizzato questa immane tragedia?». Per discutere la posizione da assumere di fronte alle richieste di collaborazione degli americani, ieri a Raw alpindi si è riunito il gran consiglio della sicurezza pachistana, di cui fanno parte i responsabili dell' esercito e dei servizi segreti. La riunione, presieduta dallo stesso presidente Musharraf e cominciata nel primo pomeriggio, è finita a tarda s era. I partecipanti hanno rifiutato di fare commenti. Il Pakistan ufficialmente ha fatto sapere più volte che «ha dovuto» riconoscere i talebani (insieme ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti) per motivi di opportunità: «Abbiamo migliaia di chilome tri di confine con l' Afghanistan, non possiamo far finta che il governo dei talebani non esista». In realtà i talebani sono una creatura del servizio segreto pachistano, l' Isi. Li ha creati dal nulla, prelevandoli dalle scuole coraniche distribuite un po' ovunque nel Paese, sperando che potessero pacificare l' Afghanistan in guerra perenne. Ma gli sono sfuggiti di mano e hanno imboccato una strada che li ha portati al terrorismo e alla violazione dei più elementari diritti umani. The News, quo tidiano pachistano, ieri ricordava come Bin Laden e gli americani un tempo fossero alleati, per combattere i sovietici che avevano invaso l' Afghanistan. «Gli americani gioivano quando venivano a conoscenza di una vittoria degli uomini di Bin Laden c ontro i russi. In realtà non è il Pakistan ad aver creato i talebani - scrive il giornale -, ma sono stati gli stessi Stati Uniti a fare di lui un eroe. Allora i comunisti, non i musulmani, erano i nemici da battere».malberizzi@ corriere.it



domenica , 16 settembre 2001
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Fuga di massa da Kabul «Un milione in marcia» L' Iran sigilla le frontiere

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI ISLAMABAD - Terrorizzati da un possibile bombardamento americano, gli afghani cercano di scappare. E' un fuggi fuggi generale v erso le frontiere. Senza ormai alcun testimone occidentale. Gli operatori umanitari sono andati via quasi tutti e gli ultimi lasceranno il Paese oggi, con un volo speciale organizzato dall' Onu e dalla Croce Rossa. Il ministro degli Esteri del govern o afghano, Mowalaki Motwakil, contattato dal Corriere, ha confermato l' espulsione di tutti gli stranieri. «Temiamo per la loro sicurezza - ha detto -. Se gli americani useranno la forza contro l' Afghanistan non potremo più controllare la collera po polare che potrebbe colpire i forestieri». Il ministro ha sostenuto di trovarsi «nel centro di Kabul», ma secondo alcuni profughi giunti a Islamabad gli stessi leader dei talebani avrebbero lasciato sia la capitale sia Kandahar, la città dove risiede gran parte dell' esecutivo. Si sarebbero rifugiati sulle montagne per organizzare la resistenza nel caso di un' invasione. La strada che collega Kabul al passo Khayber, sulla cui cima c' è uno dei posti di frontiera con il Pakistan, è praticamente b loccata dalla massa dei civili in fuga. Al quartier generale dell' Alto commissariato dell' Onu per i profughi (Unhcr), è allarme rosso: «Stiamo preparandoci per un massiccio arrivo di rifugiati - sostiene Filippo Grandi, il capo dell' ufficio afghan o dell' Unhcr rientrato a Islamabad -. Il loro numero potrebbe essere impressionante». C' è chi parla di un milione di esseri umani che ha già lasciato tutto o potrebbe farlo nelle prossime ore. Ma qualche chilometro prima di arrivare al confine, la gente sarebbe ricacciata indietro dalle guardie islamiche munite di manganello. Gli Stati Uniti insistono con Islamabad perché chiuda le frontiere e impedisca così «ai terroristi di fuggire e rifugiarsi altrove», ma le autorità pachistane per ora sem brano riluttanti. L' Iran, altro Paese confinante, ha deciso di sigillare le sue frontiere. Così l' unica via di fuga aperta resta il Pakistan. Secondo fonti di intelligence, tra la gente in fuga si nascondono anche talebani. Il loro compito sarebbe quello di infiltrarsi nei campi profughi e trasformarsi in guastatori per colpire dietro le linee. A Islamabad è giunto anche Gino Strada, il chirurgo di guerra, leader di Emergency, che da tempo ha aperto due ospedali in Afghanistan. Strada è deciso ad andare a Kabul, ma anche lui è rimasto bloccato in Pakistan. Onu e Croce Rossa si sono rifiutati di prenderlo a bordo dell' aereo che oggi evacuerà gli ultimi stranieri. «Già ora la situazione è grave e c' è estremo bisogno di medici - ha comment ato stizzito -. Figuriamoci cosa succederà se cominceranno i bombardamenti». Ma la risposta è stata secca: «Non porteremo nessuno straniero nel Paese dei talebani»



lunedi , 17 settembre 2001
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Ma Kabul non si piega e riunisce i suoi saggi per organizzare la resistenza

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI ISLAMABAD - I talebani non intendono piegarsi all' ultimatum che oggi riceveranno dalla delegazione pachistana - consegnare Bin Laden in tre giorni per evitare la ritorsione militare - e rispondono convocando per mercoledì prossimo una riunione di saggi (tutti mullah, ulema e comunque sacerdoti islamici) per decidere come difendere l' Afghanistan dall' attacco degli infedeli. Ieri, il ministero degli Esteri ha risposto all' ultimatum con le parole «non accettiamo ordini. Da nessuno». Il mullah Mohamed Oma r sulle onde della radio ufficiale, «Voce della Sharia», ha convocato la riunione dei saggi per discutere del possibile attacco americano al «sacro suolo dell' Afghanistan» e organizzare le difese. L' Afghanistan è un territorio montagnoso, che sembr a fatto apposta per la guerriglia. Al meeting di mercoledì dovrebbero partecipare almeno mille religiosi provenienti da tutto il Paese. L' annuncio del leader spirituale segue l' appello alla Jihad, alla guerra santa, da lui lanciato sabato scorso. I eri da Kabul sono partiti tutti gli occidentali, un gruppo di volontari di Emergency e un altro della Croce Rossa. Ormai non esiste alcuna forma di assistenza alla popolazione civile. «Si rischia la catastrofe umanitaria», hanno sostenuto tutti gli e vacuati scesi all' aeroporto di Islamabad. Non c' è un ospedale, un ambulatorio, un medico. Nulla. I talebani hanno intimato anche al corrispondente della Cnn, Nick Robertson, e al suo cameraman di lasciare il Paese. Robertson era l' unico giornalist a occidentale rimasto nella capitale afghana. Prima di partire ha chiesto però di poter parlare con i mullah, per chiedere a loro, personalmente, il permesso di restare. Oggi sarà in viaggio per Kandahar, dove perorerà la causa della sua emittente. U fficialmente i talebani non vogliono occidentali perché non sono in grado di garantire la loro sicurezza in caso di attacco: «La popolazione - è stato detto a tutti, anche ai giornalisti - potrebbe assalirvi». A Kabul la paura è ormai il sentimento d ominante. Molti sono scappati, altri hanno mandato via le famiglie. Sono rimasti perlopiù i vecchi e chi è impossibilitato a muoversi. Non c' è benzina e quindi, per fuggire, non si possono più utilizzare veicoli a motore. Si scappa via, sulle montag ne verso il Pakistan, a piedi. Il cibo comincia scarseggiare e la gente fa scorte di quello che resta. I prezzi sono saliti alle stelle e l' afghano, la valuta locale, si è svalutato. L' Afghanistan è stato colpito da una fortissima siccità, e second o il World Food Programme sarebbero addirittura un milione e mezzo gli afghani che potrebbero cercare di fuggire dal Paese. I miliziani islamici hanno iniziato a rastrellare le case alla ricerca di ragazzi da arruolare con la forza. Finora non ci son o state dimostrazioni antiamericane, ma è possibile che i talebani le organizzeranno per mercoledì, in concomitanza con la riunione dei mullah. Dal suo rifugio tra le montagne afghane, presumibilmente nei dintorni di Kandahar, Osama Bin Laden ha invi ato un fax a Peshawar, all' ufficio dell' Afghan Islamic Press, un' agenzia di stampa privata vicina ai talebani, nel quale per l' ennesima volta smentisce di aver a che fare con gli spaventosi attentati dell' 11 settembre. Si tratta, come c' è scrit to nell' intestazione, di un vero e proprio comunicato stampa. Bin Laden, dopo aver ribadito di essere estraneo agli attacchi terroristici di New York e Washigton, sostiene di essere un fedele del «Comandante dei Credenti», cioé il mullah Omar, e di obbedire ai suoi ordini che «non mi permettono di organizzare azioni di questo tipo». A Kabul avrebbe voluto rientrare Gino Strada, il chirurgo di guerra italiano fondatore dell' associazione umanitaria Emergency, per riaprire il suo ospedale, chiuso da maggio (le milizie integraliste hanno deciso che nell' ospedale saltano le regole imposte del regime: uomini e donne mangiano insieme nella stessa mensa). Invece anche lui è stato bloccato. Il dottor Strada partirà stamattina da Islamabad verso i l Panshir, la regione dell' Afghanistan controllata dagli antitalebani dell' Alleanza del Nord. In quella zona Emergency ha un altro ospedale. «Mi hanno detto che è pieno di feriti - ha commentato un po' amareggiato il medico, ieri sera - segno che i combattimenti sono ripresi intensi».«Non c' è cambiamento nella nostra politica verso Bin Laden. Siamo responsabili della sicurezza di tutti coloro che vivono nel Paese. Se un Paese aiuta l' America per c olpire o offre il suo spazio aereo e il suo territorio, noi possiamo attaccarlo» Wakil Ahmed Mutawakil, ministro degli Esteri del regime dei talebani afghani



martedi , 18 settembre 2001
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Profughi, rischio di catastrofe umanitaria

Il Pakistan chiude le frontiere con l' Afghanistan. Migliaia di fuggiaschi si incolonnano sulle montagne. Scappano anche i funzionari talebani con le loro famiglie: sono gli unici forniti di passaporto

