FAREWELL MARJAN... Marjan, the one-eyed lone
lion is no longer the king of
Kabul zoo
PICTURES from the grenade attack!
Dear Visitors, these next pages are a heartful tribute to Maria Grazia Cutuli, sweetest friend, valued travelmate and skillful writer for Corriere della Sera, major italian newspaper, who was ambushed and killed by unknown assailants on November 19 2001, while traveling from Jalalabad to Kabul (Afghanistan) together with colleagues Julio Fuentes (spanish newspaper El Mundo), Harry Burton and Hazizullah Haidari (cameraman and photographer, Reuters).
Le sculture, risalenti a duemila anni fa, scavate nella roccia.
L' esperto: ma il Corano non ordina l' abbattimento delle vestigia
I talebani non si fermano: assalto ai due Buddha
Afghanistan, gli integralisti eseguono la sentenza della Corte Suprema : eliminare le statue pre-islamiche
Hanno impiccato la gente negli stadi. Hanno tolto alle donne ogni diritto. Hanno strangolato un intero popolo con la furia dei loro editti. Da ieri i Talebani, le milizie integraliste che controllano il 90% dell' A fghanistan, hanno cominciato a devastare anche le memorie più antiche del Paese: i due Buddha giganti di Bamiyan, le preziosissime statue scavate nella roccia a 2.500 metri d' altezza. E con esse ogni altra scultura che risalga al periodo pre-islamico, ogni opera d' arte che raffiguri l' essere umano, ogni icona che violerebbe, secondo il mullah Omar, capo supremo dei Talebani, le prescrizioni della legge coranica. Non sono servite le proteste dell' Unesco, le pressioni della comunità internazio nale, le dichiarazioni di sdegno arrivate da ogni parte del mondo. La sentenza pronunciata lunedì dalla Corte suprema («Tutte le statue saranno distrutte», solo Allah sarà venerato) si è tradotta ieri in furia iconoclasta, vandalismo ideologico parag onabile, su scala più ridotta, all' opera di distruzione ordinata da Mao Zedong durante la rivoluzione culturale cinese. Gli agenti della polizia religiosa si sarebbero messi al lavoro all' alba, agli ordini del ministero per la Promozione della virt ù e la prevenzione del vizio, cominciando a setacciare la capitale Kabul e la città di Ghazni. Non si sa se siano effettivamente arrivate a Bamiyan. Ma le parole del ministro dell' Informazione, Quadratullah Jamal, lasciano poche speranze: «Nessuna s tatua sarà risparmiata, nemmeno i Buddha di Bamiyan». E' davvero l' atto finale di un sito archeologico considerato patrimonio dell' umanità? Bamiyan è un posto di incredibile bellezza, a 230 chilometri da Kabul, tagliato fuori dalle rotte turistiche da oltre vent' anni di guerra. Chiuso fra una catena di monti che la luce tagliente dell' Asia centrale colora di verde, di azzurro, di viola, accoglie una distesa di case di fango, protette da falesie rosa, nelle quali tra il II e il V secolo dopo Cristo vennero scolpiti i due Buddha: uno di 50 metri, il più alto della terra, l' altro di 35. Nell' antichità fu centro di preghiera lunga la Via della seta. Negli ultimi anni, solo una tormentata prima linea delle milizie che hanno fatto scempio d ella regione. Il viso dei due Buddha era stato sfregiato da antichi invasori, ma la guerra recente ha coperto di mitragliate i loro busti. Quando i talebani hanno conquistato Bamiyan nel 1998, i piedi delle statue erano stati trasformati in un deposi to per munizioni. E già allora i capi più facinorosi minacciavano la demolizione. Si era messo di mezzo l' Unesco e i Talebani avevano finito per rassicurare la comunità internazionale. Lunedì scorso, invece, l' editto che li mette fuori legge. Un gesto imperdonabile per gli stessi Paesi islamici: «I musulmani non hanno mai distrutto le statue in nessuno dei Paesi dove hanno governato - ha commentato ieri l' intellettuale egiziano Fahmi Ho weidi -. Questa decisione danneggia l' Islam». Una decisione che «ha scioccato» il direttore dell' Unesco Koichiro Matsuura, che ha sconcertato Russia, India, Thailandia, che ha suscitato le protese dell' Unione Europea e dell' Onu con un tentativo in extremis di fermare i Talebani. «Un segnale devastante », ha detto il sottosegretario agli Esteri Ugo Intini, in nome dell' Italia, che da tempo lavora a una soluzione del conflitto afgano. Di certo, il segnale che fra i Talebani prevale l' ala radicale. E che le sanzioni, votate di recente all' Onu per la protezione accordata dal regime a Osama Bin Laden, hanno solo esasperato la sfida dei guerrieri di Allah all' Occidente.
