Postcards From Afghanistan: Bamiyan, la Valle dei Fantasmi
DEATH OF A HERO
Ahmed Shah Massud
> TRIBUTEWi> INTERVIEW
> MESSAGE TO THE
PEOPLE OF THE USA

NEW YORK, NEW YORK!
Tribute to
a defaced city
FAREWELL MARJAN...
Marjan, the one-eyed lone
lion is no longer the king of
Kabul zoo
PICTURES from the grenade attack!
Dear Visitors, these next pages are a heartful tribute to Maria Grazia Cutuli, sweetest friend, valued travelmate and skillful writer for Corriere della Sera, major italian newspaper, who was ambushed and killed by unknown assailants on November 19 2001, while traveling from Jalalabad to Kabul (Afghanistan) together with colleagues Julio Fuentes (spanish newspaper El Mundo), Harry Burton and Hazizullah Haidari (cameraman and photographer, Reuters).
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BAMIYAN, LA VALLE DEI FANTASMI (27 Marzo 2001)
>Maria Grazia Cutuli
copyright and courtesy of Corriere della Sera

460319 Anti-Taleban coalition fighter on a hill post in Bamiyan

DAL NOSTRO INVIATO A BAMIYAN (Afghanistan) - Una jeep dai vetri neri taglia il piazzale polveroso che si apre davanti all’aeroporto di Kabul. Isakhan, 26 anni, si aggiusta il turbante di seta grigia sulla testa e sfoggia un sorriso vagamente mefistofelico. «Il portavoce del ministero è arrivato - annuncia -. Adesso partiamo davvero». Il giovane funzionario dei Talebani, direttore del Kabul Time , unico giornale di lingua inglese dell’Afghanistan - interprete quando occorre, negoziatore in questo caso - ha raggiunto uno dei successi più importanti della sua carriera: dopo una settimana di spola tra il ministero degli Esteri, della Cultura e della Difesa, vale a dire tra le anime moderate e oltranziste del regime, è riuscito a organizzare il primo viaggio della stampa straniera nei territori proibiti di Bamiyan. L’arrivo di Faiz Ahmed Faiz, il grassoccio portavoce degli Esteri, suggella i suoi sforzi: «Non è vero che a Bamiyan si combatte - dice Isakhan, con gli occhi neri che mandano lampi di soddisfazione -. La regione è sicura».
La valle dove sono stati distrutti i due Buddha giganti non è una vergogna da nascondere. Il grande palcoscenico della «sharìa», la legge coranica, nella sua interpretazione più estrema. Il patibolo dei simboli di una cultura millenaria e una religione nemica. I Talebani, gli «studenti coranici» che controllano il 90% dell’Afghanistan, hanno deciso di aprirla a pochi giornalisti per mostrare che l'editto emanato il 26 febbraio contro le statue preislamiche è stato rispettato, che tutti gli «idoli» sono stati abbattuti, che il progetto integralista sostenuto in sei anni di offensiva militare e in quattro di governo non si arresta. Un corteo di interpreti, funzionari e miliziani si mette in moto in un vortice di scialli, zuccotti ricamati, stole lucenti e stracci verso la pista, dove un Antonov dell’Ariana, la compagnia di bandiera afghana, riscalda i motori in attesa di levarsi in volo. Dopo giorni di consultazioni, è stato stabilito che è il mezzo più sicuro per raggiungere Bamiyan. L’aereo è una carcassa che non vede un pezzo di ricambio da anni, ma in pochi minuti raggiunge le alte quote, sorvola il deserto a ovest di Kabul e punta verso le cime innevate dell’Hindu Kush. Un’ora dopo si incunea tra gole di montagna, sfiora una geologia primordiale fatta di rocce rosa, di crepacci ocra, di costruzioni di fango perduti nei fondovalle aridi dell’Hazarajat.
Bamiyan appare dall’alto, una distesa gialla delimitata da un costone traforato, e a poca distanza l’una dall’altra, due orbite vuote, le due nicchie che hanno ospitato per secoli i Buddha di pietra. Dalla pista sconquassata, sulla quale atterra l’Antonov, un altipiano a 2.500 metri d’altezza circondato da montagne, arrivano i toni sommessi di Faiz Ahmed Faiz, il portavoce del ministero degli Esteri: «Benvenuti a Bamiyan, una delle regioni dove i Talebani hanno portato pace e stabilità». Difficile credergli. Attorno ci sono solo volti rugosi di miliziani, armati di bazooka e kalashnikov. Sono «pashtun» reclutati dalle scuole coraniche, il nocciolo duro delle milizie integraliste. Più in basso si scorgono vecchi carri armati e un lanciarazzi, puntato verso le montagne per far fronte alle armate di Khalili, il capo di una delle fazioni Hazara che combatte con l’opposizione.
Anche i pick-up, pronti sulla pista per trasportare i visitatori ai piedi delle grandi nicchie, sono zeppi di munizioni e fucili.