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR (Pakistan) - Alle 13 di ieri il Pakistan, dopo l' Iran e il Tagikistan, ha chiuso le frontiere con l' Afghanistan. La massa di profughi che si accalcava al posto di frontiera di Turkam, sul passo Khyber (un migliaio di persone) è rimasta bloccata ed è stata ricacciata indietro. Nel piazzale si è formato un gigantesco ingorgo di camion e di autobotti che tentavano di prendere la strada per Kabul. Ciò vuol dire che ora l' Afghanistan è rimasto completamente senza rifornimenti. Tra l' altro tra i due Paesi, dagli anni ' 60, c' è un accordo commerciale che prevede il libero passaggio delle merci che arrivano al porto pachistano di Karachi (senza quindi il pagamento di tasse e tributi) e destinate all' Afghanis tan. E' la prima volta, nonostante quasi due decadi di guerra, che non viene rispettato. Il confine, in realtà, poteva considerarsi chiuso già dai giorni scorsi perché i pachistani facevano entrare solo chi era munito di regolare passaporto: praticam ente, quindi solo gli alti funzionari talebani e le loro famiglie. Ma il confine tra i due Paesi è lungo 1400 chilometri e si può superare con tranquillità: «Abbiamo individuato almeno 700 posti di passaggio clandestino - spiega Khalid Shah, il respo nsabile a Peshawar per il servizio d' emergenza dell' Alto commissariato dell' Onu per i rifugiati (Unhcr) - e quindi la chiusura delle frontiere non farà diminuire l' afflusso di profughi. Li costringerà a una marcia a piedi tra le montagne un po' p iù lunga». «Dal novembre al giugno dell' anno scorso sono entrate in Pakistan 40 mila persone. In luglio e agosto il loro numero è salito a 60 mila. Ora abbiamo perso il conto. Molti non vengono da noi ma restano a pochi chilometri dal confine sparsi nei villaggi dove ricevono accoglienza da amici e parenti», racconta ancora, sconsolato. La gente fugge essenzialmente per tre motivi: c' è chi viene dalle zone dove imperversa la guerra tra i talebani e l' Alleanza del nord. C' è chi scappa da zone colpite da una forte siccità: quest' anno non ci sono stati raccolti e non c' è nulla da mangiare. Infine ci sono quelli che sono stati minacciati dagli studenti islamici e spinti ad andarsene. Questi ultimi sono la maggioranza, qui, intorno a Pesha war. Parlano la lingua farsi e sono di religione sciita. Turcomanni, uzbeki, tagiki, soprattutto. I talebani sono invece pashtuni, parlano la lingua omonima e sono sunniti. La maggior parte dei rifugiati non ama l' attuale governo installato a Kabul. Si calcola, inoltre, che il 25-30 per cento dei miliziani fedeli ai mullah non siano afghani, ma arabi, ceceni, e perfino africani reclutati nelle moschee più intransigenti dei loro Paesi. In questi giorni però è diverso. «La gente scappa perché ha paura dei bombardamenti americani che ritiene imminenti. Dopo che i Paesi confinanti nei giorni scorsi hanno chiuso i confini sono arrivati profughi da tutto l' Afghanistan e non dalla sola zona orientale», riferisce il funzionario dell' Unhcr. Il Pa kistan ospita già due milioni e mezzo di rifugiati e se la situazione dovesse peggiorare si rischia la catastrofe umanitaria. «Al di là della chiusura formale dei confini, se scoppia la guerra ci aspettiamo l' arrivo di almeno mezzo milione di profug hi. Abbiamo valutato che in Afghanistan le persone potenzialmente a rischio sono comprese tra 5 e 10 milioni», conferma Khalid.«Stiamo consigliando e stimolando i talebani a considerare i pro e i contro de l non voler cooperare nella lotta al terrorismo. Senza un comportamento logico ed equilibrato, per l' Afghanistan e per il suo popolo saranno problemi».Moinuddin Haider, ministro dell' Interno pachistano



giovedi , 20 settembre 2001
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«Ma gli statunitensi sono già in Afghanistan»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR - Una delegazione americana è giunta ieri nelle zone dell' Afghanistan controllate dall' Alleanza del Nord, la coalizione che combatte da cinqu e anni contro i talebani al potere a Kabul. Raggiunto per telefono satellitare, il ministro degli Interni dell' Alleanza, Mohammud Younus Qanouni, spiega: «Siamo pronti ad appoggiare gli americani nella lotta contro il terrorismo. Abbiamo offerto una collaborazione totale, vedremo la risposta». Perché non dovrebbero accettare? «Dietro i talebani c' è il servizio segreto pachistano, l' Isi. Siamo un po' scettici sul ruolo che Islamabad vuole giocare». Voi cosa offrite all' America? «Noi conosciam o ogni collina, ogni valle. Abbiano combattuto contro i sovietici per dieci anni e li abbiamo cacciati. E poi mettiamo a disposizione un' efficiente rete di intelligence». Dove vive Osama Bin Laden? «Sappiamo in quale zona dell' Afghanistan si trova, ma è difficile precisare la sua esatta residenza. Dorme in un luogo diverso ogni sera per paura di essere individuato». E le sue guardie del corpo? «Osama può contare su una milizia personale proveniente da 35 Paesi. Arabi innanzitutto, e poi tagiki , ceceni, uzbeki e qualche europeo. Degli afghani non si fida».



venerdi , 21 settembre 2001
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«Americani fate presto, abbiamo bisogno di voi»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR - «Quando i talebani sono entrati a Kabul insegnavo matematica in una scuola superiore. Ho continuato per due giorni, poi sono entrati in classe, fu cili alla mano, mi hanno minacciata: "Devi stare a casa". Così non sono uscita per tre anni, ho indossato sempre la burka, quella veste che ti copre dalla testa fino ai piedi. Tre mesi fa hanno ammazzato mio marito e così sono scappata in Pakistan co i miei due bambini». Halima non rimpiange la fuga anche se ora nel campo profughi di Khachaly, poco fuori Peshawar, fa la fame. «Ho poco da mangiare ma almeno non devo più sottostare alle angherie dei talebani», dice scappando via. Si sta avvicinando gente e ha paura: «Mi lasci andare, qui è pieno di spie. I talebani sono tutti terroristi. Rischiamo la vita». Najib ha 27 anni: «Io voglio ascoltare la musica, vorrei ritornare a studiare, mi hanno negato tutte le libertà individuali. Non mi piace portare la barba. Non vedo l' ora che arrivino gli americani così potrò finalmente rientrare a Kabul». Seduto su una panca sul ciglio di un viottolo, Ali Khan ostenta la sua gamba amputata. Uno studente islamico gli ha sparato nel ginocchio: «I taleb ani sono degli stranieri per noi. Appena gli americani arriveranno in Afghanistan la gente si solleverà. Quella che c' è a Kabul è una dittatura e per di più venuta da fuori». Walid studiava medicina, il padre è un funzionario di polizia esautorato d al governo. È fuggito dall' Afghanistan due settimane fa. «Sono stato arrestato e picchiato quattro volte: perché indossavo un paio di jeans, perché non ho la barba lunga. Suonavo il piano elettrico, durante una perquisizione l' hanno sfasciato. L' u ltima volta che mi hanno massacrato di botte è stato quando all' università ho cercato di spiegare ai miei compagni che la distruzione dei Buddha di Bamiyan era un' azione contro in nostro Paese». Ma perché tanta gente li appoggia? «Il 99% degli afgh ani è ignorante. I mullah utilizzano le superstizioni per soggiogare la popolazione. Appena arriveranno gli americani credo che la gente capirà da che parte stare».



martedi , 25 settembre 2001
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Anche americani e inglesi tra i militanti dell' internazionale di Osama

Dissidenti afghani consegnano un rapporto ai servizi segreti Usa. Uno statunitense sarebbe consigliere del mullah Omar Anche americani e inglesi tra i militanti dell' internazionale di Osama DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR (Pakistan) - In quell' internaz ionale del terrore che è Al Qaeda di Osama Bin Laden ci sono anche americani e inglesi, una ventina. Un cittadino statunitense, poi, non è un militante qualunque, ma un consigliere del leader spirituale dei talebani, il mullah ed emiro Mohammed Omar. L' informazione è stata passata qualche giorno fa ai servizi segreti americani da un gruppo talebano dissidente con un dettagliato rapporto, finito anche nelle mani del Corriere. I kamikaze di Bin Laden - spiega il documento - sono raccolti in centr i di addestramento divisi per Paesi: «Ce ne sono almeno 18, tra cui Algeria, Cecenia, Birmania, Bangladesh, Pakistan, Senkiang (Cina), Sudan, Iraq, Tagikistan, Uzbekistan, Bosnia, Arabia Saudita, Egitto, Libia». Vengono poi indicate tre basi, tutte n el sud dell' Afghanistan. «Intorno a Kandahar c' è il campo dei terroristi arabi. Il comandante si chiama Abu, saudita». Sulle montagne a nord di Kandahar c' è l' area d' addestramento più attrezzata per preparare alla Jihad miliziani e militanti di diversi gruppi che operano all' estero. La residenza di Osama (ora scappato anche lui tra le montagne) si trova a sud ovest dell' aeroporto di Kandahar nella provincia di Helmand in una località chiamata Nowar Sefulha. «La base è stata costruita in g ran segreto - spiega al Corriere Hagi Hamedullah, un comandante afghano antitalebano che opera nella regione di Khost -. Sono stati impiegati operai arabi e agli afghani non è possibile avvicinarsi per la sicurezza rigidissima». Il documento in mano all' intelligence americana continua elencando una serie di persone, tutte non afghane, coinvolte con Bin Laden e con i talebani. Tra loro c' è un americano di cui non viene rivelato il nome («lo troverete nel prossimo rapporto», c' è scritto), che l avora nell' ufficio di mullah Omar. «E' una persona autorevole e i suoi consigli sono sempre ben accetti dai talebani». C' è poi un bielorusso, conosciuto come Amin, che coordina la politica dei talebani verso i Paesi dell' ex blocco sovietico. E' un o dei consiglieri del mullah Omar. Walid è inglese. Non viene specificata la funzione che, però, dev' essere importante giacché abita nella residenza di Abdul Rahim Atif, vice presidente dell' Afghanistan ai tempi del regime filosovietico di Najibull ah. Altri quattro sono pachistani: il mullah Abdul Rahim, di Karachi, responsabile della propaganda dei talebani; il ministro dell' interno, Abdul Razaq Akhund, di Quetta; il mufti Zakir Sahaeb, che vive nel nuovo centro militare di Kandahar e un alt o funzionario del regime: il mullah Khairullah Akund, governatore di Herat. Mullah Mahmood è invece un birmano: addestra i terroristi all' uso di lanciarazzi e bazooka. Il documento cita infine Ustad Amin. Viene dall' Asia centrale, è il capo della b ase militare di Kandahar e responsabile delle attività dei talebani in Tagikistan, Uzbekistan e altri Paesi ex sovietici dell' area. Il console americano a Peshawar, David Katz, ha rifiutato di dare un suo parere sulla vicenda, ma fonti diplomatiche hanno riferito che le informazioni sono considerate autentiche.