Maria Grazia Cutuli
NEL MIRINO Tesori, templi e monasteri Ecco i gioielli in pericolo
MILANO - Mentre i talebani annunciano orgogliosamente di avere iniziato la distruzione metodica delle due gigantesche sculture di Buddha, a Bamiyan, ci si chiede quale sarà il destino dell' intero patrimonio culturale dell' Afghanistan. U na rapida ricognizione delle opere pre-islamiche, e quindi «a rischio», porta subito a una brutta «scoperta»: gran parte dei tesori afgani sono distrutti o scomparsi, specie quelli che erano conservati al museo di Kabul. Ecco i casi più clamorosi.
L' ARSENALE AI PIEDI DI BUDDHA - Le due statue di Buddha a Bamiyan erano già state ampiamente danneggiate prima di essere condannate alla distruzione. Sulla falesia di Bamiyan, oltre alle due statue, sono scavate oltre 750 cappelle dove erano custodite statue e dipinti. Oggi è tutto devastato e in abba ndono. Alla base delle statue, come ha scritto James Levis su Archeo (gennaio 2001), vi sono alcune sale dove sono scomparsi affreschi e statue. Gli ambienti sono stati «trasformati in depositi di armi: in una sala armi automatiche e razzi, in un' altra mine anticarro di fabbricazione iraniana, statunitense e italiana, nuove di zecca, detonatori per mortai, pericolosamente confusi con mine antiuomo russe, pakistane e cinesi».
I GIOIELLI DI TILLIA TEPE - Nel 1978, una missione archeologica afgano -sovietica scoprì nel Nord del Paese un massiccio edificio di culto e sei necropoli reali con migliaia di tombe del I-II secolo dopo Cristo. In ognuna delle tombe scavate vennero rinvenuti dai 2.500 ai 4.000 oggetti d' oro, oggetti di squisita fattu ra in cui si individuano influenze greche, partiche, scitiche e indiane. Una parte di questi tesori venne portata in Urss, un' altra fu esposta a Kabul nel 1987. Da allora non se ne è saputo più nulla.
IL TESORO DI BEGRAM - Nel 1937, a nord della cit tadina di Begram (a nord di Kabul), vennero scoperte le rovine di Kapisa, capitale del regno Kushana tra il I e III secolo dopo Cristo. In una stanza del palazzo reale gli archeologi trovarono una grande quantità di oggetti in bronzo, vetro, avorio e lacca. Un vero tesoro che testimonia traffici e contatti sia con le civiltà del Mediterraneo che con la Cina del Han. Fra tutti spiccano gli avori di origine indiana intarsiati con scene di gineceo. Questo gruppo di raffinati capolavori venne suddiviso tra il museo francese Guimet e il museo di Kabul. Oggi gli avori rimasti a Kabul sono scomparsi.
IL MONASTERO DI TEPE CHOTOR - Negli anni 60 gli archeologi scoprirono un imponente monastero buddista del III-IV secolo dopo Cristo. Era formato da un grande edificio centrale (stupa) e da vari stupa minori attorno ai quali vennero ritrovate moltissime statue. Gli archeologi afgani decisero di conservare l' intero complesso realizzando una grande copertura. Tutto è andato distrutto nel 1982 duran te i combattimenti fra le truppe sovietiche e i mujaheddin.