La valle è deserta. «Gli abitanti sono scappati venti giorni fa - spiega l’autista - durante l'offensiva dell’opposizione». Si è combattuto anche ieri a Bamiyan. Ma la distruzione del villaggio e la fuga degli Hazara, un’etnia di fede sciita, è storia vecchia. Nel 1995, quando la regione era caduta in mano al comandante Massud, il grande nemico dei Talebani, avevamo visto case di fango vuote come adesso, i resti di antichi alloggi sventrati, i fortini minati e diroccati. L’unica differenza erano i Buddha, ieratici guardiani di questa valle della morte. I «mujaheddin» si erano arrampicati fin sopra la testa dei due colossi. Cantavano «Allah Akbar» al tramonto, mentre i traccianti illuminavano il cielo in segno di festa per la vittoria.
Oggi c’è poco da esultare. Le jeep si fermano ai piedi del grande costone, una gruviera di cappelle, di alloggi, di anfratti scavati nella roccia. I Buddha non esistono più. Al posto del più grande, 55 metri d’altezza, c’è come un bassorilievo impresso nella pietra, un’ombra che le cariche di dinamite non sono riuscite a cancellare, e una montagna di sassi. «Abbiamo visto tutto», dice uno dei Talebani, ma il comandante lo zittisce con il calcio del kalashnikov. «Ci hanno messo venti giorni a distruggerli - aggiunge un funzionario sottovoce -. È stato un lavoro duro e difficile».
Duecento metri più in là, si apre la nicchia del secondo Buddha, 35 metri d’altezza. Qui è rimasto qualcosa: sembra un drappo scolpito, un pezzo di gomito attaccato alla roccia. Qualche affresco si è salvato in una nicchia laterale, decorazioni blu su un fondo mattone sfregiate da iscrizioni in arabo, volte a botte e una scala nascosta dentro la roccia che portava fino in cima alla statua. Tornano in mente le descrizioni lette sui libri di storia: le influenze greche sulla foggia dei due Buddha, costruito il più piccolo attorno al II secolo d.C., l’altro tra il IV e il V, le lacche rosse e oro degli abiti, una distesa di «stupa» e di statue minori attorno al complesso architettonico che segnava il punto d’incrocio tra l’eredità alessandrina e la cultura buddhista. È terra di passaggio, Bamiyan, sosta per i mercanti che trasportavano ori, argenti, pietre preziose, ma anche grande crocevia di filosofi, artisti, missionari. Le invasioni musulmane tra il IX e l’XI secolo cancellarono il buddismo dalla valle, ma risparmiarono le due statue, limitandosi a sfregiare la parte superiore del viso.
Anche il «mullah» Omar, leader dei Talebani, arrivati nella valle nel 1997, aveva promesso che li avrebbe protetti. Poi, con un improvviso voltafaccia, ha emanato l’editto che li ha messi fuorilegge. Adesso a Bamiyan si dice che per abbattere il più grande dei due colossi siano state impiegate 14 tonnellate di dinamite. Altre voci parlano di quattro. Testimoni segreti inviati da archeologi stranieri, sostengono che la distruzione sarebbe cominciata il 15 marzo alle due del pomeriggio, e non subito dopo l’editto come i Talebani vorrebbero far credere, che gli Hazara avrebbero combattuto per fermarla e lo stesso comandante militare della valle per due settimane si sia rifiutato di procedere alla demolizione. La distruzione sarebbe stata opera di artificieri di un Paese islamico amico.
La decisione presa dai vertici del governo integralista ha spaccato i Talebani, rafforzando l’ala più radicale. Ma è stata veramente una reazione alle sanzioni votate a gennaio dall’Onu? Una sfida all’isolamento di un regime che continua a ospitare Osama Bin Laden, a reclutare e addestrare migliaia di combattenti islamici provenienti dalle fazioni più radicali dell’Algeria, dello Yemen, della Cecenia, fino alla Cina e alle Filippine? Sulla pista dell’aeroporto di Bamiyan, Faiz Ahmad Faiz ripete la sua litania: «La demolizione delle statue è un affare interno dell’Afghanistan. L’Occidente ha votato sanzioni che colpiscono solo noi e lasciano libera l’opposizione di armarsi e destabilizzare il Paese. Invece di criticarci per aver distrutto le statue, perché non ci viene incontro?» Nella logica dei Talebani il sacrificio delle statue era forse necessario per richiamare l'attenzione del mondo. Adesso il vento si è levato sull’altipiano. Le parole di Faiz sono sempre più deboli. Dalle macerie dei Buddha si alzano nuvole di polvere. Bamiyan è diventata la valle dei fantasmi.

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Maria Grazia Cutuli
sketch courtesy and © F.Sironi

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Farewell, good ol' Marjan...
The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself

Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope.  However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]

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