giovedi , 27 settembre 2001
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«Io lo conosco bene Osama ha un sogno, morire da martire»

«E' educato e ha il senso dell' umorismo, ma non si separa mai dal suo mitra»

«Io lo conosco bene Osama ha un sogno, morire da martire» DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR (Pakistan) - Rahimullah Yusufzai non è un giornalista qualunque. Non è neanche la star di qualche rete televisiva americana, né uno scrittore di successo. E' solo i l corrispondente dalla Bbc da Peshawar (servizio in lingua Pashtuni) e direttore di The News, uno dei più diffusi quotidiani pachistani. Nella sua carriera, però, ha fatto due scoop. Due interviste esclusive all' uomo più ricercato del mondo: Osama B in Laden. In realtà Rahimullah ha ricevuto dallo sceicco anche due telefonate e qualche lettera, l' ultima un paio di mesi fa. Ha 48 anni, ma i capelli e la barba bianchissimi lo fanno sembrare più anziano. Quando ha incontrato Bin Laden? «Il 25 magg io e il 23 dicembre 1998. La prima volta a Kandahar e la seconda a Khost, per quattro ore, di notte, nel campo che il 20 agosto successivo sarebbe stato distrutto con i missili dagli americani per rappresaglia ai bombardamenti delle due ambasciate in Kenya e in Tanzania. Poche ore dopo il raid, Osama mi telefonò ridendo: "Hai visto, disse, hanno sbagliato obiettivo. Io ero a una decina di chilometri di distanza". Era però molto dispiaciuto, perché il raid aveva fatto parecchie vittime tra i civi li. "Sono i veri martiri dell' Islam. Gli Usa ci hanno dichiarato guerra, ora si dovranno aspettare una nostra risposta"». Che tipo è fisicamente lo sceicco? Incute timore, paura, deferenza? «No, nulla di tutto ciò. E' educato, molto gentile: ti mett e a tuo agio quando gli parli. Comunque un po' di apprensione, quando gli sei accanto, ce l' hai, perché tiene sempre un mitra appoggiato sulle ginocchia». Ma la vita umana, per lui, ha qualche valore? «No, non molto, Ma neanche la sua. Voleva essere un eroe e c' è riuscito. Ora vuole diventare un martire. Crede che sia il modo migliore di morire, nel nome dell' Islam. Non si arrenderà mai, tanto meno scomparirà. Per lui combattere gli americani è uno scopo di vita». Quali sono i suoi obiettivi politici? «Cacciare gli americani dal suolo dell' Arabia Saudita. E' la sua ossessione. Vedere "gli infedeli" sul sacro suolo dei fedeli di Maometto gli ha fatto scattare qualche molla dentro. Poi vuole rovesciare la monarchia al potere a Gedda. Infi ne vuole cacciare gli ebrei dalla Palestina. "Un uomo solo contro l' unica superpotenza?" gli chiesi. "L' unica superpotenza è Allah", rispose convinto». E' vero che è multimiliardario? «Lui dice di no e piange anche miseria. Secondo me invece è ricc hissimo. E' arrivato in Afghanistan durante l' invasione sovietica ed ha combattuto con i mujaheddin. Però non ha mai aderito a nessun gruppo. Quando gli islamici hanno vinto si è ritirato e non ha partecipato alla guerra tra il governo di Rabbani e i talebani. Bin Laden ha rischiato di essere arrestato perché sospettato di aver sostenuto Rabbani ed ha dovuto convincere i talebani del contrario». Li ha convinti bene: nel nuovo governo ha trovato un posto di rilievo. Niente cariche, ma un ruolo d a leader. «Non credo che sia così. Non è il burattinaio dei talebani. Lui non poteva rilasciare interviste senza il loro consenso, non poteva muoversi liberamente. Ha poi sempre riconosciuto l' autorità del mullah, Mohammed Omar». Conosce bene anche Omar? «L' ho intervistato una volta. Anche lui è molto riservato. Gli americani hanno diffuso una sua foto, ma l' uomo ripreso in quell' immagine non è lui. Tra l' altro ha perso l' occhio destro in battaglia e quindi ha una palpebra sempre abbassata ». Tornando a Bin Laden: ha il senso dell' umorismo? «Sì. Quando gli ho chiesto quanti figli avesse, mi ha risposto ridendo: "Troppi; ho perso il conto"». Quanti figli e mogli ha? «E' un mistero. Non ha voluto dire nulla sulla sua vita privata. Si di ce che abbia quattro mogli e 27 figli. Chissà se è vero...».



venerdi , 28 settembre 2001
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Segnali di sfaldamento dal regime di Kabul

Numerosi capi tribali cominciano a guardare al re da trent' anni in esilio a Roma

DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR (Pakistan) - Il regime dei talebani si starebbe squagliando come neve al sole. Questo almeno secondo alcuni comandanti militari che hanno abbandonato il governo d egli studenti islamici e hanno stabilito un' amministrazione autonoma. È già accaduto nella città orientale di Khost, tra Kabul e Kandahar. «Ma abbiamo raggiunto un accordo - conferma Hagi Hamedullah, il capo della tribù Tresa che ha preso il control lo di Khost -. Gli studenti islamici si ritireranno anche dalle provincie di Paktia e Paktina. Il loro ripiegamento sarà inesorabile. C' è una continua emorragia di militari e di funzionari». La sensazione è che il nerbo dei talebani si stia asserrag liando nelle grandi città, Kabul, Kandahar, Herat, per difenderle da un' eventuale attacco americano. Ieri a Peshawar c' era una riunione di comandanti talebani dissidenti. Non appoggiano l' Alleanza del Nord, che combatte il governo di Kabul nella v alle del Panshir, ma sono pronti a passare armi e bagagli in una coalizione monarchica che si sta formando in Afghanistan. «La situazione nel Paese è disperata. Le fazioni sono ormai decine e in lotta furibonda, politica o militare, tra loro. In ques to quadro desolante sono in molti a fare appello a un uomo vecchio come l' ottantasettenne re Zhair Shah, da trent' anni in esilio a Roma e che quindi non ha più il polso del Paese reale», conferma un funzionario occidentale dell' Onu a Peshawar, che aggiunge: «Numerosi capi tribali si stanno schierando apertamente con l' ex sovrano. Io non credo che lui potrà governare, ma potrebbe convocare la loya jirgah, il gran consiglio dei capi tribali e dei saggi, e contribuire con il prestigio di cui an cora gode tra gli anziani a pacificare il Paese». L' inizio dello sfaldamento in seno al regime di Kabul viene confermato anche dalla notizie che arrivano dal confine con il Pakistan sul passo Khyber. Al posto di frontiera di Torkham i fondamentalist i afghani sono scomparsi. Le loro posizioni sono state prese da ceceni e arabi, le milizie scelte di Osama Bin Laden. Stessa cosa a Jalalabad, la città a metà strada tra Peshawar e Kabul. Alcuni rifugiati (clandestini perché la frontiera tra Afghanis tan e Pakistan è chiusa) hanno raccontato che i talebani rimasti in città sono davvero pochi. Le posizioni strategiche sono state occupate dagli uomini dello sceicco del terrore i quali, sulle montagne intorno alla città, hanno piazzato i loro pezzi d' artiglieria pesante. Secondo notizie provenienti da Kandahar, nella capitale spirituale del Paese dove risiede il gran capo dei talebani, mullah Omar, e tutti i principali ministri, la situazione per ora è calma. Qualche giorno fa Omar aveva chies to ai suoi cittadini di uscire dalle città e rifugiarsi in montagna. Forse è stato anche questo a provocare l' ondata di profughi disperati che si sono riversati ai confini con il Pakistan. L' altro ieri invece ha fatto macchina indietro: «Rientrate nelle vostre case, tanto non c' è più pericolo di bombardamenti», ha detto dai microfoni della radio ufficiale Voce della Shariat. Ma nessuno ieri l' ha ascoltato anche perché le più alte autorità talebane hanno già spedito le loro famiglie oltre fro ntiera: a Quetta, a Islamabad, a Peshawar. Questo, ovviamente non ha tranquillizzato i sudditi dell' emirato. I giovani poi scappano per un altro, più sinistro motivo: vogliono evitare di essere arruolati a forza per combattere la guerra santa. I pro fughi che arrivano in Pakistan parlano di rastrellamenti a tappeto. «La gente - spiega il comandante Hamedullah - odia i miliziani stranieri di Bin Laden -. Sono degli spacconi prepotenti; entrano nelle case per perquisizioni proditorie e distruggono tutto, si fanno consegnare denaro, cibo, oggetti. Non rispettano nessuno. Credono di essere i padroni dell' Afghanistan. In una loro lotta contro gli americani, non li appoggeranno per nulla. Loro sono islamici e credono di potersi permettere di tut to, tanto i marines sono infedeli. Beh, la loro fiducia è mal riposta. Non credo che sia così: gli afghani non sono stupidi da schierarsi con chi li ha maltrattati fino adesso». Ma quanti sono i miliziani stranieri fedeli a Osama Bin Laden? Il loro n umero non è certo, un migliaio, secondo alcuni, fino a ventimila, secondo altri. Una cosa, però, è sicura: sono pronti a immolarsi per il loro leader.



domenica , 30 settembre 2001
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«Io, studente come tanti costretto all' esilio per colpa della barba troppo corta»