I TEMPLI DI TAPA SARDAR - Archeologi italiani guidati da Maurizio Taddei scavarono negli anni 60-70 il monastero buddista di Tapa Sardar, sull' altipiano di Ghazni. Nei grandi stupa vennero rinvenute statue di terra cruda, di dimensioni imponenti, riferibili all' arte Gandara. I materiali furono raccolti nel museo di Kabul (incendiato e saccheggiato nel 1995). Nessuno li ha più visti.
Viviano Domenici 3 Marzo 2001
L' ira dei talebani, bombardati i Buddha Cannoni e razzi contro le statue millenarie. Inutile la missione dell' inviato Onu
Afghanistan, gli integralisti islamici ignorano gli appelli mondiali. L' India: custodiamo noi le sculture Buddha bombardati, l' ira dei talebani Cannoni e razzi contro le statue millenarie. Inutile la missione dell' inviato Onu La fine dei due Buddh a è arrivata. La loro mole di pietra, intagliata più di 1.500 anni fa nelle rocce dell' Afghanistan, è stata bombardata ieri dai cannoni, dai lanciarazzi e dai Kalashnikov dei «guerrieri di Allah». Le loro orbite cieche, le loro teste senza faccia, g li enormi busti mutilati dalle guerre che si sono susseguite nella regione non veglieranno più sulla valle di Bamiyan, a 2.500 metri di altezza, tra le montagne incantate dell' Hazarajat. I talebani, le milizie integraliste, avrebbero usato tutti i m ezzi, preparando cariche di dinamite da fare esplodere probabilmente oggi, per distruggere quei simboli di diversità che il mondo considera patrimonio dell' umanità e loro bollano come «idoli degli infedeli». In un Paese su cui impera ormai solo l' i transigenza della sharia, il sonno della ragione ha partorito anche questo: la condanna a morte delle opere d' arte. Non ci sono testimoni diretti. L' intera zona di Bamiyan è stata evacuata nei giorni scorsi, come un territorio di guerra. Ma le notizie filtrate dall' Afghan Islamic Press, l' agenzia di stampa vicino al governo, parlano di un «attacco» armato contro le icone dell' «idolatria». Un comandante dell' opposizione avrebbe assistito da una collina a una pioggia di tiri contro i monume nti, uno alto 50 metri, l' altro 35, banditi, come ogni opera artistica del periodo pre-islamico, da un editto del regime. E' stato il mullah Omar, il capo dei talebani, un guerrigliero analfabeta cieco di un occhio, a ordinare lo scempio. Il suo bra ccio legislativo è il ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio, l' organismo che regola la vita dei civili con la sua sfilza di paradossali divieti. Ma anche i volti più morbidi del regime, come il ministro degli Esteri Wakil Ahmed Mutawakel, si sono dovuti allineare alle decisioni dei falchi. Inutile la missione dell' inviato speciale dell' Onu per l' Afghanistan, Francesc Vendrell. Il diplomatico spagnolo, dopo aver parlato per tre ore con Mutawakel, ha messo in guard ia i guerrieri coranici sulle conseguenze del loro gesto. «I talebani pagheranno caro quanto stanno facendo», ha detto. Il direttore generale dell' Unesco, il giapponese Koichiro Matsuura, ha mandato un suo inviato a Kabul, ma ha ammesso anche la sua sconfitta: «Mi mancano parole per descrivere i sentimenti di costernazione e impotenza». Altri Paesi si sono fatti avanti con proposte concrete. L' India, accusando i talebani di «regressione alla barbarie medioevale», si è offerta di prendere in ca rico le opere d' arte incriminate e così pure il Metropolitan Museum di New York. Persino il Pakistan, l' alleato storico dei guerrieri di Allah, il burattinaio della loro avanzata nella regione, ha condannato il vandalismo dei suoi vicini. Il regime di Kabul, già colpito dalle sanzioni dell' Onu a dicembre scorso, oggi sembra davvero solo. Ma la sua intransigenza rischia di portare il Paese alla catastrofe. Il fronte aperto con l' opposione, guidata dal comandante Massud, assieme alla devastant e carestia, che quest' anno ha colpito gran parte dell' Asia Centrale, hanno già provocato l' esodo di oltre 500 mila persone e centinaia di morti per la fame e il freddo. Come ricordano le agenzie umanitarie, l' Afghanistan ha bisogno di assistenza. Non di un altro braccio di ferro. Maria Grazia Cutuli LA SENTENZA «Solo Allah sia venerato» Ecco la condanna del mullah «Tutte le statue che si trovano nelle varie regioni del Paese dovranno essere distrutte». Il decreto, pubblicato lunedì scorso, d opo una consultazione tra il capo dei talebani, Mullah Omar, i teologi musulmani e la Corte suprema dell' Emirato islamico dell' Afghanistan, aggiunge: «Queste statue sono state utilizzate in passato come idoli e divinità per gli infedeli. Rischiano di ridiventare idoli anche in futuro. Solamente Allah deve essere venerato e tutte le false divinità dovranno essere annientate».