Viaggio fra i profughi vittime dell' intolleranza dei talebani. Ieri è partito dal Pakistan il primo convoglio umanitario diretto oltreconfine, verso le zone controllate dai ribelli «Io, studente come tanti costretto all' esilio per colpa della barba troppo corta» DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR (Pakistan) - Occhiali rotondi cerchiati di metallo, un velo leggero che le incornicia il viso, Halina ogni giorno entra nella sua aula nel campo profughi di Kacha Hagary, alla periferia occidentale di Peshawar. Insegna matematica a una ventina di ragazzine. Halima ha lasciato l' Afghanistan nell' agosto 1996 poche settimane dopo l' ingresso dei talebani a Kabul. È venuta a Peshawar con tutta la famiglia, una famiglia della media borghesia afghana : il padre era un funzionario del governo, la madre infermiera. «Avevo finito l' università da poco - racconta - e avevo cominciato a insegnare. I talebani sono piombati nella mia classe e mi hanno ordinato di andarmene a casa. Stessa cosa con le mie studentesse. Le madri delle mie ragazzine mi hanno portato le figlie in casa chiedendomi di continuare a insegnare di nascosto. È durato qualche giorno, poi non abbiamo più retto alla tensione, al timore di essere scoperte. Così abbiamo interrotto l e lezioni e con i miei abbiano deciso di lasciare il Paese». Halina spera di rientrare presto: «Il re? Potrebbe essere la soluzione a tutti i nostri problemi. Lui era un modernizzatore, l' han fatto fuori per questo». Zahir Shah, il sovrano rovesciat o con un colpo di Stato nel 1973, aveva introdotto l' istruzione obbligatoria, anche per le ragazze. Questa decisione aveva creato forte malcontento tra la popolazione che non voleva mandare le figlie a scuola. Walid Tamim è uno studente di medicina fuggito dall' Afghanistan un mese fa. Ha il mento ben rasato, un' offesa per i talebani che hanno introdotto l' obbligo di portare la barba lunga. Domanda retoricamente: «Ma è pensabile che un giovane istruito come me sia costretto a non vedere la te levisione, a non leggere altro che testi sacri, a non ascoltare musica e suonare il piano di nascosto? Quelli sono dei trogloditi che vogliono costringere la gente all' età della pietra. Avevo organizzato una cantina con televisore, musica rock, pian ola. Pochi amici, perché lì le spie sono ovunque, e perfino qualche ragazza. Poi in strada i fanatici mi hanno fermato e schiaffeggiato perché non avevo la barba abbastanza lunga. È accaduto tre volte. L' ultima mi hanno fatto marcire una settimana i n galera. Non ho retto più e sono scappato a Peshawar». La maggioranza dei profughi però proviene dalle classi più povere della popolazione afghana, come Nayd, 30 anni, vedova, tre figli di 7, 9 e 12 anni, arrivata a Peshawar 2 giorni fa. La frontier a è chiusa e lei ha dovuto pagare un sacco di soldi ai trafficanti di uomini attivi da queste parti. Lei è analfabeta ed è stata colpita duramente dalla vita: «Mio marito è morto in guerra, combatteva un po' da questa parte (talebana) un po' dall' al tra (Alleanza del Nord) a seconda di chi gli dava più soldi e più cibo. Son venuta via perché a Kabul non posso lavorare e neanche chiedere l' elemosina. Qui almeno spero di poter sopravvivere finché non troverò un altro marito che possa mantenere me e i miei figli». Nayd fa parte dell' ultima ondata di profughi: «Ne aspettiamo un milione nelle prossime settimane», ha annunciato allarmato ieri Yusuf Hassan dell' Alto commissariato dell' Onu per i rifugiati, lanciando un appello ai Paesi donatori : «Abbiamo bisogno di 300 milioni di euro (circa 580 miliardi di lire) e finora ne abbiamo ricevuti solo 12». Ieri l' Unicef e il World Food Programme, il Programma Alimentare Mondiale (Pam) hanno fatto partire il primo convoglio di aiuti umanitari d iretto verso l' Afghanistan dall' 11 settembre, quando gli invii di cibo erano stati sospesi per precauzione. Il convoglio è destinato ai territori controllati dall' Alleanza del Nord. Per le zone dei talebani (il 90 per cento del Paese) invece ancor a nulla. I confini sono chiusi e poco importa agli studenti islamici se uomini, donne e bambini moriranno di fame: sono considerati martiri e per loro è previsto il paradiso.



martedi , 02 ottobre 2001
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«I talebani ormai hanno i giorni contati»

Il monito del presidente del Pakistan Musharraf. Ma Kabul grida: «Il nostro Dio è più forte» E l' Onu lancia la battaglia per soccorrere milioni di profughi

Massimo A. Alberizzi, Francesco Battistini

DAI NOSTRI INVIATI ISLAMABAD - Scena prima: il ministro della difesa talebana si presenta al confine di Torkham, pa ssa in rassegna i soldati fedeli e li prepara alla «dura lotta, alla difesa del Paese, perché se il vostro nemico è forte, il nostro Dio è più forte». Scena seconda: il presidente pakistano, Pervez Musharraf, va in televisione per la seconda volta in 48 ore, fa sapere in via confidenziale d' essere pronto a recarsi di persona a Kabul, pur d' avere in consegna il superterrorista Osama Bin Laden, ma in pubblico ripete di non crederci affatto e di pensare che i talebani abbiano ormai «i giorni cont ati». «Sembra che gli Stati Uniti entreranno in azione in Afghanistan, a causa delle posizioni che i talebani hanno preso; ci sarà un confronti armato», aggiunge. Scena terza: il vecchio re d' Afghanistan, Zahir Shah, da Roma annuncerà via radio che l' accordo coi ribelli dell' Alleanza del Nord è concluso, mentre lungo il confine, da Quetta a Peshawar, i fuorusciti afghani d' una quarantina d' associazioni appoggiano la scelta monarchica e fanno l' eco a Musharraf («Credeteci, i talebani sono a lla fine»). Scena quarta: spinto dagli iraniani, che hanno deciso di scendere in campo a favore dell' Alleanza del Nord, rispunta Ismail Khan, il leggendario comandante mujaheddin di Herat, imprigionato dai talebani ed evaso un anno fa, un altro pron to a marciare su Kandahar e ad «andare a prendere con le mie mani il mullah Omar». Il fuoco per ora è tutto nelle parole. E la guerra è tutta di propaganda. In Afghanistan si spara, anche più del solito, ma sull' orlo delle 48 ore preventivate il Gra nde Attacco non si vede. Chiude e riapre e richiude l' aeroporto di Quetta, la città pakistana più vicina al covo talebano di Kandahar. Per la prima volta, il comandante Omar dice chiaro che la risposta afghana non sarà militare in senso stretto, ma condotta con attacchi terroristici e una guerriglia prolungata: a Islamabad e a Karachi, scrive la stampa pakistana, due laboratori dell' esercito stanno preparando migliaia di dosi di vaccino per combattere eventuali attacchi chimici di Bin Laden. L o Jamiat-Ulema-e-Islam, poi, uno dei partiti estremisti che in Pakistan organizzano le manifestazioni pro talebani, invia un criptico e strano messaggio a tutti gli ambasciatori occidentali presenti a Islamabad: ci aspettiamo che «la vostra saggia na zione» sostenga il governo afghano, scrive il leader Hafiz Ahmed, aggiungendo un po' minaccioso che se i diplomatici non riceveranno la missiva, questa sarà inviata comunque a destinazione. Nessuno crede troppo a una guerra imminente, però, a partire dagli stessi afghani che non hanno lanciato l' allerta massima. Il termometro sono anche i molti sfollati che - a sentire le testimonianze dei camionisti giunti a Peshawar - starebbero facendo ritorno alle proprie case: «Jalalabad è una città dove l a vita scorre normale», raccontano. Questo non significa che l' emergenza umanitaria sia finita, anzi, e tutte le organizzazioni che dopo l' 11 settembre se l' erano incredibilmente data a gambe, abbandonando l' Afghanistan, ora rientrano: il Program ma alimentare è riuscito ieri mattina a raggiungere Kabul con un camion di farina, 218 tonnellate che daranno pane a 350 mila persone; il commissariato Onu per i rifugiati sta portando 50 mila teli di plastica nei campi sopra Quetta; l' Unicef partir à da Peshawar con altre 200 tonnellate di cibo. Le novità sono politiche, dunque, più che militari. A Kabul, le spaccature fra gli «studenti» al governo sono ormai palesi e i talebani fedelissimi a Omar dovranno, d' ora in poi, «dividere» col tradizi onale Consiglio degli anziani il controllo di tre importanti province, quelle dove si stanno registrando le maggiori defezioni. Musharraf s' è fatto intervistare di nuovo dalla Bbc (anche) per farsi perdonare dagli ultrà islamici la giacca e la crava tta indossate domenica, nel faccia a faccia con la Cnn: in divisa militare, non ha toccato lo spinoso argomento delle madrassa (le scuole coraniche sospettate di sostenere i terroristi di Bin Laden) e ha ripetuto l' avvertimento ai talebani. Intanto, nonostante la valanga di smentite che sono arrivate da Washington e da Kabul, trova parziale conferma in ambienti talebani la notizia dei tre soldati Usa e dei due afgani con passaporto yankee catturati al confine con l' Iran: i cinque, parte d' un commando che stava impiantando una base segreta a Robat, nel deserto di Helmand, sarebbero caduti in trappola durante uno scontro con la tribù dei Gurgich, etnia del Baluchistan che controlla l' estremo Ovest dell' Afghanistan. Non è chiaro se i mili tari, adesso, siano prigionieri di questa tribù di contrabbandieri o si trovino nelle mani di Al Qaeda, la rete di Osama: se sono là, di sicuro non verranno restituiti presto.



giovedi , 04 ottobre 2001
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Il grido di Omar: «Non ci colonizzerete»

Il leader del regime afghano minaccia la pena di morte a chi sostiene l' ex re e i ribelli
Massimo A. Alberizzi, Francesco Battistini

DAI NOSTRI INVIATI ISLAMABAD - Si chiama Sardar Faruq Khan Leghari e ha un passato politico lungo almeno quanto il nom e. Ex presidente del Pakistan, gran mestatore che nel 1996 aiutò i talebani a marciare su Kabul, sposato a una donna di etnia pashtun e lontano parente dell' ex re, Leghari è uno dei tanti personaggi che sta cercando di ritagliarsi un ruolo nel futur o dell' Afghanistan. Lunedì sera, prima di partire per Roma, ha incontrato a cena il suo attuale successore, Pervez Musharraf, e ha cercato di convincerlo: «Bisogna puntare su Zahir Shah, il vecchio sovrano in esilio». Le voci a Islamabad dicono che il generale-presidente ci stia, sarebbe anzi «entusiasta» d' una scelta monarchica. Ieri mattina, è arrivata una mezza conferma ufficiale: «Musharraf - ha detto Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri - chiede che un emissario dell' ex re si rechi il più presto possibile a Islamabad». E' una svolta. Perché il generale è l' unico a mantenere rapporti diplomatici col Paese vicino e non ha mai ammesso in pubblico di puntare a un cambio di regime. Poco importa, così, che il governo pakistano abbia frenato subito («non ne sappiamo niente», dice il portavoce Riaz Khan, che rimanda alla prima, importante visita politica, quella di Tony Blair domani) e che fonti diplomatiche italiane precisino meglio il pensiero della Boniver, per la quale Musharraf sta pensando ormai al dopo-talebani: «Il problema per il Pakistan è che l' Alleanza del Nord non può governare da sola, a Kabul. Serve una soluzione Onu in cui tutti abbiano una parte, compreso l' ex re». Poco importa: il piano è partito ed è la cosa che più scatena l' ira dei mullah. «Zahir è un pupazzo - ripete il comandante Omar a Radio Sharia -. Fu amico dei russi (i militari che tentarono il golpe filomonarchico del 1978 erano addestrati in campi sovietici, n.d.r.) ed è responsabi le di quel che sta succedendo: è lui che ha reso forti i comunisti in Afghanistan, provocato l' invasione russa e quindi la jihad. Ora vuole fare del nostro Paese una colonia americana». Omar prende le distanze anche dagli «amici» pakistani, che ieri hanno espulso 50 «volontari» di sette organizzazioni umanitarie islamiche, e alla radio recrimina: «Non è vero che i talebani sono una creazione del Pakistan. Io ero un comandante povero: perché avrebbero dovuto sostenermi? Solo quando ho conquistat o Kandahar, ho avuto appoggi». Se è realistico quel che dicono il presidente afghano in esilio Rabbani (che le truppe occidentali sono già dentro l' Afghanistan), e l' Alleanza del Nord, (che sono almeno 10mila le defezioni fra i talebani), non basta no evidentemente i 25 mila volontari arabi e pakistani che si sarebbero mossi per la difesa afghana (in tutto 60mila uomini). E si capisce perché Omar lanci l' ennesimo appello all' «unità», minacci la pena di morte a chiunque stia col re e con l' Al leanza, alimenti le manifestazioni antiamericane e antimonarchiche: dopo Kandahar, ieri i pupazzi di Bush e del segretario Onu, Kofi Annan, sono stati bruciati a Qalat. Un piccolo successo di propaganda, il mullah lo incassa: la sua unica foto, pubbl icata dai giornali di tutto il mondo, secondo alcuni giornali pakistani sarebbe in realtà mezza falsa. E la conferma l' avrebbero data i pochi funzionari Onu che l' hanno incontrato: Omar è senza l' occhio destro e il suo vero volto rimane ancora un mistero.Francesco Battistini