Maria Grazia Cutuli 5 marzo 2001
Buddha, no talebano all' Unesco Il ministro degli Esteri: nessuna possibilità di fermare l' attacco alle statue
L' inviato dell' ente mondiale deve incassare il no dei guerriglieri afgani
Buddha, no talebano all' Unesco
Il ministro degli Esteri: nessuna possibilità di fermare l' attacco alle statue
La missione, che avrebbe dovuto salvare i Buddha di Bamiyan dalla fatwa islamica, è stata inutile. Il rappresentante speciale dell' Unesco Pierre Lafrance, arrivato ieri a Kandahar, il quartiere generale dei Talebani nell' Afghanistan meridionale, si è trovato di fronte alle posizioni irremovibili dei guerrieri di Allah. E' stato il ministro degli Esteri, Wakil Ahmed Mutawakel, a togliergli ogni illusione: «Non vedo nessuna possibilità di cambiare la nostra decisione e di fermare la distruzione delle statue - ha detto -. L' attacco continua». E anche se la stazza massiccia dei due monumenti, alti uno più di 50 metri e l' altro 35, resiste ai colpi sparati dai cannoni, dai lanciarazzi, dalle armi automatiche, i Talebani lasciano intendere che non rinunceranno a disintegrarli. La sorte dei Buddha resta un giallo. Un abitante della zona, Safdar Alì, ha raccontato di aver visto «i miliziani talebani sparare contro le statue con cannoni anti-aerei». Non ci sono altri testimoni. Ma la comunità internazionale continua a pensare che non tutto è perduto. Secondo Dimitrios Lundras, ambasciatore greco a Islamabad, «la demolizione dei Buddha non è ancora cominciata». Il diplomatico parla a nome della Spach, la società archeologica creata per la tutela del patrimonio dell' Afghanistan, che vede la Grecia alla presidenza e l' Italia come primo finanziatore. «Credo che le pressioni internazionali abbiano funzionato», diceva ieri mattina al Corriere. L' intransigenza dei Talebani, colpiti dall' embargo votato all' Onu, sarebbe solo un gioco delle parti ? Un altro ministro del regime, Qadratullah Jamal, ha pronunciato parole che per la prima volta danno un senso politico all' operazione iconoclasta: «La comunità internazionale ha isolato l' Afghanistan. L' Onu deve domandare a Rabbani di proteggere i Buddha». Rabbani, il leader scacciato da Kabul nel 1996 all' arrivo delle milizie integraliste, è l' unico presidente riconosciuto dell' Afghanistan. Il suo esercito, comandato da Massud, continua la guerra con i Talebani, appoggiato da Russia, Ira n, India. Al contrario il regime degli integralisti è legittimato solo da Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati. Le proteste continuano. L' ultima è arrivata dal vertice del G8 riunito a Trieste: il documento finale rivolge un appello ai talebani affinché non attuino la loro decisione, definita «profondamente tragica». Un' altra reazione è arrivata dall' Italia. Franceso Rutelli, il candidato dell' Ulivo, chiede «un' iniziativa molto più energica alla comunità internazionale», aggiungendo: «Se fossi premier prenderei subito un aereo per l' Afghanistan».