venerdi , 05 ottobre 2001
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Epidemia al confine afghano: «Sembra Ebola»

Già nove morti tra i profughi in Pakistan, decine di contagiati. I medici: possibile un disastro
Alberizzi Massimo

DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR (Pakistan) - Rischio di epidemia nel campo profughi al confine fra Afghanistan e Pakistan. I medici del Fatima Jinnan Chest Hospital di Quetta, città pakistana verso la quale stanno confluendo migliaia di afghani in fuga dalla fame e dalla guerra, hanno identificato 76 casi di febbre emorragica della Crimea e del Congo, una malat tia che uccide in 7 casi su 10 e che si manifesta con gli stessi sintomi della terribile Ebola: irritazioni cutanee e perdite di sangue da occhi, naso, bocca, orecchie, intestino. Da giugno, quando l' epidemia si è presentata, i morti sono già nove. In città è scoppiato il panico. «Oggi - dice il dottor Akhland Ahmad, direttore sanitario dell' ospedale Fatima Jinnah di Quetta - è morto un altro ammalato, Lal Mohammed, portando a nove il numero di decessi. Nelle nostre corsie ci sono ancora 4 uom ini e un bambino di 9 anni. Sono ricoverati in isolamento, le loro condizioni sono gravissime». I nove morti sono tutti maschi, ma potrebbe significare poco. Tra i ricoverati (ora guariti) ci sono state anche donne e alcune erano morte lo scorso anno per un' epidemia all' apparenza analoga. Lal Mohammed era stato portato all' ospedale mercoledì, la sua degenza è durata poche ore. «Teniamo sotto osservazione i parenti per controllare se sono rimasti contagiati», ha aggiunto Akhland. Cinque dei no ve morti sono afghani. Dove abbiano contratto la malattia non è ben chiaro: «Forse venivano dai campi profughi e questo sarebbe un guaio che può portare a conseguenze gravissime. Se il virus si propaga tra i rifugiati rischiamo un' ecatombe», ha comm entato il medico. Quetta è una città inondata dagli afghani in fuga. E' una bolgia: non è raro incontrare esseri umani che vivono tra i rifiuti. Anche i cosiddetti «quartieri alti» sono pieni di sporcizia. Un ambiente ideale per fare crescere e svilu ppare le malattie più pericolose. Una situazione resta ancora più drammatica dal fatto che proprio a Quetta sta per abbattersi un' altra ondata di profughi che premono alle frontiere con l' Afghanistan. «La massa può arrivare a un milione di disperat i», ha annunciato Laura Boldrini, portavoce dell' Unhcr (l' Alto commissariato dell' Onu per i rifugiati). Il panico che si è diffuso tra i medici è dovuto al fatto che la febbre emorragica della Crimea e del Congo è provocata da un virus stretto par ente di Ebola. Mentre però Ebola fa parte della famiglia dei filovirus, la febbre emorragica della Crimea e del Congo è provocata da un virus del tipo bunya. Entrambi colpiscono l' Rna delle cellule: in un modo devastante Ebola (si muore in due giorn i, il corpo pare esplodere per le emorragie, i decessi vanno dall' 80 al 90% degli infettati); in modo meno traumatico la febbre della Crimea e del Congo (muore «solo» il 15-25% dei colpiti). Ma soprattutto il contagio è diverso. Il micidiale Ebola s i propaga con estrema facilità: ci si infetta solo toccando un ammalato e (forse) perfino inalando l' aria che espira. Il virus che ha colpito a Quetta, invece, viene trasmesso da 29 specie di zecche e altri parassiti, che pungono animali o altre per sone infette, come fanno le zanzare per la malaria. «Poiché non capivamo di quale malattia si trattasse - aggiunge il dottor Akland - abbiamo inviato campioni di sangue all' Istituto Nazionale di Virologia a Johannesburg in Sudafrica. Sono stati i su oi immunologi a confermarci la natura dell' epidemia». Stephanie Bunker, portavoce dell' Undp (United Nation Development Programme): «Stiamo ancora cercando di capire la portata del contagio».



sabato , 06 ottobre 2001
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«Io, unico reporter rimasto a Kabul»

DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR - Taisir Alluni, 55 anni, corrispondente della Tv araba Al Jazeera, è l' unico giornalista rimasto a Kabul per volontà dei talebani. La sua famiglia è co n lei? «Mia moglie è spagnola e i miei figli erano qui quando è scoppiata la crisi. Li ho subito rispediti in Spagna». Com' è ora la situazione a Kabul? «La popolazione si aspetta un attacco. Al tramonto tutti si tappano in casa ad ascoltare le radio line». E sul piano militare? «I talebani stanno rafforzando le difese. Ci sono molte camionette cariche di miliziani in giro». La gente ha fatto scorte alimentari? «No, i negozi sono ancora pieni. Anzi la valuta locale ha guadagnato: prima ci volevan o 70 mila afghani per un dollaro, ora 63 mila». Com' è la vita a Kabul? «Normale. Almeno il 40% della popolazione è scappato. Certo, non c' è acqua, né elettricità. Noi in ufficio usiamo il generatore. Un paio di settimane fa la situazione era molto più grave e i mercati vuoti. Ora c' è tutto, anche il carburante». E la giornalista inglese catturata dai talebani? «Vive in una villetta. I talebani trattano le donne con il dovuto rispetto». Siete controllati? «Nessuna sorveglianza particolare». E l' intransigenza dei talebani? «Anche durante il regime dei mujaheddin l' Islam era applicato con grande rigore. Non è cambiato nulla, almeno in termini di modernità dei costumi. Anche la moglie del comandante Massud indossava la burqa». Ha voglia di venir via? «Macché. Adesso viene il bello».



domenica , 07 ottobre 2001
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Aerei su Kabul, si scatenano le artiglierie

La capitale afghana sorvolata da due velivoli-spia statunitensi, ma Washington non conferma
Alberizzi massimo, Battistini Francesco

DAI NOSTRI INVIATI ISLAMABAD - Erano vent' anni che il cielo sopra Kabul non veniva tagliato da tanti colpi di con traerea. Ma i nervi sono tesi e sono bastati due piccoli aerei-spia a scatenare un quarto d' ora di fuoco, ieri alle 16. Due «Predator» bianchi senza pilota, modello simile a quello che gli afghani avevano abbattuto giorni fa e che ora conservano, pr imo trofeo, poggiato su sette bidoni arrugginiti. I «drone» hanno sorvolato la capitale a quota molto alta, irraggiungibili per i missili terra-aria: erano probabilmente americani, dicono i giornalisti della tv al-Jazira, i soli ammessi a Kabul, che hanno ripreso il cielo azzurro solcato dalle scie bianche dei reattori. Nessuna conferma da Washington (l' ultima volta, l' ammissione sull' aereo-spia è arrivata dopo due giorni), ma è difficile pensare altrimenti: gli antitalebani dell' Alleanza de l Nord dispongono solo di elicotteri. «Migliaia di persone si sono riversate in strada - racconta da Kabul il reporter siriano di al-Jazira Taisir Alluni, unico giornalista straniero cui è stato concesso di restare nella capitale afghana -. Più che s paventate, però, mi sembravano divertite dall' insolito spettacolo. La reazione della contraerea è stata rapidissima, segno che era all' erta». Tutto l' Afghanistan è nell' obiettivo di aerei-spia, sullo schermo di potentissimi radar. Dalla base mili tare di Vanderberg, in California, è stato lanciato un nuovo satellite (il cui costo si aggira intorno a 1,3 miliardi di dollari) che dovrà inviare ogni informazione possibile sulle montagne che nascondono Bin Laden. Washington non gradisce però che circolino troppe immagini su quel che accade laggiù, e dopo l' «incidente» sono piovute nuove accuse ad al-Jazira, accusata (come furono la Cnn a Bagdad e la Bbc in Kosovo) di «fare il gioco dei talebani». E' un' ossessione, scrutare il cielo. Tanto che il maulana pakistano Fazlur Rehman, infiammando a Peshawar gli studenti della madrassa Ahhaqina, ha per la prima volta indicato ai suoi gli obiettivi da colpire: «Se vedete un aereo americano sul suolo del Pakistan, il vostro dovere è distruggerl o!». Di aerei parla anche il mullah Omar, di quelli su New York e Washington per l' occasione: «Coloro che hanno compiuto gli attacchi in America - dice - non hanno lasciato tracce. Chi sarebbe tanto pazzo da suicidarsi, però? Nessuno si toglierebbe la vita su ordine di un altro o per gli scopi e gli interessi di altri». Proteggere Osama Bin Laden, sempre e comunque: «Gli americani dovrebbero rendere pubblici questi documenti su Bin Laden - rincara il console a Karachi, Rahmatullah Kakzada - inv ece di mostrarli solo a certi alleati. Non abbiamo obiezioni al fatto che le mostrino ai pakistani. Ma Bin Laden è da noi: perché non riceviamo lo stesso dossier?». Dal cielo, però, non arrivano solo minacce. Dal Giappone, atterrano sei C-130 con gli aiuti per l' Afghanistan affamato. Ma agli americani, che ogni mese inviano nel Paese «nemico» 20-30mila tonnellate di cibo, i talebani fanno sapere che di paracadutare i pacchi non se ne parla proprio, «perché tutte le vie di trasporto interne sono sicure» (piccolo particolare: alle frontiere non passa praticamente nessuno). Su un aereo finiranno presto anche gli 89 membri di organizzazioni umanitarie che, sembra, il dossier Osama indica come possibili fiancheggiatori di Al Qaeda. Massimo A. A lberizzi, Francesco Battistini



martedi , 09 ottobre 2001
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Migliaia di civili in fuga prigionieri nella terra di nessuno

«Da un parte ci sono i talebani, dall' altra le bombe degli americani. Ma una volta in Pakistan siamo condannati a restare clandestini»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR (Pakistan) - Con i raid americani è ricominciata la grande fuga dalle città dell' Afghanistan. Le frontiere però sono chiuse e la gente è spaventata dai possibili errori dei missili «intelligenti». «Molti si sono rifugiati sulle montagne qua intorno - dice un commerciante di Kabul raggiunto al telefono dal Corriere -. Altri hanno preso la via del Pakistan. Ieri mattina però le autorità talebane hanno chiuso la strada che dalla capitale va verso Jalalabad e poi raggiunge la frontiera al passo Khyber. Fuggire dal Paese è diventato ancora più difficile». Per passare il confine i profughi sono costretti a lunghi e difficili percorsi alternativi sui monti (ce ne sono almeno 120), ma alla fine riescono a raggiungere Peshawar. Ieri alcuni di loro, appena arrivati, erano stipati alle fermate degli autobus in attesa di entrare nella città e raggiungere gli uffici dell' Unhc r, l' Alto Commissariato dell' Onu per i rifugiati. Sono tutti clandestini e hanno il terrore di essere individuati dalla polizia pakistana e rimandati indietro. «Ci troviamo tra l' incudine e il martello - dice Quadratullah, un giovanotto barbuto co me ordina la severa legge degli studenti islamici dell' Afghanistan -. Da una parte ci sono i talebani e dall' altra le bombe degli americani. Se poi gli uomini dell' Alleanza del Nord dovessero sfondare le linee governative ed entrare a Kabul si ris chierebbe la carneficina. No, meglio andar via. Resterò qui finché la guerra non sarà finita. Poi intendo rientrare a Kabul. La mia famiglia è rimasta lì». Davanti agli uffici dell' Unhcr a Peshawar ieri mattina c' era la solita fila di un centinaio di persone in attesa di registrazione. Un funzionario spiegava loro pazientemente: «Non possiamo registrarvi, il governo non ce lo consente più. Le frontiere sono chiuse e voi non avreste potuto arrivare. Dovete restare clandestini». Molti in Pakista n hanno parenti o amici. Il calvario lo affrontano quelli che non hanno nessuno. Per loro l' accesso ai campi profughi è vietato. «Non può continuare così - spiega Peter Kessler, portavoce dell' Unhcr -. Temiamo che alla frontiera premerà un milione di profughi. Il Pakistan dovrà decidersi ad aprire il confine». Il governo di Islamabad, che finora ha accolto 2 milioni di profughi afghani, sembra però riluttante. Pressato dall' Unhcr che teme una catastrofe umanitaria, ha acconsentito a individua re una trentina di siti dove piazzare nuovi campi profughi. Si tratta di località in mezzo alle montagne, in zone dove scavare dei pozzi diventa un' impresa ciclopica, giacché l' acqua si trova anche a un chilometro di profondità. Il paesaggio poi è secco, brullo e inospitale. Un paesaggio lunare, regno di scorpioni e serpenti. «Questi posti non vanno bene - impreca Peter Kessler -. Sono irraggiungibili dai nostri colleghi non pakistani che devono chiedere un permesso quotidiano per raggiungerli e non possono poi neanche dormir lì. Nei prossimi giorni, se i raid continueranno, la massa in fuga aumenterà. Dove sarà messa tutta questa gente?». Tra un paio di settimane comincerà l' inverno e tra un mese le rigide temperature non saranno più so pportabili in una tenda di fortuna. «Ci servono 270 milioni di euro di cui 50 immediatamente - sospira Kessler -. Molti Paesi ci hanno promesso un aiuto ma finora non abbiamo visto nulla».



martedi , 09 ottobre 2001
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Kabul libera la reporter «Ora vado da mia

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR (Pakistan) - Nonostante i bombardamenti americani, gli studenti islamici hanno mantenuto la parola: Yvonne Ridley, la giornalista inglese arresta ta il 28 settembre in Afghanistan perché entrata clandestinamente avvolta da una burqa, è stata rilasciata ieri al posto di frontiera di Torkham, sul passo Khyber. La reporter del Sunday Express è arrivata su una camionetta scortata da un piccolo con tingente di talebani, ha passato il controllo di polizia ed è salita su un veicolo dell' esercito pakistano. Ad attenderla non c' era nessun diplomatico britannico. E' rimasta a Peshawar solo qualche minuto, il tempo di rinfrescarsi in una guest hous e del ministero degli Esteri, e poi è stata portata a Islamabad dove oggi prenderà il primo volo per l' Europa: «Non vedo l' ora di riabbracciare mia figlia Daisy», ha detto la 43enne Ridley, apparsa, solo per qualche momento, in un filmato della tel evisione pakistana avvolta in un chador. Yvonne il 26 settembre era entrata clandestinamente in Afghanistan con l' aiuto di due guide locali. Aveva potuto spostarsi per due giorni senza essere scoperta poi, pochi chilometri prima di Jalalabad, era st ata arrestata dalla polizia segreta. M. A. A.



venerdi , 12 ottobre 2001
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L' accusa da Kabul: «Muoiono solo i civili»

Secondo i dati forniti dai talebani, sono oltre trecento le vittime dei bombardamenti. Aerei Usa in Pakistan

DAI NOSTRI INVIATI ISLAMABAD - Due date, centinaia di morti, un Paese sull' orlo del golpe. «Endu ring freedom», libertà duratura, è una danza macabra di ricorrenze e di cifre: un mese dopo le vittime in America, 11 settembre 2001, due anni dopo il golpe che portò Musharraf al potere, 12 ottobre 1999, i primi risultati sono un Afghanistan che con ta troppi morti e un Pakistan, di fatto, sotto legge marziale. Dal fumo e dalle immagini lontane del quinto giorno di bombardamenti, dalle notizie poco verificabili sull' emirato talebano, una sensazione fra tutte: i civili muoiono come mosche. Più d i 300 vittime finora, dice Kabul. Oltre 500, stimano i militari pakistani. Donne, vecchi, bambini: Al Jazira, la tv del Qatar, ha diffuso immagini di piccoli feriti e in lacrime all' ospedale di Jalalabad. A Kouram, villaggio vicino proprio a Jalalab ad, l' ambasciatore afghano Abdul Zaeef dice che è stata una strage: un centinaio di morti. Altri cinquanta, si stanno disseppellendo fra le macerie d' un paese colpito nei giorni scorsi, sostiene l' agenzia afghana Aip, per la quale nelle ultime 24 ore sono rimaste uccise 140 persone. «Non c' è paragone fra quel che è successo a New York e quanto stanno distruggendo qui», commenta Al Jazira. Mercoledì notte, a 15 chilometri sempre da Jalalabad, sarebbe stata colpita la moschea di Surkhrod. I ta lebani stanno sopportando pesanti perdite, dice la Cnn: nelle incursioni di domenica sarebbero rimasti uccisi a Kabul anche diversi capi del regime. Mareh, quartiere residenziale della capitale, è completamente distrutto. I poveracci fuggono da Kanda har, la roccaforte del mullah Omar, 15 morti dichiarati ieri, la città più martellata con Kabul: i due aeroporti sono da cento ore il bersaglio principale dei raid, una bambina è stata uccisa da una scheggia. «Ho visto gente - dice Abdul Gharrar, pro fugo arrivato ieri alla frontiera di Chaman - che correva senza neanche voltarsi a guardare quel che lasciava». Osama Bin Laden, no. Lui è al riparo e «sta bene», rassicurano quotidianamente i talebani che, fino a una settimana fa, dicevano di poterl o contattare a fatica. Per riparare alla gaffe di mercoledì, quando un mullah invitò lo sceicco a scatenare la sua jihad, Zaeef precisa che Osama non può (e forse nemmeno vuole) usare telefoni, fax, Internet. Questo non impedisce al Grande Latitante di lanciare nuovi proclami, forse non proprio genuini, attraverso agenzie kuwaitiane che citano misconosciuti giornali urdu. Stavolta l' appello è ai «fratelli» pakistani, all' unico Paese islamico che possieda l' atomica: «Il Pakistan è terra sacra e dimora d' un popolo puro. Questa gente mi proteggerà senza paura per la vita. Siete una grande speranza per i musulmani di tutto il mondo, siete pronti a combattere contro i nemici dell' Islam». Per scongiurare il pericolo il presidente pakistano P ervez Musharraf ha vietato da oggi, giorno di preghiera, qualunque manifestazione di piazza: chi ci prova, rischia l' accusa di terrorismo e una condanna dai 14 anni alla pena di morte. Le voci di golpe non si placano, a Islamabad. Sette generali anz iani mediano fra Musharraf e il potente generale ribelle Mehmood Ahmed, che il presidente ha silurato poco prima dell' attacco. Un dossier dell' Fbi accusa Mehmood d' avere dato 100 mila dollari, circa 220 milioni di lire (pari a 113 mila euro) a Moh ammed Atta, uno dei kamikaze di New York, tramite il terrorista-spia Ahmed Umar Saeed Sheikh, passaporto britannico e studi alla London School of Economics, un tale che nel dicembre ' 99 dirottò un volo su Kandahar dell' Indian Airlines e venne inspi egabilmente rilasciato da New Delhi. Il denaro, versato dalla Efkary Bank, banca dei militari pakistani, fu girato ad Atta su un conto di New York, città dove il generale Mehmood si trovava il giorno dell' attacco alle Torri Gemelle. Con il barbuto M uazzafar Usmani, vicecapo di stato maggiore lui pure silurato, Mehmood controlla l' ala ultraislamica dell' esercito e accusa Musharraf d' avere svenduto agli Usa le basi pakistane. Vero: i C-130 americani continuano ad atterrare a Jacobadad, al sud, e a Zuabe, vicino a Quetta. Possono trasportare dai 50 agli 80 uomini ciascuno e se qualcosa significano le 500 paia di sandali richieste dalla Us Air Force ai colleghi pakistani, è probabile che questo sia il numero dei soldati già sbarcati. Del re sto «la vera guerra comincerà solo quando l' America entrerà in Afghanistan», promettono i talebani, e la data sembra avvicinarsi. A Islamabad, da fonti del ministero degli Esteri, si dà per certo che almeno 9 «commandos» della Delta Force hanno inga ggiato violenti scontri a fuoco con truppe afghane. E la domanda di queste ore è: che fine ha fatto la contraerea talebana? Un portavoce di Omar dice che la dotazione di terra è completamente a pezzi. Ma da Kabul c' è chi racconta un' altra verità: m olte batterie antiaeree, montate su camion, sono nascoste nei sotterranei delle città principali. Pronte a una risposta che non arriva mai.Francesco Battistini