Maria Grazia Cutuli 6 marzo 2001 La sfida dei Talebani «Un quarto dei Buddha è già stato distrutto»
«Il mondo è contro di noi ma non ci fermeremo». Il Giappone: «sarà molto difficile ora aiutare Kabul»
Il mullah Omar ha parlato attraverso Radio Sharia: «Musulmani afghani, non lasciatevi intimidire dagli infedeli. Respingete la propaganda dell' Occident e». Parole di piombo contro i Buddha di Bamiyan. Il capo dei Talebani ribadisce la condanna a morte dei due «idoli» di pietra e di tutte le altre statue pre-islamiche dell' Afghanistan. «Non rappresentano - ha detto il mullah - che l' 1% del patrimon io storico-culturale del Paese. E in ogni caso i sacri principi dell' Islam impongono di cancellarli». Le proteste, arrivate dalla comunità internazionale contro l' editto che sancisce la demolizione delle opere d' arte, non hanno aperto brecce. Al c ontrario. Sembrano aver ingigantito l' orgoglio dei guerrieri di Allah: «Il mondo è contro di noi - ha incalzato il mullah Omar - ma questo non ci scoraggia. Noi proseguiamo sulla strada dell' Islam». Qualche ora dopo, l' annuncio dal Pakistan, per b occa di Abdul Salam Zaef, ambasciatore delle milizie coraniche a Islamabad: «I Talebani hanno iniziato ieri, 4 marzo 2001, a demolire le statue di Bamiyan». Non sono bastati i cannoni, le granate, i proiettili a sconfiggere il nemico di pietra. Il 4 marzo 2001 è stato anche il giorno della dinamite. Una carica piazzata tra le gambe millenarie dei due Buddha, costruiti tra il II e il V secolo dopo Cristo, avrebbe fatto saltare in aria «un quarto» dei colossi che il mondo considera patrimonio dell ' umanità. E' insorto l' Oriente buddhista. Sadaki Numata, ambasciatore giapponese in Pakistan, ha ricordato al collega Zaef che la distruzione «renderà molto difficile la mobilitazione dei donatori» per l' Afghanistan. Una minaccia pesante per un Pa ese colpito, oltre che da vent' anni di guerra, da una delle peggiori carestie del secolo, con un milione di persone in fuga, ammassate nei campi profughi fuori e dentro il confine. E ha protestato anche la Chiesa cattolica, attraverso un editoriale dell' Osservatore romano: «Quando prevale l' oltranzismo fanatico non si distrugge solo l' opera d' arte dell' uomo, ma l' uomo stesso». Il mullah Omar, personaggio misterioso e inaccessibile, parla raramente. Se ha deciso di farlo significa che vuol e lo scontro. Ma non si tratta solo di una guerra di religione. Il capo dei Talebani, combattente durante la resistenza contro i sovietici (perse un occhio durante il bombardamento a un villaggio), gode di grande carisma presso i pashtun (l' etnia de l sud predominante tra le milizie islamiche). La leggenda dice che furono i suoi compaesani di Kandahar a rivolgersi a lui come a un grande saggio, negli anni del conflitto civile tra i mujaheddin del 1992-96, per vendicare lo stupro di una ragazza e ripulire la regione dai banditi. Attorno al mullah si sarebbero quindi raccolti i primi «studenti» delle scuole coraniche, finanziati dal Pakistan. Anche gli Stati Uniti diedero una mano nella speranza di sbloccare il progetto per un mega-oleodotto. Timido, riservato, analfabeta, Omar non è mai voluto uscire dall' Afghanistan nè tanto meno trattare con i rappresentanti occidentali. Mentre il suo regime veniva accusato di violazione dei diritti umani e di traffico di droga, il mullah stringeva u n patto di ferro con lo sceicco saudita Osama Bin Laden, fino a dargli in moglie una delle sue figlie. Gli attentati terroristici, che sarebbero stati organizzati dal suo ospite, hanno accentuato l' isolamento del regime. La tensione sembrava essersi allentata a settembre scorso, quando i Talebani hanno travolto Toloqan, uno dei bastioni dell' opposizione, guidata dal comandante Massud: segno che gli aiuti agli avversari erano scemati. Anche i loro nemici tradizionali, come la Russia e l' Iran sembravano disposti a riaprire i primi canali commerciali. Ma poi è ricominciato il braccio di ferro su Osama e nei mesi scorsi sono arrivate le sanzioni dell' Onu volute da Usa e Russia. Il mullah ha rilanciato la nuova jihad: quella contro i simboli della storia.