mercoledi, 17 ottobre 2001
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Kashmir, la mediazione «impossibile»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR - Mentre il segretario di Stato americano Colin Powell prometteva al presidente pakistano Pervez Musharraf di risolvere pacificamente il contenzioso s ul Kashmir, che divide Pakistan e India, nel territorio conteso, per il secondo giorno consecutivo, le truppe dei due Paesi si sono date battaglia. Agli scambi d' artiglieria, nelle zone della frontiera vicino a Ankhnoor e Mendar - i più violenti da almeno un anno - sono seguiti scambi di accuse che dimostrano come sia difficile trovare una soluzione al problema. Ieri una granata è stata lanciata da terroristi islamici nel mercato di Kulgam, poco a sud di Srinagar, provocando la morte di una per sona e il ferimento di altre 29 mentre nel centro della capitale del Kashmir indiano un' altra bomba ha mancato l' obiettivo - una pattuglia della polizia - e ha ferito 15 passanti. L' escalation di questi giorni mostra quanto il tentativo americano di far da paciere sia complicato. A nulla è valso l' appello del segretario di Stato che aveva invitato India e Pakistan a raffreddare la tensione durante le operazioni in Afghanistan («e per quanto mi riguarda per sempre», aveva aggiunto). Per le lo ro operazioni contro i talebani e i terroristi di Osama Bin Laden, gli americani hanno bisogno dell' aiuto sia di Islamabad sia di New Dehli. Hanno per questo promesso finalmente di occuparsi del problema. Ma mentre il Pakistan parla di occupazione i llegale di un territorio che gli appartiene, l' India accusa i nemici di sostenere i guerriglieri separatisti e per questo vuole inserire il problema Kashmir nell' agenda della lotta al terrorismo. Ma New Dehli e Islamabad si sono scontrati anche sul lo scacchiere afghano. Quando gli indiani sostenevano i regimi filosovietici, i pakistani finanziavano i mujaheddin. Poi i pakistani hanno creato, organizzato e finanziato i talebani e gli indiani si sono schierati con i mujaheddin dell' Alleanza del Nord. M.A.A.



mercoledi, 17 ottobre 2001
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La radio è muta, la gente di Kabul cerca notizie al bazar

«Siamo confusi e avviliti. Il regime ci martella con la propaganda»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI PESHAWAR - In mancanza di giornali e radio - la televisione è stata a bolita da un pezzo - la gente di Kabul si affida alle voci che circolano nel bazar. Un bazar ormai poverissimo, ma ancora frequentato per conoscere le ultime notizie. Ieri a Peshawar è arrivato dalla capitale afghana un gruppo di commercianti. Hanno acquistato derrate alimentari da trasferire a Kabul. «Portiamo poche cose essenziali: farina, frutta, legumi secchi - spiega Walid Khan, l' unico di loro che parla un po' di inglese -. Tutti hanno paura dei missili. Una volta il bazar era pieno di pe rsone che discutevano, chiacchieravano, ridevano. Ora per i vicoli c' è un silenzio irreale; pochi i capannelli di gente, scomparsi i sorrisi». Walid descrive così i sentimenti della popolazione di Kabul: «Nessuno sa bene chi sia Osama Bin Laden, cos a rappresenti, di cosa sia accusato, ma nessuno sa neppure chi sia il capo spirituale dei talebani, il mullah Omar, che faccia abbia, né la politica del suo governo. La propaganda è forte, la gente ubbidisce senza capire. La paura impedisce a tutti d i chiedersi il perché di quanto sta accadendo. Gli afghani sono schiacciati tra i talebani da una parte e le bombe americane dall' altra. Non vedono nessuna via di uscita. In testa hanno una gran confusione. Odiano tutti: Stati Uniti, talebani, Osama ». Il cibo lanciato dagli americani viene bruciato: «I talebani hanno messo in giro la voce che sia un trucco: le razioni sono avvelenate». Secondo «radio bazar» i talebani sono divisi in tre fazioni tenute insieme da un filo che sta per spezzarsi: c ' è il gruppo che sostiene mullah Omar, formato da quelli che hanno studiato nelle madrasse pakistane, quello legato a Osama, arabi, stranieri in genere e gli afghani da loro addestrati, e infine i sostenitori del re. «Su questi ultimi puntano gli am ericani - dice Walid -. Si tratta di un gruppo di capitribù, di anziani, di qualche comandante, tutti pashtun. Avevano a suo tempo appoggiato i talebani perché portavano la pace e avevano promesso democrazia. Ma non si aspettavano un regime disumano e ora sono pronti a unirsi agli americani. Abitano nelle zone orientali, guarda caso, quelle che non sono state bombardate dai raid». «I talebani sono fanatici - continua -. Non capiscono che per loro è finita. Entrano nelle case rovistano dappertutt o. Cercano già gli americani perché la loro propaganda li martella: catturatene uno e il paradiso è assicurato».



venerdi , 19 ottobre 2001
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«Qui radio Usa. Popolo afghano vi siamo amici»

Ma gli americani sbagliano tono

DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR - La musica è tornata nelle case afghane. A diffonderla è la radio militare americana che trasmette da bordo di un aereo EC-130 da mercoledì in volo quasi perenne sul territorio del Paese. Non solo musica ma anche, e soprattutto, propaganda nelle due lingue più usate in Afghanistan: pashtun e farsi. Da Peshawar la radio si può ascoltare con facilità e i rifugiati sanno, a meno di 24 ore dall ' inizio delle trasmissioni, su quale frequenza sintonizzarsi. Il Corriere l' ha monitorata ieri sera. «Radio Informazione» tra i giornalisti stranieri è già stata ribattezzata «Good Morning Afghanistan», ricordando quella in azione in Vietnam 30 ann i fa. Stavolta ad aprire le trasmissioni non c' è Armstrong, bensì una musichetta afghana fatta di sitar e tamburelli. «E' la musica che suonavamo durante i nostri i matrimoni e le feste popolari - spiega Quadratullah profugo in Pakistan da un paio d ' anni -. I talebani hanno vietato anche quella. Ma, penso, sarebbe meglio che trasmettessero musica afghana moderna e non tradizionale». Un po' come se da noi, per accattivarsi le simpatie del pubblico, una radio trasmettesse «Quel mazzolin di fiori » invece degli «883». Ride il commerciante afghano Noor Ahmed nel cui ufficio è stata organizzata la riunione per ascoltare la radio: «L' uomo che parla ai microfoni dovrebbe essere rassicurante e entusiasmarci, invece ci inquieta. Non lascia tradire una minima emozione. Gli americani sbagliano proprio tutto». Gli annunci sono ripetuti alternativamente prima in farsi e poi in pashtun, il nastro dura un' ora e poi ricomincia: «Basta sentirlo una volta e poi si può spegnere la radio per sempre - s ostiene Kawoos -. Speriamo che domani trasmettano qualcosa di diverso». La radio vuole creare un clima di solidarietà tra la coalizione internazionale e la popolazione afghana, spiega il perché dell' intervento alleato e dà istruzioni su come comport arsi: «State lontani da strade, ponti e cercate un riparo se incontrate soldati americani o vedete aerei. Il posto più sicuro dove rifugiarvi è la vostra casa. Non ascoltate i consigli di Al Qaeda o dei talebani». L' emittente sottolinea l' importanz a dei lanci di cibo e medicinali e fornisce informazioni su come raccogliere, distribuire e utilizzare i pacchetti che piovono dal cielo: «Vi vogliamo dimostrare che la coalizione vi vuole aiutare come veri e propri amici». La radio è la seconda cart a giocata dalla «Psyops», la sezione dell' esercito che si occupa della guerra psicologica, dopo il lancio di volantini per fare controinformazione.Da tre giorni un aereo militare EC-130 sorvola il Paese e trasmette appelli come accadeva trent' anni fa in Vietnam Il commento dei rifugiati a Peshawar: «La musica è quella dei nostri matrimoni, ma la voce è da funerale» L' IDENTITA' I VOSTRI TIRANNI NON SONO VERI ISLAMICI Nobile popolo afghano. Oggi per voi è un giorno di lutto. La vostra storia e la vostra cultura stanno per essere distrutte. I talebani cancellano il vostro passato per nascondervi la verità. Hanno abbattuto i monumenti storici e religiosi per insinuare la loro aberrante forma di Is lam. Resistete e incoraggiate chi conoscete a resistere IL MARTIRIO VI IMMOLANO E IL MULLAH OMAR SI GODE I LUSSI I talebani vi dicono che morire per la loro fanatica forma di Islam è coraggioso e nobile. Vi incoraggiano al martirio ma in realtà sono codardi e si nascondono dietro famiglie e contadini. Se morire per questo Islam è nobile, perché il mullah Omar non va al fronte? Lui si gode le sue case di lusso e le sue mogli mentre a voi viene chiesto di morire L' OBIETTIVO NON SIETE VOI NEL MIRI NO MA QUEI FANATICI Non siete voi l' obiettivo, onorevole popolo dell' Afghanistan, ma coloro che vorrebbero opprimervi, piegarvi alla loro volontà e rendervi schiavi. Questi terroristi minano la vostra economia e i vostri diritti. Ma la battaglia co ntro questi fanatici che si nutrono del sangue della gente afghana non può essere vinta senza il vostro aiuto LE ISTRUZIONI RESTATE A CASA. PONTI E STRADE SONO A RISCHIO Non vogliamo farvi del male, popolo innocente dell' Afghanistan. State lontani d alle installazioni militari, dagli edifici governativi, dai campi dei terroristi, dalle fabbriche, dalle strade e dai ponti. Se siete vicini a questi luoghi, allontanatevi subito, sono un obiettivo. La vostra casa è il posto più sicuro. Non vi faremo del male se rispettate queste istruzioni L' ATTACCO A TERRA NON INTERFERITE CON LE OPERAZIONI DELLE TRUPPE Attenzione! Popolo afghano, l' esercito degli Stati Uniti si sposterà nella zona. Noi non siamo qui per farvi del male, ma per Bin Laden e Al Qaeda. Per favore, non interferite con le operazioni. Non avvicinatevi ai soldati americani. State in casa! Se vedete truppe americane dovete cercare un riparo e non lasciatelo fino a quando non abbiamo abbandonato l' area AI TALEBANI CON LE MANI ALZ ATE DAVANTI AI NOSTRI MARINES Attenzione talebani! Voi siete condannati. Lo sapevate? Avete solo una scelta... arrendetevi ora e vi daremo una seconda possibilità. Vi lasceremo vivere, se vi arrendete non vi faremo del male. Avvicinatevi alle truppe americane con le mani alzate. Gettate le armi da dietro la schiena con la canna rivolta verso terra. Rimuovete il caricatore e tutti i proiettili L' 11 SETTEMBRE HANNO UCCISO ANCHE UNA BIMBA: PERCHE' ? L' 11 settembre migliaia di persone sono state u ccise negli Stati Uniti. Tra di loro una bambina di due anni. La piccola camminava appena e non sapeva ancora vestirsi da sola. Si meritava di morire? Che crimine aveva commesso? Era semplicemente in viaggio con la sua famiglia. Poliziotti, pompieri, madri e padri... tutti ammazzati: PERCHE' ? LA PROMESSA VI RISPETTIAMO E VI DISTURBEREMO IL MENO POSSIBILE L' esercito americano non vuole vedere inutili perdite di vite umane. Non vogliamo occupare la vostra nazione ma restituirla ai legittimi prop rietari: il popolo afghano. Vogliamo assistere al ritorno della prosperità nel vostro Paese. Capiamo che la vostra tradizione e la vostra cultura sono importanti e desideriamo disturbarvi il meno possibile