Maria Grazia Cutuli 10 marzo 2001 I Talebani: decapitato il primo Buddha
Le milizie afghane annunciano la demolizione degli «idoli». L' Onu vota una risoluzione: «Fermatevi»
I Talebani: decapitato il primo Buddha Le milizie afghane annunciano la demolizione degli «idoli». L' Onu vota una risoluzione: «Fermatevi» La prima testa è caduta, mandata in frantumi da una carica di dinamite. Anche la base, quel che restava dei pi edi e della gambe del più alto dei due Buddha di Bamiyan, sarebbe stata distrutta dai Talebani. Il colosso di pietra, una scultura di 50 metri intagliata 1500 anni fa nel costone roccioso di una delle valli più spettacolari dell' Hazerajat, sarebbe r idotto a un tronco informe, ultima reliquia di una memoria con i giorni contati. Uguali segni di demolizione sarebbero visibili sul secondo Buddha, 35 metri d' altezza, scolpito nella stessa parete di roccia. Dopo tre giorni di pausa, obbligata dalla festività islamica di Eid al-Adha, i Talebani, le milizie integraliste che controllano il 90% dell' Afghanistan, si sono rimesse al lavoro con caparbia puntualità. L' editto con il quale il loro leader, il mullah Omar, ha ordinato la demolizione di tutti «gli idoli» del periodo pre-islamico, sottoscritto dagli ulema e dalla Corte suprema, ha la forza di una fatwa. Una sentenza irreversibile. Le notizie che arrivano da Bamiyan continuano però ad essere confuse. Se l' Afghan Islamic Press, l' age nzia di stampa vicina al regime, ha ufficializzato la decapitazione del Grande Buddha, altre fonti riferiscono di distruzioni ancora più ampie e di un frenetico passaggio di cariche di tritolo su e giù per la valle. «Secondo i nostri rapporti, la demolizione è cominciata giovedì pomeriggio ed entrambe le statue sono state attaccate con gli esplosivi - ha detto ieri uno dei portavoce delle forze d' opposizione da Daraye Souf, a nord di Bamiyan -. Entro oggi (cioè ieri, ndr) completeranno lo sforz o abbattendo quel che rimane della statua più alta». Una guerra nella guerra. Qualche chilometro più in là, sono ripresi i combattimenti tra le milizie coraniche e l' Alleanza del Nord, la coalizione, sempre più scompaginata e fragile, guidata dal comandante Massud dal 1996, quando i Talebani hanno conquistato la capitale Kabul. I combattimenti, assieme al freddo e alla carestia, continuano a far vittime e produrre profughi: un milione di persone sfollate tra il nord del Paese e il Pakistan. Ma l' emergenza umanitaria rimane in secondo piano di fronte all' attacco alle opere d' arte. Tutti gli sforzi della diplomazia sono concentrati sul miracolo: salvare in extremis le macerie della storia. Ha fallito però anche l' ultima delegazione invia ta dal governo giapponese a Kandahar, capitale «morale» dei Talebani, con una cospicua offerta di aiuti per la popolazione. «Ci hanno proposto di trasportare le statue fuori dall' Afghanistan - ha detto il ministro degli Esteri Ahmed Muttawakil -, ma io ho risposto che l' Islam non accetta tali proposte, né potrebbero farlo gli studenti afghani di teologia». Inutile, probabilmente, anche la risoluzione votata ieri all' Onu in cui si esortano i Talebani a fermare l' opera di distruzione. È propri o con le Nazioni Unite, dopo il rafforzamento dell' embargo votato a gennaio dal consiglio di sicurezza, sotto pressione di Usa e Russia, che i Talebani sono in crisi: le Superpotenze domandano loro di consegnare Osama Ben Laden, lo «sceicco del terr ore» ospitato dal regime. Le milizie rispondono con la distruzione delle statue. L' ultima opera di convincimento è affidata oggi al ministro degli Esteri del Pakistan, Moinuddin Haider. I Talebani sono creature di Islamabad. È il Pakistan forse l' unico Paese che può ancora dirigere il gioco. Maria Grazia Cutuli