domenica , 21 ottobre 2001
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E nella retrovia di Peshawar si prepara il dopoguerra a suon di dollari

DAI NOSTRI INVIATI PESHAWAR - E' il ritorno degli ex mujaheddin, dei capi guerriglia, dei vecchi comandanti pronti a riprendere le armi per ent rare nel «grande gioco» in cui si deciderà il futuro dell' Afghanistan. Nelle retrovie di Peshawar, alla frontiera pakistana, riappaiono - come negli anni Ottanta - gruppi e fazioni decisi ad approfittare della campagna militare americana per affossa re il regime dei talebani, ma soprattutto per garantirsi un ruolo in un prossimo governo del Paese. E' un nuovo fronte in maggioranza pashtun, nutrito di esuli e oppositori, che si differenzia dall' Alleanza del Nord con il suo mosaico di litigiose e tnie. Uno schieramento con un unico referente: re Zahir Shah, l' ex monarca esiliato a Roma, attorno al quale si continuano a tessere le alleanze più varie. L' ultimo leader tornato sulla ribalta di Peshawar si chiama Haji Mohammed Zaman. Ha 44 anni, due mogli, dieci figli e un passato sulle trincee antisovietiche. E' rientrato da Parigi per rifondare l' esercito del re, mettendo assieme i vecchi capi militari della sua provincia, quella di Nangarhar nell' Est dell' Afghanistan, e altri seguaci nelle regioni di Kunan, Nooristan, Laghman, dove i talebani sono più deboli. «Ho contatti con 160 comandanti, tutti disposti a combattere contro gli integralisti - spiega, accovacciato su un tappeto -. Abbiamo appena raggiunto un accordo per unificar e le differenti fazioni. Ma prima di passare alle armi ci proponiamo un altro obiettivo: parlare con i talebani, chiedere loro che si arrendano». Il progetto è nato a Roma, a fine settembre, durante la riunione nella quale re Zahir Shah ha incontrato esponenti dell' opposizione afghana assieme ad alcuni membri dell' Alleanza del Nord. «Il patto è chiaro: creare un primo gabinetto che comprenda esponenti di vari gruppi». Non è la loya jirga di cui si parla tanto, l' antico consiglio supremo, ma l ' abbozzo di un futuro governo trasversale. Amici e nemici, tutti attorno a un tavolo? Il re negozia con l' Alleanza del Nord, mentre i pashtun sgomitano per avere la loro parte. E anche i talebani, perché no? La novità, nel gioco delle alleanze, è p roprio questa: individuare le ali «moderate» con cui poter trattare e alle quali offrire future responsabilità. Il ministro degli esteri Muttawakil? Il capo delle operazioni militari Jaluddin Haqqani? A Peshawar si hanno idee diverse sul ruolo dei fo ndamentalisti. Zaman non si perde in dettagli: «A Kabul ci sono migliaia di studenti coranici pronti a rovesciare il regime». Riunioni pubbliche, contatti segreti, trame all' ombra degli americani. A Peshawar passa di tutto in questi giorni. Ma ancor a una volta si aspetta che siano gli Stati Uniti a legittimare azioni «parallele» contro il regime di Kabul. Denaro e armi, in altre parole. Ogni gruppo cerca di accaparrarsi la sua parte. Per il momento, è solo un' attesa: «Ho incontrato sia esponen ti del congresso americano sia del Pentagono - dice Mohammed Zaman -. Tante promesse, ma non abbiamo ancora ricevuto un soldo». Qualcosa sarebbe invece già arrivato nelle mani di un altro veterano della Jihad, il comandante Abdul Haq, eroe di guerra con un piede perso in battaglia, residenza e affari miliardari a Dubai. Anche lui recluta combattenti, tratta con i dissidenti, prepara la fronda ai talebani. Il suo piano d' intervento, una rivolta nazionale fomentata dal basso, è stato tradito dai bombardamenti statunitensi: «Stavamo procedendo velocemente», dice. Abdul Haq nega di aspirare alla carica di primo ministro, così come di aver ricevuto soldi dall' America: «Hanno detto che sono stato pagato da Washington, dall' intelligence pakista na, dall' Iran. La verità è che non ho visto un centesimo, mentre le bombe occidentali sui talebani rischiano di creare nuovi consensi attorno al regime». Anche lui è amico del re. Anche lui è convinto che bisogna creare una struttura politica sulla quale fondare un nuovo esercito. Ma l' ordine è di aspettare. La rete degli oppositori è fittissima. Amici, nemici, non ha importanza. Tutti assieme in attesa del banchetto finale. Gruppi e fazioni, con la benedizione di anziani e capi tribali, inten sificano le attività diplomatiche sulla rotta Roma-Peshawar. Ancora il re. Dopo la delegazione inviata da Zahir Shah in Pakistan nei giorni scorsi, oggi sono gli afghani a muoversi. Un gruppo di monarchici arriva in Italia a trattare con il vecchio s ovrano.Maria Grazia Cutuli



domenica , 11 novembre 2001
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Il ritorno di Gino Strada: «Qui è tutto uno sfacelo»

«Lungo la strada verso il Sud del Paese ho visto decine di corpi orribilmente dilaniati» «La gente ha paura che quando la guerra arriverà nella città possano ripetersi i massacri del ' 92»

L' ospedale di Emergency riprende l' attività nella capitale afghana. Il chirurgo che ha fondato l' organizzazione: «Molti morti e feriti civili» Il ritorno di Gino Strada: «Qui è tutto uno sfacelo» L' ospedale dell' organizzazione umanitaria italian a Emergency, a Kabul, sebbene sia chiuso da diversi mesi, è in ottime condizioni e stamattina ricomincerà l' attività normale. Il fondatore Gino Strada, chirurgo di guerra milanese, la sua infermiera, Kate Rowland, inglese innamorata dell' Afghanista n, e il loro aiutante locale, Koko Jalil, ce l' hanno fatta: sono riusciti a entrare nella capitale piegando le resistenze dei talebani che fino a ieri avevano negato loro il visto. Gino, Kate e Koko sono arrivati nel tardo pomeriggio e sono tra i po chissimi occidentali ammessi nel Paese dal regime degli studenti islamici. «A parte il nostro ospedale - racconta al telefono satellitare Gino Strada - qui è tutto uno sfacelo. Abbiamo visitato altri centri sanitari locali e non c' è niente: né medic ine, né cibo per i feriti e gli ammalati ricoverati. Forse solo all' ospedale militare, che conta 400 letti, si può trovare qualcosa. Ma è riservato ai talebani e la gente civile non può andarci». Per arrivare a Kabul l' équipe di Emergency ha attrav ersato le linee del fronte che a Bagram separano i talebani dai mujaheddin dell' Alleanza del Nord. E' la strada più diretta, chiusa da sempre. Le trattative per consentire il passaggio sono state lunghissime e delicate e hanno coinvolto anche «i con siglieri americani» presenti nel territorio dell' Alleanza. Hanno voluto sapere tutti i dettagli del viaggio, compresi modello e colore delle auto. Il piccolo gruppo è partito alle sette del mattino da Anabah, ai margini della valle del Panshir, ma, una volta al fronte, ha dovuto attendere quattro ore un improbabile cessate il fuoco per poter passare. «Non si mettevano d' accordo su chi dovesse smettere di sparare per primo - dice il chirurgo -. Una volta raggiunta la tregua sono intervenuti i b ombardieri americani e così abbiamo perso altro tempo. Durante il tragitto ho contato parecchi cadaveri sul ciglio della strada. Nel corso di una sosta ci siamo avventurati a piedi in un villaggio e abbiamo visto una decina di corpi smembrati. E' sta to uno spettacolo raccapricciante per tutti noi che pure siamo abituati a vedere corpi dilaniati da bombe». «Non ho avuto tempo di fare lunghe conversazioni - continua Strada -, ma mi pare che la popolazione di Kabul ora nutra sentimenti fortemente a ntiamericani. I bombardamenti non sono stati mirati, come si vuol far credere, e i civili ne subiscono le conseguenze. I morti e i feriti sono tanti. La preoccupazione più grossa della gente ora è quella che possa ripetersi la battaglia di Kabul del 1992, quando i mujaheddin presero la città cacciando il regime filosovietico di Najibullah. Allora i combattimenti durarono alcuni giorni e si svolsero strada per strada. Ci fu un saccheggio generale e furono tanti quelli che furono trucidati. Una re plica significherebbe una tragedia superiore ai bombardamenti di questi giorni. Bisogna evitarla ad ogni costo». Ad ogni modo, un' offensiva dei mujaheddin sulla capitale non gli sembra imminente: «I fattori di cui bisogna tener conto sono tanti e la maggior parte di essi dipende dall' atteggiamento americano. Se Washington decidesse di bombardare pesantemente le prime linee talebane certo gli uomini dell' Alleanza potrebbero entrare a Kabul in poche ore. Finora però non l' ha fatto».

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Maria Grazia Cutuli
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Farewell, good ol' Marjan...
The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself

Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope.  However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]

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