12 marzo 2001
«La strage delle statue è compiuta»
I Talebani afghani a Kofi Annan: anche i grandi Buddha non esistono più
Ormai è solo un' enorme prigione, un campo di battaglia, una terra devastata e depredata. Dopo aver infierito con cannoni e sharia, la legge coranica, i Talebani avrebbero chiuso il cerchio, cancellando dall' Afghanistan, uno dei Paesi più ric chi e saccheggiati di opere d' arte, ogni traccia «politicamente scorretta» della storia. Pietre, legni, avori, tutto ciò che rimandava a un passato pre-islamico e che era sopravvissuto ai traffici e agli scempi degli anni passati, sarebbe finito in polvere. L' annuncio, dato dal regime, è stato riferito da Kofi Annan: «Tutte le statue trasportabili sono state distrutte», ha detto il segretario generale dell' Onu, dopo un incontro a Islamabad, in Pakistan, con il ministro degli Esteri dei Taleba ni, Ahmed Muttawakil. Troppo tardi anche per i due Buddha di Bamiyan. «La demolizione - ha spiegato il ministro ad Annan - sta per essere completata. Dei due monumenti rimane poca cosa». L' intervento del segretario generale dell' Onu per bloccare l' editto con i quali i Talebani hanno decretato l' eliminazione degli «idoli» è l' ultimo inutile passo della diplomazia internazionale. Le milizie coraniche, che controllano il 90% dell' Afghanistan, hanno voluto liquidare la questione come «un affar e interno e religioso», il completamento di un progetto teologico che vede l' applicazione della sharia su ogni aspetto della vita del Paese. Hanno smentito l' ipotesi di una ritorsione alle sanzioni, votate dall' Onu contro il regime per i suoi lega mi con Osama Ben Laden. Ma nello stesso tempo sono rimasti sordi davanti alle esortazioni dei più prestigiosi teologi (ulema) della Conferenza islamica, arrivati ieri a Kandahar, nel sud dell' Afghanistan, per incontrare il mullah Omar, capo delle mi lizie. «Se entrambe le parti, gli ulema e il mullah, dovessero emettere una sentenza secondo la quale la distruzione è impropria - ha detto Abdul Salam Zaef, ambasciatore dei Talebani in Pakistan - la accetteremo. Al momento non l' hanno fatto». I co nfini tra politica e religione restano confusi. Ma fino a quando la valle di Bamiyan, il museo di Kabul e gli altri siti dove sarebbe stata condotta la campagna demolitoria, non saranno aperti a testimoni esterni, resta misteriosa anche la fine delle opere d' arte. E' davvero tutto distrutto? C' è ancora qualcosa da salvare in Afghanistan? O statue e reperti potrebbero un giorno riapparire sottobanco sui mercati clandestini? Secondo il quotidiano britannico Guardian, alla frontiera con il Pakist an, le dogane sono in allerta. Ci si aspetta «merce fresca». «Tombaroli», ex guerriglieri, contadini in miseria sono sempre pronti a procurare qualunque pezzo. E i trafficanti hanno ottimi rapporti con i signori della droga, tanto buoni da potere usa re i loro canali, attraverso i quali passa il 79% dell' oppio prodotto nel mondo, per smerciare anche gli oggetti più antichi e preziosi. L' Afghanistan, del resto, è da sempre terra di razzie. «Ancora prima che cadesse la monarchia, all' inizio degl i anni ' 70, non era difficile vedere apparire nel bazaar di Peshawar, sul confine pakistano, o nei retrobottega di Karachi, statue e monili che si diceva provenissero dall' Afghanistan», racconta al Corriere Sebastiano Tusa, oggi direttore presso la Sovrintendenza alle belle arti di Trapani, all' epoca membro delle spedizioni archeologiche italiane dell' Ismeo in Asia Centrale. «Sapevamo che i magazzini del museo di Kabul venivano regolarmente saccheggiati». Il traffico viaggiava attraverso le valige diplomatiche o, come adesso, sulle rotte della droga. Attraversava il Kyber Pass, transitava oltre il confine pakistano nelle «zone del contrabbando» che costeggiano la regione tribale, da Quetta fino a Peshawar, per poi raggiungere il Giappon e, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti. Quando i sovietici nel 1989 si sono ritirati dall' Afghanistan si è gridato al grande sacco: l' oro di Telapata, 21 mila oggetti tempestati di turchesi, sarebbero stati prelevati, imballati e stipati sui camion d ell' Armata rossa. Mosca ha sempre negato. Ma tre anni dopo, con l' inizio della guerra civile tra le fazioni dei mujaheddin, del museo di Kabul, ridotto in macerie, e del suo patrimonio non rimaneva più nulla. Nel 1996, arrivati in città i Talebani, il museo è stato riaperto, alcune collezioni misteriosamente riapparse, altre definitivamente perdute. Chi ha preso cosa? Un paio di mesi fa, un commerciante inglese ha ricevuto una telefonata da un politico pakistano che lo invitava a vedere alcuni pezzi. Arrivato a Peshawar, l' antiquario è stato portato a casa di un capo tribale dove ha ritrovato niente meno che alcune delle tavolette d' avorio di Bagram, una delle collezioni più preziose risalente a 2000 anni fa, da tempo sparite dall' Afgh anistan. Ne ha comprate alcune per donarle a un museo. Londra, secondo il Guardian, rimane una delle principali piazze dello smercio, con prezzi che superano i 150 milioni di lire a manufatto. L' entità del contrabbando è stata rivelata da un carico destinato alla capitale britannica, a Francoforte e a Dubai, sequestrato nel 1998 a Peshawar: 2.500 pezzi, tra i quali molte opere buddhiste della civiltà Gandahara di 1500 anni fa. Una rete nascosta di piccoli commercianti, con base a casa propria, sarebbe capace di smerciare le antichità afghane in ogni parte del mondo. Clienti privilegiati, oggi come 30 anni fa, inglesi, americani, giapponesi.
Maria Grazia Cutuli
IL REGIME E I DUE BUDDHA
I TALEBANI I guerrieri d' Allah, reclutati dalle scuole coraniche, vengono finanziati dal Pakistan e inizialmente anche dagli Stati Uniti. Invadono l' Afghanistan nel 1994, conquistando in pochi mesi le regioni meridionali. Nel 1996 prendono Kabul: il governo del presidente Rabbani e le forze del comanda nte Massud sono costrette alla fuga. Oggi controllano il 90% del Paese. Si ispirano a una versione ultra-integralista dell' Islam
I BUDDHA DI BAMIYAN Le due principali statue, «condannate a morte» dall' editto dei Talebani, rappresentano le raffigura zioni del Buddha più alte del mondo: 53 metri una, 35 l' altra. Sarebbero state costruite tra il II e il V secolo dopo Cristo. Sono state scavate nella roccia di Bamiyan, la cittadina dell' Afghanistan centrale, nascosta a 2.500 metri di quota tra le montagne dell' Hazarajat
Farewell, good ol' Marjan... The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope. However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]